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    Nosio – risultati e bilancio 2022/23

    Dopo Cavit, Nosio (e a seguire Mezzacorona) sono le due aziende che per prime riportano un bilancio “contenente” un pezzo di 2023. Come per Cavit, anche per Nosio il 2023 (fino a luglio) non è stato un anno eccitante. I ricavi sono in crescita soltanto dell’1% (137 milioni) e i margini sono calati, sotto la pressione dell’aumento dei costi della materia prima e, in parte meno significativa dell’incremento del costo del personale. Dal punto di vista finanziario, Nosio è in piena salute. Il debito netto cala da 36 a 35 milioni (anche grazie a un forte incremento dei debiti commerciali verso la controllante), per quanto sia doveroso ricordarvi che non essendo un bilancio consolidato a fronte di tale posta l’azienda ha quasi 50 milioni di euro in partecipazioni, il che in altre parole significa che la parte finanziaria del bilancio non è a debito se nettata dalle attività. Ad ogni modo, gli azionisti hanno scambiato le azioni a un prezzo leggermente superiore a quello del 2022 (339 euro per azione rispetto a 336), il che porterebbe a un valore implicito del capitale azionario di poco superiore a 100 milioni di euro. Non ci sono frasi particolari sull’evoluzione prevedibile della gestione, per cui possiamo passare a una breve commento dei dati. Se qualcuno di Nosio legge questo post, segnalo un errore (secondo me) nel bilancio a pagina 56 dove le vendite per area geografica di Estero EU e Estero Extra EU sono rimaste quelle del bilancio 2022, dunque non aggiornate.

    L’incremento delle vendite dell’1% con un incremento del 3.5% nel mercato italiano, mentre sono apparentemente stabili le vendite all’estero (anche se dovute a un errore, a mio parere).
    Dal punto di vista dei prodotti, Nosio mostra un incremento del 5% delle vendite di spumante a 5 milioni di euro, e un +2.6% a 115 milioni per le vendite di vino fermo.
    I costi sono in aumento rispetto al fatturato. Le materie prime, in particolare, passano dal 69% al 70.4% delle vendite, mentre il personale va dal 5.6% al 5.8%. Il tutto determina un calo del Margine operativo lordo sia un valore assoluto (da 10 a 8.4 milioni) che in termini relativi (dal 7.5% al 6.1% delle vendite). Più sotto sebbene calino un po’ sia gli ammortamenti che gli oneri finanziari, l’utile netto scende da 3 a 2 milioni di euro.
    Dal punto di vista finanziario come abbiamo detto Nosio taglia di 1 milione il debito netto, dopo aver pagato 2.7 milioni di dividendi agli azionisti e dopo aver investito circa 3 milioni di euro. Ad aiutare il bilancio sono venuti in soccorso un forte aumento dei debiti commerciali verso la controllante Mezzacorona, da 35 a 45 milioni di euro, che hanno compensato anche un leggero deterioramento delle altre partite del capitale circolante.

    Se siete arrivati fin qui……ho un piccolo favore da chiedervi. Sempre più persone leggono “I Numeri del Vino”, che pubblica da oltre dieci anni tre analisi ogni settimana sul mondo del vino senza limitazioni o abbonamenti. La pubblicità e le sponsorizzazioni servono per aiutare una missione laica in Perù. Per fare in modo che questo lavoro continui e resti integralmente accessibile, ti chiedo un piccolo aiuto, semplicemente prestando da dovuta attenzione con una visita alle inserzioni e alle sponsorizzazioni presenti nella testata e nella sezione laterale del blog. Grazie. Marco LEGGI TUTTO

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    Conegliano Valdobbiadene DOCG Prosecco Superiore – vendite e esportazioni 2022

    Il rapporto annuale sull’andamento del Prosecco Superiore è stato puntualmente pubblicato dal Consorzio di tutela Conegliano Valdobbiadene DOCG con i dati relativi al 2022. Il quadro che ci viene presentato è di una produzione in leggero calo a 104 milioni di bottiglie e di un valore della produzione in leggera crescita, +2% a 634 milioni di euro, sostenuto soprattutto dalle vendite all’estero (+7%), mentre l’andamento commerciale nel mercato domestico è stato stabile (e leggermente negativo in termini di volume). Stupiscono i dati relativi ai canali di vendita, con internet che si dimezza rispetto all’anno precedente, mentre facendo attenzione alla data di riferimento (2022 e non 2023) sono positivi gli andamenti nei principali mercati di esportazione, salvo la Scandinavia, Australia e Nuova Zelanda, Russia, Francia e Benelux. Il Prosecco Superiore resta anche nel 2022 un prodotto a “maggioranza italiana” in termini di vendite, con il 58% del valore ma con una sempre maggiore diversificazione geografica. Passiamo a commentare qualche dato insieme.

