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    La classifica della competitività per nazione vino – dati France Agrimer 2019

    L’analisi della struttura concorrenziale del mercato del vino è stata aggiornata da France Agrimere per il 2019. Come sapete forse avendo letto le analisi precedenti si tratta di un sistema a punti (massimo 1000) in cui vengono valutate le caratteristiche strutturali produttive e macroeconomiche, la forza dei marchi, ma anche alcune caratteristiche congiunturali. Alcune delle conclusioni sono forse discutibili e la classifica è un po’ volatile, dato che alcuni punteggi variano per esempio in relazione ai livelli produttivi, ma comunque il quadro di insieme non è secondo me totalmente sbagliato. Nel grafico mobile sopra vedete come sono cambiate le posizioni negli anni. Per il 2019 la principale conclusione è che si sono rafforzati i quattro paesi dell’Europa continentale che sono la “storia” del vino: Francia, Italia, Spagna e Germania, mentre peggiora soprattutto per questioni congiunturali (e dunque non di lungo termine) la posizione del Cile. Il tutto nell’ambito di un “punteggio” globale in sostanziale miglioramento. Il 2020 sarà naturalmente tutta un’altra cosa. Per ora e per quanto riguarda l’Italia, secondo lo studio il punteggio migliora, ma unicamente per le caratteristiche strutturali produttive (potenziale produttive e caratteristiche climatiche), dove già siamo considerati i più forti, mentre siamo stabili sui fattori competitivi (dietro la Francia) e peggioriamo nei fattori puramente economici, dove siamo preceduti anche da Spagna e USA. A proposito, se vi interessa leggere lo studio originale, in lingua francese, lo trovate a questo link. Passiamo all’analisi.

    La classifica 2019 France Agrimere sulla concorrenzialità dei sistemi vinicoli mondiali continua a mettere la Francia (giustamente) davanti a tutti, in posizione rafforzata rispetto al 2018 per le conseguenze positive dell’ottima annata vinicola precedente (il 2018). Secondo lo studio Spagna e Italia sono meglio della Francia in termini di potenziale produttivo e caratteristiche pedoclimatiche, ma la Francia eccelle in termini di capacità cometitiva, forza dei marchi, filiera e ambiente economico.
    L’Italia guadagna diversi punti sul 2019, ma si tratta soprattutto di un rafforzamento congiunturale, che comunque ci mette al secondo posto come nel 2018 (mentre prima eravamo classificati, un po’ stranamente, davanti alla Francia). Comunque come dicevo, il punteggio beneficia del forte miglioramento della parte “agricola” del punteggio, mentre sulla parte competitiva e di marchi siamo fermi e su quella dell’ambiente economico andiamo indietro).
    Rispetto al 2018, continua a rafforzarsi la posizione della Germania, ora quinta forza del mercato del vino secondo France Agrimere, e del Sud Africa (ora settimo), mentre viene classificato soltanto ottavo il Cile rispetto al quarto posto del 2018. Ovviamente sono classifiche, ma lo studio comunque fa notare che il potenziale produttivo del Cile è molto legato alla disponibilità di acqua (il 50% del vigneto è irrigato) e questo potrebbe rappresentare un rischio nel futuro.
    Vi lascio ai grafici e alle tabelle.

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    Il commercio mondiale di vini sfusi – aggiornamento 2019

    Dopo aver analizzato il commercio internazionale degli spumanti passiamo a quello dei vini sfusi, che mostra un andamento molto più volatile. Dopo un 2018 caratterizzato da un calo marcato dei volumi (che stimiamo a circa 38 milioni di ettolitri), nel 2019 i volumi si sono riportati sopra la soglia dei 40 milioni, verso 42 milioni […] LEGGI TUTTO

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    La produzione di vino nel mondo 2020 – prima stima OIV

