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SPUM.E, il progetto di ricerca per un distretto della spumantistica umbra


Sono stati presentati ieri 30 settembre a Gubbio, al Park Hotel ai Cappuccini, i risultati del progetto di ricerca SPUM.E che pone le basi per la possibile nascita di un distretto della spumantistica umbra che potrebbe andare a valorizzare le zone montane dell’Appennino in via di abbandono, promuovendone recupero e reinsediamento.

SPUM.E (acronimo di Spumantistica Eugubina) è un progetto di valutazione della sostenibilità ambientale, economica e sociale della produzione di basi spumante sulla fascia appenninica Eugubino Gualdese, già riconosciuta storicamente per la produzione di vini di qualità, finanziato dalla Regione Umbria tramite PSR, realizzato dai ricercatori del Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali dell’Università degli Studi di Milano, e che ha visto il coinvolgimento delle aziende agricole Semonte e, come partner, Arnaldo Caprai e Leaf (azienda di consulenza per il settore vitivinicolo).

L’Umbria, infatti, possiede una grande superficie coltivabile in quota: oltre il 25% della superficie regionale si trova sopra i 600 m s.I.m. che ben si adatterebbe ai nuovi scenari climatici e produttivi.

«È in questo senso – ha spiegato il professor Leonardo Valenti del Dipartimento di Scienze agrarie e ambientali, produzione, territorio, agroenergie dell’Università degli studi di Milano – che la pianificazione territoriale può assumere un ruolo chiave nell’azione di contrasto ai cambiamenti climatici e ai loro impatti. In Umbria quasi il 40% della superficie si trova ad altezze tra i 200 m e i 400 m s.l.m., il 26% tra i 400 m e i 600 m, il 13% tra i 600 m e gli 800 m, e il 14% a più di 800 m. La maggior parte delle attività vitivinicole umbre oggi occupano superfici tra i 200 m e i 600 m s.l.m. e si trovano sempre più frequentemente a dover affrontare le conseguenze degli eventi meteorologici estremi (primi tra tutti gelate e improvvise onde di calore) che, mettendo a repentaglio la quantità e qualità della produzione, con ripercussioni negative sulla loro capacità competitiva. Tenuto in considerazione quanto finora ricordato, il progetto SPUM.E ha avuto l’ambizione di analizzare gli effetti di un impianto vitato innovativo per la produzione di basi spumante sulla fascia appenninica Eugubino-Gualdese oggetto di recenti verifiche qualitative sulla vocazionalità tecnologica della spumantizzazione. Il successo del progetto non avrebbe, tra l’altro, il solo effetto di sperimentare la fattibilità e la competitività di un vigneto specializzato impiantato a nuove altitudini nel totale rispetto dell’ecosistema appenninico, ma contribuisce a costituire uno dei primi esempi virtuosi di recupero dell’economia rurale in un territorio che soffre fenomeni di abbandono, invecchiamento e depauperamento delle attività economiche».

In Italia il 9% dei vigneti (dato Osservatorio UIV) è coltivato a più di 700 metri sul livello del mare, quota che segna il discrimine tra collina e montagna.

«Da un lato è evidente come, a causa dei cambiamenti climatici in atto e del conseguente innalzamento delle temperature, i terreni in quota – ritenuti in passato inadatti alla viticoltura, se non “eroica”, e non di rado abbandonati da decenni proprio per la loro improduttività – possano dimostrarsi ora ideali per la coltivazione della vite, in fuga da calore e siccità, e quindi fungere da volano per la nascita di una nuova imprenditoria legata al vino», sottolinea Marco Caprai.

Infatti, l’areale viticolo eugubino di montagna, si caratterizza per precipitazioni abbondanti (1.050 mm all’anno) e ben distribuite lungo l’anno. Dal punto di vista termico l’areale si caratterizza, soprattutto alle quote più elevate, per la ridotta frequenza di ondate di calore (meno di 20 giorni all’anno con temperature estive superiori a 32 °C contro una media di quasi 50 giorni per le zone di pianura dell’areale viticolo perugino). Insomma, i cambiamenti climatici possono essere visti anche come una grande opportunità per le produzioni viticole nelle aree di montagna, come ha precisato Gabriele Cola del Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali, Produzione, Territorio, Agroenergie, Università degli studi di Milano.

Le temperature miti riducono i consumi idrici della vite e questo, insieme con l’ottimale disponibilità idrica, garantisce uno sviluppo equilibrato della vite durante tutto il suo ciclo di sviluppo. Il regime delle temperature, con ridotte condizioni di eccesso termico, favorisce una maturazione ideale delle uve. Queste condizioni, nei due anni di sperimentazione, hanno portato alla produzione di vini, la cui analisi sensoriale ha confermato la forte potenzialità dell’area per la produzione di basi spumante.