    La produzione di Conegliano Valdobbiadene DOCG è calata dell’1% a 103.5 milioni di bottiglie nel 2022, per un valore della produzione di 634 milioni di euro.
    Il mercato italiano ha assorbito 57 milioni di bottiglie, il 3% in meno del 2021, per un valore di 365 milioni di euro, essenzialmente stabile rispetto al 2021. In termini di canali di distribuzione cala la GDO e crescono i grossisti/distributori, con le Enoteche e ristorazione leggermente negativi in volume ma positivi in valore. Come dicevamo, molto male l’ecommerce che ha riassorbito la sbornia del Covid.
    Le vendite all’estero sono state invece in crescita del 3% a volume a 43 milioni di bottiglie e del 7% a valore a 241 milioni di euro. Il principale mercato a volume resta il Regno Unito che nel 2022 ha assorbito poco più di 10 milioni di bottiglie per un valore di 56 milioni di euro, +7% e +11% rispettivamente. Il secondo mercato è la Germania con 8 milioni di bottiglie e 51 milioni di euro, con un andamento anch’esso positivo intorno al +6/7%. Il terzo mercato di riferimento è quello svizzero che ha toccato 6.3 milioni di bottiglie per un valore di 33 milioni di euro. Il mercato americano è ancora relativamente poco sviluppato, con un volume di 3 milioni di bottiglie (per intenderci, la metà della Svizzera e un po’ meno dell’Austria) e un valore di 17 milioni di euro, anche se i tassi di crescita del 20-30% erano stati nel 2022 promettenti. Bisogna vedere che cosa è successo nel 2023.
    Vi lascio alla consultazione delle tabelle e dei grafici.

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    Esportazioni spumanti Italia – aggiornamento settembre 2023

    Dopo il post sulle esportazioni totali pubblichiamo oggi in questo post pre natalizio i dati dello spumante, che come avete forse letto sono calati del 5% in termini di export in settembre (-10% in volume). Mah, io tenderei a non essere troppo preoccupato. È vero che da un lato settembre è il primo dei tre mesi importanti per il prodotto nell’arco dell’anno. Uno potrebbe dire che se l’attacco di stagione è debole le cose andranno male. Ed è anche vero che i dati del Prosecco, vero traino della categoria vanno nella stessa direzione. È anche vero però che analizzando i dati in profondità ci si accorge che il calo è tutto legato al mercato USA. Se noi prendiamo i 200 milioni di export del mese, -5.4%, e gli togliamo i 37 degli USA, -29%, arriviamo a 162 milioni. Facendo lo stesso per l’anno scorso siamo a 158 milioni, quindi saremmo a +2%. Ovviamente non un dato eccezionale ma certamente molto più guardabile. E il dato sui 9 mesi, ora stampato a +1.6% (1574 milioni), sarebbe un molto più digeribile +6% se si togliesse il -11% del mercato americano. Quello che io non so dirvi, non essendo all’interno del settore, è se la correzione del mercato americano è il prologo di quello che succederà in altre geografie (su molte cose loro sono un po’ più davanti a noi), oppure se un problema di normalizzazione delle scorte dopo un periodo di super-crescita e scarsità del prodotto (così dicono altri esperti nel settore degli spiriti come il CEO di Campari). Bene, passiamo a un breve commento dei dati.