    OIV sta riformando un po’ il suo stile di presentazione dei dati mondiali. È ritornata a dare dati specifici per l’Europa e ora divide anche il mondo per emisferi. Nel 2020 la produzione mondiale di vino sarà circa stabile rispetto al 2019 e leggermente inferiore (3-4%) alla media degli ultimi anni, attestandosi poco sotto 260 milioni di ettolitri. Se il valore totale non cambia, il bilanciamento tra Europa e resto del mondo si sposta a favore della prima, dove la produzione è prevista in aumento del 4-5%, mentre nel resto del mondo per la prima volta da diversi anni si torna sotto i 100 milioni di ettolitri. Possiamo dunque dire che il mercato resta tutto sommato bilanciato, nonostante i timori derivanti dalla pandemia, con degli squilibri che saranno di carattere locale. L’Italia resta il principale produttore mondiale, sia nel dato puntuale preliminare 2020 che nelle medie storiche, con una quota del 18% del totale. Vi ricordo che questi dati sono rettificati per gli anni precedenti per Italia, Spagna e Francia per includere i dati provenienti da ISTAT, Agreste e Ministero spagnolo che riportano dati produttivi leggermente diversi (più elevati per l’Italia secondo quello che dice OIV). Passiamo a leggere i dati.

    Secondo OIV la produzione mondiale di vino si è attestata tra 254 e 262 milioni di ettolitri, contro un dato rilevato da OIV di 256 milioni e una stima leggermente più alta messa qui nel post di 258 milioni, relativa al dato italiano, che noi sostituiamo con le rilevazioni ISTAT.
    L’Italia resta il principale produttore con una stima di 47.2 milioni di ettolitri, in leggero calo (OIV rilevava 47.5 per l’anno precedente), mentre sia per Francia che per Spagna si rileva un leggero incremento, 4% e 10% rispettivamente.
    La produzione mondiale si dividerebbe dunque tra circa 159 milioni di ettolitri prodotti in Europa e 99 nel resto del mondo. Proprio questa quota è quella in calo più significativo, giù del 5% (contro il +3% dell’Europa), a fronte di una vendemmia particolarmente negativa in Sud America e Australia: in Cile e Argentina la produzione cala a meno di 11 milioni di hl, giù del 13% e del 17% rispettivamente. Anche l’Australia scende del 12% a 10.6 milioni di hl, un livello non più registrato dalla grande siccità del 2007.
    Come potete notare, mancano i dati relativi alla Cina che OIV non ha pubblicato.
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    Treasury Wine Estates – risultati 2019/20

    TWE ha la fortuna di chiudere l’anno a giugno e quindi i numeri che presentiamo oggi non danno l’idea dell’impatto del virus sui conti, nonostante la forte esposizione dell’azienda alla Cina: le vendite sono calate “solo” del 6% e l’utile operativo del 23% con volumi a -8%. Se però restringiamo il confronto al solo secondo semestre dell’anno ci accorgiamo di una realtà ben diversa, fatta di un -16% di fatturato (che comunque non è così drammatico) ma un -59% in termini di utile operativo. Nelle due aree più importanti per il gruppo, Asia e America, TWE ha subito un calo degli utili di oltre il 50% nel semestre gennaio-giugno (il secondo per loro). In America ha però subito il “de-stocking” dei distributori, quindi ha venduto di meno di quanto hanno venduto a loro volta i loro clienti (per circa il 7%), mentre in Cina dopo cali del 50% e più in febbraio-marzo, l’attività è migliorata per chiudere con un +40% in giugno sull’anno scorso. Forte di una struttura finanziaria stabile e di un rapporto debito/EBITDA di poco superiore a 1x, TWE non cambia strategia, anzi rilancia: sta comperando vigneti in Europa (Francia, per ora) per arricchire la sua offerta di vini di “lusso” sotto il marchio Penfolds. Passiamo all’analisi dei dati.

