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Gruppo Italiano Vini (GIV) – risultati 2018

Il 2018 non è decisamente stato un buon anno per il gruppo GIV. I riflessi negativi della vendemmia 2017, cumulati con le difficoltà commerciali del gruppo (soprattutto fuori dai confini nazionali a guardare i dati in calo) si sono tradotti in un forte deterioramento dei margini, con il dimezzamento dell’utile operativo (da 17 a 8 milioni di euro, che sono pochi per un gruppo che fattura quasi 400 milioni) e un utile netto salvato presumibilmente dalla contabilizzazione dei benefici straordinari relativi al patent box (la nota integrativa non ne fa menzione, purtroppo). La struttura finanziaria peggiora, con un debito che passa da 116 a 129 milioni di euro. Dopo il piano triennale 2015-2017 che aveva portato a un buon miglioramento dei margini (passati dal 2.8% del 2014 al 4.5% del 2017), nel 2018 GIV è tornata al punto di partenza. Nella relazione si legge che nel 2019 verrà approntato un nuovo piano con una focalizzazione sulla valorizzazione delle cantine del sud Italia, l’internalizzazione dell’importazione di tutti i marchi attraverso la propria controllata americana (chissà perchè non è stato fatto prima) e l’acquisizione della proprietà dei marchi Bolla e Fontana Candida per il mercato americano. Ma per ora concentriamoci sui dati 2018.

  • Le vendite sono stabili a 388 milioni, +0.7%, con un progresso del 7% sul mercato italiano a 98 milioni di euro e un calo dell’1.2% delle vendite all’estero. Purtroppo non esistono molti dettagli circa l’andamento per regione. In Cina comunque il gruppo dichiara vendite per 1.2 milioni di euro (e 410mila euro di perdite), la controllata tedesca 16 milioni di euro, quella americana (che però non distribuisce tutti i marchi) ha fatturato 98 milioni di euro con un bilancio in pareggio. La controllata francese Carniato ha invece fatturato 71 milioni di euro, ma distribuisce anche altri prodotti italiani oltre al vino del gruppo.
  • Tutti i costi salvo quello del personale sono cresciuti in percentuale alle vendite: gli acquisti esterni passano dal 57.7% al 58.3%, i servizi esterni dal 21.5% al 22.8%, gli altri costi dal 22.7% al 24.3%. Dunque l’EBITDA scende da 28 a 19 milioni di euro, dal 7.3% al 4.8% del fatturato. Il calo degli ammortamenti da 11 a 10 milioni limita un po’ il calo dell’utile operativo, da 17 a 8 milioni di euro, mentre sono i proventi da partecipazioni (5 milioni di euro) che fanno girare la parte finanziaria in positivo e limitano il calo dell’utile pretasse a 2.5 milioni, da 13.3 a 10.8 milioni. Con una tassazione del 24% (di cui abbiamo detto sopra) contro il 39% del 2017, l’utile netto è rimasto stabile a 7.2 milioni di euro.
  • La parte finanziaria vede un incremento del debito da 116 a 129 milioni di euro. La ricostruzione non è semplice, ma un paio di numeri sono chiari: gli investimenti che sono cresciuti da 8 a 15 milioni di euro e il pagamento di 5 milioni di dividendi (un po’ meno dell’anno prima). Il capitale investito tocca quota 284 milioni di euro, il ritorno sul capitale prima delle tasse cala al 3% dal 6.5% dello scorso anno.
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