    Le esportazioni di spumante nei primi 9 mesi dell’anno sono ancora in crescita lieve, +1.6% a 1.57 miliardi di euro, pur assorbendo il secondo mese consecutivo negativo: a settembre infatti l’export è calato del 5.4% a 200 milioni di euro, dopo una prima avvisaglia di agosto a -1.5% ma anche di giugno a -3%. Ad ogni modo come dicevamo sopra, il peso specifico dei mesi è diverso e il segnale che dà alla stagione è diverso.
    Per categorie, nel mese il prosecco cala del 4%, ma resta positivo per il 3% nei 9 mesi a 1.18 miliardi di euro, l’Asti cresce del 5% nel mese e del 4% sui 9 mesi a 112 milioni (notare: meno di un decimo rispetto al Prosecco!), gli spumanti DOP calano del 16% nel mese e del 6.6% sull’anno a 72 milioni di euro, confermando che si tratta ancora di un fenomeno nazionale, fatta eccezione per pochi marchi.
    Dal punto di vista geografico come dicevamo sopra gli USA fanno la differenza. Tutti gli altri mercati nella “top10” salvo Russia (ma qui avevamo delle riserve sui dati in crescita del passato) e Svezia sono in netto territorio positivo nel mese di settembre e restano tutti positivi sui 9 mesi, chi più chi meno. Da notare che la Francia potrebbe superare la Germania nel 2023 per esportazioni di spumante!
    Vi lascio alle tabelle e ai grafici del post.

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    Esportazioni di vino Italia – aggiornamento settembre 2023

    Viste le premesse, ossia l’andamento delle esportazioni francesi di vino negli ultimi mesi (grafico chiave qui, settembre -21%), il calo del 10% delle nostre esportazioni in settembre è per me quasi da sospiro di sollievo. Detto questo non ci si può certo rallegrare del sesto mese consecutivo negativo che sta portando il saldo annuo -2.4% e quello annuale a -1%, per 7.7 miliardi di euro, allontanandosi dunque dalla soglia degli 8 miliardi che dopo Pasqua cominciavamo a considerare fattibile. La debolezza delle esportazioni è nel segmento dei vini in bottiglia, più che negli spumanti che calando in settembre sono però ancora positivi sull’anno (+2%), leggermente più nel valore che nel volume visto l’esaurirsi delle pressioni inflazionistiche, e geograficamente hanno nel mercato nord americano il cuore del problema. Bene passiamo, a un’analisi dei dati con tutte le tabelle e i grafici allegati.

    Settembre è stato il peggior mese del 2023 per le esportazioni, con un calo del 9.7% a 654 milioni di euro, determinato da una riduzione del 6.4% del volume a 1.8 milioni di ettolitri. Con questi dati il saldo dei 9 mesi tocca 5.65 miliardi per un calo del 2.4%. Sugli ultimi 12 mesi, ossia considerando un dato stabile sugli ultimi 3 mesi saremmo a -0.9% per 7.73 miliardi di euro.

    I vini in bottiglia sono in calo dell’11% nel mese e del 4% nei primi 9 mesi a 418 e 3739 milioni di euro rispettivamente, gli spumanti calano del 5.4% a 200 milioni nel mese ma come dicevamo prima restano positivi sui 9 mesi all’1.6%, mentre i vini sfusi e il resto della categoria 2204 pur essendo residuali (36 milioni in settembre) calano del 14%.

    Le geografie principali si comportano in modo molto difforme. Gli Stati Uniti continuano a calare in modo importante, -19% nel mese e -9.5% nei nove mesi. Affiancherei subito il Canada che pur essendo grosso un terzo gli USA fa il suo -14% nel mese, paradossalmente un po’ meno peggio del -17% dei primi 9 mesi dell’anno. Queste due geografie prese insieme contano quasi il 30% del nostro export totale. Gli altri tre mercati importanti girano intorno alla stabilità: Germania -1% ma ancora +2% sull’anno, Regno Unito +1% e +3% per settembre e 9 mesi, Svizzera +3% ma -1.5% sui 9 mesi. Forse un dato da guardare con un po’ più di attenzione è quello francese, dove con -25% su settembre vediamo un dato moto difforme da quanto registrato fino ad ora.
    Degli spumanti ci occupiamo più distintamente nel prossimo post ma… se è negativo il totale è difficile che sia positivo il Prosecco visto il suo peso preponderante. Il -5.4% di settembre racchiude anche un -4% del Prosecco, forse il primo dato negativo di un certo significato dopo il -1% di gennaio (che però è un mese irrilevante per la categoria). Staremo a vedere.