    Le vendite 2019/20 sono scese del 6% a 2.65miliardi di dollari australiani, con un contributo positivo dei cambi del 3% circa. Il calo a cambi costanti sarebbe dunque stato del 9%, sostanzialmente dovuto al -9% dei volumi venduti, passati da 35 a 32 milioni di casse.
    Se restringiamo al secondo semestre, il calo delle vendite è del 16%.
    L’anticipo del COVID in Asia ha fatto sì che questa sia la regione più impattata del gruppo, con un calo del 29% dei volumi (-41% secondo semestre) e del 18% delle vendite (-41%). L’Americ è calata del 6% nell’anno e del 14% nel secondo semestre, causa calo dei volumi anche legati al processo di cui dicevamo sopra.
    L’utile operativo cambia un po’ dall’anno scorso causa l’implementazione del principio contabile IFRS16 che aumenta del 2-3% gli utili, distorcendo l’analisi del bilancio (suggerisco ai promotori di rimanere nell’ombra per evitare il linciaggio). Comunque, l’utile operativo cala del 23% a 492 milioni nell’anno e del 59% a 128 milioni nel solo secondo semestre. Asia e America sono le due divisioni più colpite, con un calo dell’utile operativo del 17% e 33% rispettivamente (51% e 54% nel solo secondo semestre), mentre hanno subito cali meno pesanti il mercato locale (-15% nell’anno) e l’Europa (addirittura stabile nell’anno, -21% nel secondo semestre, ma conta poco).
    Il debito finanziario (escluso quindi quello falso di IFRS16) rimane quasi stabile a 736 milioni di dollari, il che si confronta con circa 700 milioni di EBITDA, con una posizione finanziaria molto solida. Nell’anno TWE ha investito 190 milioni (160 nel 2018/19), ha venduto attività per 100 milioni (102 l’anno prima) e ha pagato dividendi per 276 milioni, contro 245 dell’anno precedente.
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    Australia – esportazioni di vino 2019

    L’export di vino australiano si sta sempre più legando alla Cina. Anche nel 2019, secondo i dati pubblicati da UN Comtrade, a fronte di un valore totale delle esportazioni in crescita del 2%, la Cina ha segnato una crescita del 12% e ha quindi incrementato il suo peso dal 35% al 39% del totale commercio estero del paese (che poi diventano il 43% se mettiamo dentro anche Hong Kong). Questo resta l’unico spunto veramente positivo del commercio estero vinicolo australiano, per il resto caratterizzato da una sfilza di segni meno negli altri mercati importanti come USA, Regno Unito e Canada. La crisi del COVID potrebbe addirittura salvare il vino australiano più di quanto non succederà ai nostri prodotti. Dopotutto la Cina è entrata prima ed uscita prima dalla crisi, apparentemente (ripeto apparentemente) con un prezzo in termini di vite ed economia inferiore al nostro. Resterà da vedere come cambieranno gli equilibri mondiali dopo questa crisi. Se cioè la Cina riuscirà a mantenere il passo del passato in termini di crescita economica. Per adesso concentriamoci su questi 3 miliardi di dollari australiani e 7.5 milioni di ettolitri che l’Australia ha esportato nel 2019.

    Le esportazioni australiane sono cresciute del 2% nel 2019 a 2.96 miliardi di dollari australiani, nonostante un calo dei volumi dell’8% a 7.5 milioni di ettolitri (proprio dovuto a un crollo di volumi presumibilmente a basso costo spediti in Cina), dopo due anni di “super export” a 8.1 milioni.
    Se tradotte in euro, le esportazioni sono invece stabili a 1.83 miliardi di euro, data la leggera svalutazione del dollaro australiano contro l’euro (e ancora di più contro il dollaro americano: se tradotte in dollari americani saremmo a -5% per 2054 milioni di dollari).
    La Cina è chiaramente il punto di forza degli australiani. Anche nel 2019 le esportazioni sono cresciute, +12% a 1.14 miliardi di dollari. Meno bene è andata a Hong Kong, dove però la situazione è stata radicalmente diversa nel 2019, visti i disordini. In questa “città stato” le esportazioni sono invece calate del 2% a 126 milioni. Messi insieme, questi due mercati sono ormai il 43% dell’export australiano. Un punto di forza o di debolezza? Un punto di forza, tutto sommato secondo me, viste le dinamiche di forte crescita strutturale della Cina. Se volessimo vedere i punti di debolezza dovremmo ovviamente considerare la concentrazione nel singolo mercato e le potenziali variazioni dello scenario regolamentare locali, da non trascurare.
    Negli altri mercati importanti come vedete le cose non vanno bene: in USA -2% a 435 milioni dopo una serie di anni in costante calo, nel Regno Unito le esportazioni ritracciano a 370 milioni, -9%, dopo un buon 2018, e anche in Canada succede la stessa cosa: buon 2018 e cattivo 2019 (-11% a 185 milioni).
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