Gli studi di SPUM.E sono partiti dal vigneto sperimentale di 6 ettari impiantato tra il 2017 e il 2019 a Chardonnay e Pinot Nero (i due vitigni ideali per la spumantizzazione Metodo classico) in località San Marco di Gubbio dall’azienda agricola Semonte, di proprietà della famiglia Colaiacovo, a una quota compresa tra i 750 e gli 850 metri di altitudine, su terreni abbandonati che, in passato, erano stati utilizzati come seminativo e poi come pascoli.

«La nostra area è fortemente vocata alla viticoltura – ha detto il sindaco di Gubbio, Vittorio Fiorucci –. Negli anni ’70 c’è stato un abbandono di questa pratica, una scelta castrante per il territorio. Il progetto SPUM.E quindi ha una grande importanza per riportare in vita una fiorente coltivazione della vite nella nostra area».

Gli studi condotti per due anni dai ricercatori hanno rilevato come la qualità delle uve sia ottimale e migliore rispetto a quelle allevate a bassa quota. La vendemmia è più tardiva rispetto alla pianura e anche le necessità idriche sono decisamente inferiori.

Nel vigneto sono state anche installate moderne tecnologie per realizzare un vigneto a basso impatto ambientale nell’agro-ecosistema appenninico. L’impianto è gestito con utilizzo di tecnologie innovative (IoT) capaci di analizzare il microclima del vigneto e le risposte fisiologiche delle piante (come le tecnologie di monitoraggio continuo delle variabili meteorologiche, di modellizzazione degli eventi avversi, dello sviluppo delle malattie, di contenuto idrico dei suoli, dell’attività fisiologica della vite). Le previsioni delle IoT permettono, se adeguatamente informatizzate e connesse, di portare a piena produttività i vigneti di qualità annullando l’impatto sull’ambientale e minimizzando il consumo di risorse primarie.

Dai sei ettari di vigneto sono già stati messi in bottiglia degli spumanti metodo classico che debutteranno a Vinitaly 2025, sia per l’azienda Semonte sia per l’azienda Arnaldo Caprai. Entrambe producono con successo degli spumanti rifermentati in bottiglia già molto apprezzati dal mercato.

La produzione dell’Arnaldo Caprai Brut, ad esempio, nel giro di pochi anni è passata da poche migliaia di bottiglie, a oltre 10mila. Quantità che sono destinate a crescere nei prossimi anni per raggiungere, anche grazie al progetto SPUM.E, un’ipotetica quota di 25mila. Anche Semonte produce il suo Metodo classico, attualmente in 5mila bottiglie e l’intenzione è quella di raggiungere una produzione di 15mila.

«Le aziende Arnaldo Caprai e Semonte – ha sottolineato Roberto Morroni, assessore alle Politiche agricole e agroalimentari, Sviluppo Rurale, Programmazione Forestale e Sviluppo della montagnadanno un segnale forte a un mondo dell’imprenditoria che troppo spesso chiude gli occhi davanti a delle opportunità. Nei territori marginali, che non hanno la capacità di mettere in campo progettualità, condizioni di vita, economiche e di servizi, non potremmo che assistere al loro spopolamento. Il progetto SPUM.E va quindi nella direzione giusta».

I dati emersi dalla ricerca per il progetto SPUM.E potrebbero stimolare la nascita di un vero e proprio distretto della spumantizzazione in Umbria, oltre che essere da esempio virtuoso per altri territori montani italiani.

Secondo lo studio, «l’11,3% della superficie agricola utilizzata (SAU) in Umbria, con buona idoneità alla coltura della vite, si trova in montagna, in aree risultate fragili dal punto di vista socio-economico e in cui nuovi investimenti potrebbero dare nuova linfa all’economia rurale», ha spiegato Chiara Mazzocchi, professore associato in Economia agraria dell’Università di Milano.

Inoltre, se si considerano le aree che, dal punto di vista climatico, idrologico e pedologico sono risultate avere alta idoneità alla coltura della vite, la quota che si trova in montagna sale a più del 20% del totale. Questo significa anche che si può ipotizzare una maggior idoneità di queste aree alla coltura di quei vitigni che necessitano di particolari condizioni per produrre uve adatte alla spumantizzazione. Ci potrebbe essere, dunque, una doppia valorizzazione delle aree montane appenniniche: quella economica e quella sociale.

«I vigneti in forte pendenza sono ampiamente distribuiti nella regione mediterranea e svolgono un importante ruolo nella produzione vinicola, nello sviluppo economico locale e nel mantenimento del patrimonio culturale, fatto di antichi saperi legati a tradizioni centenarie», ha aggiunto Paolo Tarolli, professore ordinario in Idraulica Agraria dell’Università di Padova.