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    Indebitamento e leva delle principali aziende vinicole – dati Mediobanca 2022

    Dopo qualche anno di pausa torniamo sul tema del debito delle aziende vinicole, come riportato da Mediobanca Research. In questo post, in particolare usiamo la differenza tra debito finanziario e attivo finanziario per dare un quadro più obiettivo della situazione “netta”. Ci riferiamo a due rapporti, oltre al valore assoluto: il debito su valore aggiunto (purtroppo non abbiamo l’EBITDA dai dati Mediobanca) e il debito su patrimonio. Nel primo caso abbiamo escluso le cooperative, vista la distorsione del valore aggiunto relativa al loro modello di business. Nel secondo abbiamo incluso anche le cooperative e vedrete che si posizionano decisamente su livelli più elevati delle aziende, anche in ragione del loro rischio inferiore di incorrere in perdite. Beh, che cosa ci dicono questi dati? Il debito netto di queste 29 aziende è rimasto stabile nel 2022 a circa 1.8 miliardi di euro, mentre il valore aggiunto (di tutto il campione) è cresciuto da 1.1 a 1.2 miliardi e il patrimonio netto è passato da 4.8 a 5 miliardi di euro. Dunque, nel 2022 possiamo certamente concludere che la salute finanziaria del settore del vino è migliorata nel suo complesso. Avendo assistito a un paio di operazioni di consolidamento (fusione tra aziende), in parte pagate per cassa, trovate due aziende, IWB e Argea, abbastanza in alto nella classifica del rapporto tra debito e valore aggiunto, oltre alle due aziende detenute in parte o completamente dai fondi di private equity, Fantini Wine Group e Zonin. Passiamo a un breve commento dei dati.

    I dati di Mediobanca Research mettono in cima alla classifica del debito Cantine Riunite a 250 milioni, Argea a 227 e Italian Wine Brands a 206 milioni. Per chiarezza e visto che analizziamo i bilanci di Argea e IWB anche singolarmente, questa definizione non corrisponde perfettamente alla posizione finanziaria netta contabile da noi calcolata, che rispettivamente è di 122 e 147 milioni di euro (incluso IFRS16 per la seconda).
    Se passiamo ai rapporti sul valore aggiunto troviamo IWB a 4.2 volte, Argea a 2.9, Fantini e Zonin a 2.8, Morando a 2.6 volte e Schenk a 2.5 volte. I rapporti di indebitamento sono comunque sostenibili, nell’ottica del tipo di attività svolta.
    Se invece ci rapportiamo al patrimonio netto, le cooperative risultano in proporzione più indebitate delle aziende. La Marca a 3x, con Mezzacorona e Cantine Riunite a 1.3x si accompagnano a Schenk e Morando.
    Bene, vi lascio alle tabelle e ai grafici. Buona consultazione.

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    Cavit – risultati 2022/23

    CAVIT ha appena pubblicato il bilancio 2022-23 (chiusura maggio) che vede un leggero incremento delle vendite (267 milioni), con risultati più bassi dello scorso anno a causa dell’incremento dei costi delle materie prime. L’incremento di fatturato viene essenzialmente dalle società controllate dalle cooperative, in quanto Cavit cooperativa flette del 2% circa rispetto allo scorso anno. Sottolineerei due o tre cose in questo bilancio: primo, l’ottimo andamento della controllata tedesca Kessler, che ha realizzato anche nel 2022-23 un fatturato in crescita del 10% a 13.1 milioni con buoni profitti (1.2 milioni di euro). Secondo, il problema di Casa Girelli, che pur essendo cresciuta molto (da 27 a 33 milioni di euro nelle vendite nel 2023) continua a subire perdite ingenti: 2.1 milioni quest’anno, 1.1 l’anno scorso, 2.3 milioni nell’anno del Covid. Cavit ha dunque deciso una “revisione strategica” che porterà nell’esercizio 2023-24 alla fusione dell’azienda (e di Cesarini Sforza) dentro Cavit e successivamente “alla dismissione delle attività e, alla luce di questo, si è già avviata una drastica razionalizzazione delle produzioni effettuate, con conseguente impatto sul fatturato generato.” Quindi, dovremmo attenderci un fatturato più basso per tutto il gruppo l’anno prossimo. Terzo punto, la remunerazione dei soci della cooperativa, di cui abbiamo soltanto il valore totale (non quello unitario, cancellato dal bilancio da Cavit qualche anno fa..) è stato di 100 milioni di euro, in netto calo (-11%) sul 2021-22 e essenzialmente ritornato sui livelli pre-Covid (+3% sul 2019-20) dopo due anni eccezionali. Ultima cosa: la posizione finanziaria netta resta positiva ma cala da 40 a 25 milioni di euro: passiamo a un breve commento dei dati con qualche ulteriore spiegazione…

    Il fattuarto consolidato di 267 milioni cresce dell’1%, con un dato stabile sull’Italia e in crescita dell’1.2% all’estero per un valore di 64 e 204 milioni rispettivamente. Come abbiamo detto Casa Girelli fa 33 milioni (da 27), GLV e Cesarini Sforza 21 milioni (stabile), Kessler 13 (da 11.9), la cooperativa 200 da 205 milioni lo scorso anno, con tutto il calo all’estero, da 160 a 155 milioni.
    Il bilancio mostra un EBITDA di 6 milioni da 6.5 dell’anno scorso e un utile netto di 4 da 5, ma come sapete per una cooperativa vale poco. Vale di più guardare a quanti soldi ha versato ai suoi soci attraverso gli acquisti: 100 milioni nel 2022-23 rispetto a 112 del 2021-22.
    Dal punto di vista finanziario, la cassa netta scende da 40 a 25 milioni di euro. A determinare tale impatto è il capitale circolante: il saldo tra magazzino, crediti verso clienti e debiti verso fornitori sale da 29 a 46 milioni di euro, determinando dunque un +17 milioni sulla linea, ulteriormente appesantito da 3 milioni sulle “altre partite di circolante” per un impatto totale di oltre 20 milioni. Gli investimenti sono scesi da oltre 7 milioni a 4 milioni circa.

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    Sul perché lo Champagne sarà sempre di più un vino da collezione

    L’ascesa dei prezzi dei vini pregiati è probabilmente arrivata a un punto di stabilizzazione dopo gli eccessi degli ultimi anni. È però vero che alcune zone vinicole mondiali continuano a crescere nelle cantine dei collezionisti di vino. Il caso dello Champagne, che oggi analizziamo più in dettaglio, è uno di questi. Pur essendo un vino spumante (perdonate il sostantivo al limite del volgare), Champagne è un po’ una categoria a sé stante come lo è, come posso dire, Moncler nei piumini o Rolex negli orologi. E il valore nel tempo dello Champagne è stato a lungo sottostimato, per una combinazione di stereotipi, per esempio che i vini spumanti vanno bevuti giovani perché le “bollicine” si perdono nel tempo. Se invece provate a lasciare vent’anni una bottiglia di ottimo Champagne in cantina posso dirvi che avrete una buona probabilità di bere un grande vino. Forse la sottostima deriva anche dal fatto che si tratta di un vino storicamente molto legato alla celebrazione di eventi (si ricorda l’enorme picco di vendite registrato per festeggiare la fine del millennio, che qualcuno aveva anche scambiato per la fine del mondo). Invece oggi il discorso si è ribaltato. Un grande aperitivo ha nello Champagne probabilmente la sua espressione più elevata e l’evoluzione del gusto (e della cucina) ha portato gradualmente a un consumo più diffuso all’interno dei pasti. L’articolo continua…