La ricerca ha portato a una mappatura dei Comuni che ospitano le aree più adatte alla coltivazione della vite, integrata da un indicatore di fragilità socio-economica dei Comuni stessi, mettendo in evidenza quali aree sarebbero più interessanti per eventuali investimenti.

Infine, una critica costruttiva che guarda al futuro: lo spopolamento dei territori e la polverizzazione fondiaria sono ostacoli indiretti, divenuti endemici dei territori montani con la conseguente difficoltà per l’impresa di reperire terreni vitati o “vitabili”, spesso posseduti pro indiviso da proprietari numerosi e disinteressati a qualsiasi recupero. In quest’ottica è auspicabile un provvedimento per agevolare la ricomposizione fondiaria, necessario non solo per il sostegno alla viticoltura ma in generale per l’intera agricoltura di montagna. Da tenere in considerazione sono anche le difficoltà legate all’abolizione della compravendita dei diritti di reimpianto e la necessità, anche in quest’ottica, di provvedimenti agevolativi per la vitivinicoltura montana.

A chiudere la sessione del convegno dedicata alla presentazione della ricerca è stato Fabio Zottele, membro del Comitato tecnico scientifico del Centro di Ricerche, Studi e valorizzazione per la Viticoltura Montana CERVIM: nato nel 1987 per volontà della Regione autonoma della Valle d’Aosta e sotto gli auspici dell’Organisation Internationale de la Vigne et du Vin (OIV), si propone di valorizzare e promuovere la viticoltura eroica, caratterizzata da forti pendenze, piccole superfici, difficoltà di gestione, elevati costi di produzione ma anche da un inestimabile valore paesaggistico e socioculturale.

Il convegno si è concluso con la tavola rotonda a cui hanno preso parte Donatella Tesei, presidente della Regione Umbria; Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura e di Copa (Comitato delle Organizzazioni Professionali Agricole), che rappresenta oltre 22 milioni di agricoltori in tutta Europa; Ermete Realacci, presidente di Fondazione Symbola; Giovanni Colaiacovo, titolare di Semonte; e Marco Caprai, amministratore delegato dell’Azienda agricola Arnaldo Caprai.

Ecco la frase chiave degli interventi di ognuno:

Ermete Realacci: «SPUM.E è un progetto ambizioso: c’è bisogno di imprenditori e sindaci che accettano questa sfida».

Marco Caprai: «L’ambizione di SPUM.E è anche quella di creare delle reti d’impresa che vadano a sopperire alle piccole dimensioni delle aziende agricole. Le dimensioni ridotte, infatti, non sono più sostenibili in viticoltura».

Giovanni Colaiacovo: «Il recupero delle zone montane abbandonate grazie all’idea di una produzione spumantistica di alta qualità può essere una grande opportunità per i giovani, per restare nella nostra terra e trovare nuove vie di redditività soddisfacenti e sostenibili».

Massimiliano Giansanti: «Il valore del progetto SPUM.E è che alla base c’è un progetto agricolo reale e sostenibile, ed è per questo esempio di ciò che anche in sede europea va privilegiato e sostenuto anche finanziariamente».

Donatella Tesei: «Oggi l’Umbria è conosciuta in tutto il mondo e il progetto SPUM.E sono certa che può portare ulteriore riconoscibilità alla nostra regione. È un progetto che si basa su degli studi e sul valore della produzione, essenziale per qualsiasi impresa agricola. Un progetto che credo sia molto utile per il nostro territorio, perché i nostri Appennini devono tornare a rivivere. SPUM.E parla dell’orgoglio di questi Appennini nel vedere sviluppare la sua comunità».

Didascalia mappa a corredo:

Mappa di idoneità alla coltivazione della vite per la realizzazione di base spumante in Umbria, basata sull’aggregazione di quattro indicatori climatici (stress termico, evapotraspirazione, gelate tardive, indice di Winkler), 1994-2023, elaborazione Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali, Università degli studi di Milano, su dati forniti da Ania Geosafe.

Con il termine “idoneità” si intende il terreno disponibile alla coltivazione della vite, ma il terreno che risulta essere potenzialmente idoneo dal punto di vista climatico; quindi, non tutti i terreni identificati come idonei sono anche disponibili.