    Fu così che il numero degli Champagne nella classifica del Liv-Ex crebbe cresciuto gradualmente ma costantemente nel corso degli anni, tanto da contarne nove nella classifica dei “100” nel 2022. E di questi nove, ben tre, Dom Perignon, Louis Roederer e Krug sono addirittura classificati nei primi 10 posti lo scorso anno. Alcuni di questi come Salon, Dom Perignon o Roederer sono addirittura sempre stati nella classifica del Liv-Ex da quando la guardiamo (2011), con una posizione media di tutto rispetto, all’interno dei primi 50 in media nel periodo.
    E i prezzi, sono cresciuti di conseguenza, anche se come sta capitando per tutti i vini pregiati, l’andamento nel corso del 2023 è stato negativo. Nel caso degli Champagne, dopo aver moltiplicato per quasi 8 volte i prezzi dal 2003 a ottobre 2022, i prezzi sono scesi del 20% circa negli ultimi 12 mesi. L’incremento è sempre molto importante rispetto allo storico (circa 7 volte a fine ottobre 2023 rispetto a gennaio 2023) ma il calo è più marcato di altre categorie, come i vini di Borgogna (-16%), Bordeaux (-12%) o i grandi vini italiani (-6%).
    Viene quindi da domandarsi se è il momento di comprare. Alcuni segnali il mercati “adiacenti” come il mercato azionario ci sono: l’inflazione rallenta, le banche centrali sono meno propense a ulteriori rialzi dei tassi di interesse (anzi qualcuno inizia a speculare che tra qualche mese si comincerà a ribassarli) e il mercato azionario riprende fiato dopo un fine estate difficile. Il mercato dei grandi vini potrebbe a un certo punto beneficiarne. E nel caso dello Champagne dobbiamo sempre ricordarci che i cinesi non sono ancora arrivati, e quando arrivano loro di solito fanno piazza pulita.
    Quindi, difficile dire se stiamo ancora afferrando un coltello mentre cade (come si dice nel gergo borsistico), ma certamente la categoria dello Champagne è destinata a ricoprire un ruolo importante nel panorama dei grandi vini da collezione.

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    Utili, margini e ritorno sul capitale delle principali aziende vinicole – dati Mediobanca – aggiornamento 2022

    Dopo esserci occupati di chi fattura di più e di chi ha un maggior valore aggiunto continuiamo oggi la nostra analisi dei dati di Mediobanca Research scendendo nel conto economico. Analizziamo cioè chi fa più soldi, sia rispetto a quanto è il fatturato, sia rispetto a quanto è stato investito nell’azienda, almeno da un punto di vista contabile (talvolta le poste di bilancio derivano da rivalutazioni e non veri investimenti). Ad ogni modo, in queste classifiche ovviamente dovremmo escludere le cooperative, che sono in una posizione diversa, avendo come scopo la massimizzazione del ritorno per i soci attraverso il costo del venduto. Come vedete dal grafico qui sotto, chi “vince” dal punto di vista del rapporto tra utile (operativo) e vendite sono Antinori, Frescobaldi e Santa Margherita, mentre chi vince dal punto di vista del ritorno sul capitale sono Bottega, Santa Margherita di nuovo e Mionetto. Più in generale le aziende (30) che analizziamo nel rapporto hanno avuto un fatturato di 5.6 miliardi di euro, un valore aggiunto di 1.2 miliardi (il 21.8% delle vendite contro il 22.4% del 2021) e un utile operativo di 421 milioni, pari al 7.5% del fatturato, di nuovo leggermente sotto il 7.8% dell’anno scorso. Passiamo a una breve analisi dei dati, ricordandovi che nella sezione Solonumeri trovate i dati azienda per azienda degli ultimi anni.

    Se guardiamo ai margini, le aziende più verticalmente integrate ovviamente hanno i risultati migliori. Antinori guida con un valore aggiunto su vendite del 64% e un margine operativo del 33%, entrambi superiori al 2021 quando le rivalutazioni e l’impatto COVID (validi entrambi un po’ per tutti) avevamo determinato una diluuzione. Seguono Frescobaldi e Santa Margherita, con un margine operativo del 31% e 26% rispettivamente, poi si scende all’11% di Masi e qui troviamo tutti gli altri.
    Dal punto del ritorno sul capitale investito, non è più Antinori a guidare la classifica ma bensì Santa Margherita, che combina una forza commerciale importante con un livello di integrazione verticale inferiore, il che limita l’ammontare del capitale investito. Il suo ritorno sul capitale, salvo il 2020 è stato nell’intorno del 16-18% negli ultimi anni. Su un livello simile troviamo Bottega, che però ha dei numeri in valore assoluto piuttosto esigui. Ad ogni modo, nel 2022 è riuscita a generare 6.5 milioni di utile operativo con 41 milioni di capitale investito e quindi sta intorno al 16%. In doppia cifra in termini di capitale investito troviamo poi Mionetto, Frescobaldi, Pasqua, Villa Sandi e Schenk Italia.
    Vi lascio ai numerosi grafici e tabelle.

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