APPROFONDIMENTO CLIMATICO

Proprio dal punto della difesa della vite, il progetto ha dimostrato che, a fronte di venti monitoraggi settimanali effettuati tra i mesi di aprile e luglio, il vigneto in quota ha registrato -40% di eventi infettivi di peronospora e odio rispetto al vigneto a quote più basse per il pinot nero e -60% per lo Chardonnay. Queste osservazioni, che sembrano qualificare i nuovi ambienti come più semplici da gestire dal punto di vista fitosanitario, aiutano a rendere più sostenibile l’attività di difesa delle vite che, invece, è risultata particolarmente difficile negli ultimi anni in tutte le zone viticole d’Italia. Anche i primi dati dell’analisi della biodiversità in vigneto e nelle zone di contorno (analisi ancora in corso operate dell’Associazione WORLD BIODIVERSITY ASSOCIATION ONLUS) sembrano confermare il basso o nullo impatto antropico su suolo, acqua e aria.

Per quanto concerne lo sviluppo fenologico della vite, ovvero le fasi di sviluppo durante il ciclo annuale, le differenze tra le piante in quota rispetto a quelle ad altitudini inferiori sono marcate.

Se l’inizio del germogliamento è pressoché simultaneo, con l’avanzare della stagione le differenze si rivelano marcate. La fioritura nel Pinot Nero, che a quote più basse è iniziata tra la fine maggio e i primi giorni di giugno, nel vigneto in quota è iniziata dopo la prima decade di giugno (tra il 10 e 13 giugno) evidenziando un ritardo di circa dieci giorni di sviluppo. Lo stesso ritardo si conferma per la fase di invaiatura (ovvero di colorazione degli acini) e per quella di maturazione tecnologica delle uve. La vendemmia, infatti, è iniziata il 12 agosto per il pinot nero a quote più basse e solo il 27 agosto per il pinot nero a quote elevate (addirittura il 7 settembre nel 2023), con una differenza di ben quindici giorni di maturazione. Le uve dei vigneti in quota beneficiano di un periodo più lungo di maturazione che favorisce la produzione di mosti più ricchi e complessi.

Infine, da una primaria caratterizzazione viticola degli areali (analisi da confermare con i dati dell’ultima parte della stagione in corso) sembrerebbe che i siti in quota sull’Appennino eugubino abbiano risorse termiche stagionali tipiche di zone produttive di vini bianchi e vini spumante di qualità. Infatti, secondo l’analisi di uno dei principali indici bioclimatico utilizzati in viticoltura, l’indice di Winkler, ovvero la sommatoria delle temperature giornaliere al di sopra delle quali la vite ha un’attività vegeto-produttiva, il vigneto sperimentale rientrerebbe nell’areale viticolo di Tipo II, ovvero quello che caratterizza ambienti con un clima mediamente freddo come le aree viticole di Bordeaux e dell’Alsazia. Le zone di pianura dell’areale viticolo perugino, invece, ricadono nell’areale viticolo di Tipo IV di Winkler, ovvero quello che caratterizza ambienti con un clima caldo e più adatto a varietà come Alicante, Malvasia, Grenache o Sangiovese per la produzione di vini da invecchiamento.

> AZIENDA AGRICOLA ARNALDO CAPRAI IN SINTESI

Poche altre cantine in Italia e nel mondo vengono identificate immediatamente solo citando il nome della denominazione a cui appartengono, come la Arnaldo Caprai, simbolo essa stessa del Sagrantino di Montefalco. Una realtà unica, sinonimo di eccellenza italiana, capace di creare vini fuori dal comune per profondità, eleganza e longevità: non solo rossi, ma anche bianchi. Il merito di questa avventura iniziata alla fine degli anni Settanta è di Marco Caprai, figlio di Arnaldo. È stato lui, infatti, più di chiunque altro a credere nella ricchezza del Sagrantino, reinterpretandolo in chiave moderna, attraverso i più innovativi metodi di produzione e di gestione aziendale, che gli hanno permesso di conquistare così i favori del pubblico e della critica di tutto il mondo. Non da meno i bianchi: il Grecante Arnaldo Caprai, 100% Grechetto, è riuscito a conquistare la Top100 di Wine Spectator.

Una grande azienda, la Arnaldo Caprai, che custodisce un’anima green, considerando fondamentali le tematiche riguardanti la sostenibilità, la tutela e la salvaguardia dell’ambiente. Il punto di osservazione resta sempre lo stesso: cercare di comportarsi in armonia con i cicli evolutivi naturali, preservando e valorizzando il territorio in cui si opera. Per questo l’azienda ha deciso di creare un Sistema di Gestione Ambientale conforme alle normative internazionali, sviluppando un protocollo volontario territoriale di sostenibilità ambientale, economica e sociale del processo produttivo.

È in questo contesto senza pari, che nascono vini di indimenticabile stoffa, complessi ed eleganti, capaci di raccontare il meglio di tutta una regione, l’Umbria.

www.arnaldocaprai.it

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Fonte: https://www.bereilvino.it/feed/

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