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    Marilena Barbera: il vino come scelta, come vita

    Seguo Marilena Barbera da quando ho iniziato a muovere i primi passi nel mondo del vino. Era il 2010 e i social erano ancora un luogo di scambio fertile, non una vetrina autoreferenziale. Su Facebook si trovavano pensieri liberi, profondi, a volte taglienti. E quelli di Marilena mi arrivavano sempre dritti. Leggevo ogni suo post, ogni commento — specialmente su Intravino — come si leggono le parole di chi sa osservare, di chi non si tira indietro, di chi ha qualcosa da dire. Ricordo di averle scritto un paio di volte, semplicemente per ringraziarla.

    Eppure, non ci eravamo mai incontrati. Ci avevamo quasi provato a Vinitaly nel 2017, ma poi un’intervista per la Rai la tenne lontana dal banco d’assaggio e io lasciai perdere. A volte le cose accadono quando devono accadere. E succede, con alcune persone, che si crea una connessione invisibile e immediata, ancora prima di scambiarsi un sorriso. Un po’ come succede con certi vini: sai che sono tuoi, anche se non li hai ancora bevuti.

    A giugno di quest’anno, grazie alla manifestazione Sicily on Wine, quell’incontro è finalmente avvenuto. E tutto si è confermato: la voce, i gesti, il vino. Ogni dettaglio parlava di lei. E parlava della Sicilia, di una Sicilia autentica, ruvida e luminosa, fatta di mare, vento e parole scelte con cura.

    Marilena è tornata a Menfi dopo anni altrove. La chiamava la vigna piantata da suo nonno e coltivata da suo padre. Un luogo, Belicello, che non è solo un’azienda agricola, ma un crocevia emotivo e simbolico. Quando racconta il suo percorso non lo fa mai con toni epici: non c’è retorica nel suo modo di stare al mondo. Solo una consapevolezza profonda e, forse, faticosa. Una scelta che ha il sapore delle cose definitive: fare il vino come atto politico ed etico, come gesto di restituzione verso la terra.

    “Il vino è uno dei migliori ambasciatori dell’Italia nel mondo” — dice. E in effetti lei, che sognava di diventare diplomatica, è riuscita a esserlo a modo suo. Una diplomazia del cuore e della testa, che passa dai bicchieri, dai racconti, dalla coerenza.

    I vini di Marilena non vogliono piacere a tutti, ma parlano chiaro. Sono figli di una viticoltura biodinamica e di una vinificazione naturale. Niente forzature, niente scorciatoie. Soltanto uva, territorio, tempo. E un approccio rispettoso, artigianale, capace di ascoltare ogni annata per ciò che è.

    Ogni vino è un racconto che prende forma dal paesaggio, dalle mani e da una visione profonda. C’è la freschezza luminosa del Tivitti 2024, un’Inzolia che sa di mare e agrumi e scorre lieve come un pensiero pulito. La Bambina 2020, rosato da Nero d’Avola (60%) e Frappato (40%), è un omaggio alle donne, alla loro forza gentile, alla capacità di scegliere, lottare e trasformare: un vino delicato ma deciso, capace di lasciare il segno. Arèmi 2023 è un Catarratto che porta con sé luce e memoria e racconta il tempo lento della terra. Ammàno 2023 è un gesto, prima ancora che un vino: uno Zibibbo salato e floreale, fatto solo con l’uva e con l’intenzione. Lu Còri 2023 è un Nero d’Avola generoso e succoso, che sa tenere insieme sole e vento, frutto e sale. Ciàtu 2021 (alito, respiro), da uve Alicante, ha l’anima calda e profonda: il respiro della vita che si fa vino. E poi c’è Coda della Foce 2016, un Nero d’Avola che arriva da lontano, si è trasformato nel tempo e oggi si presenta elegante e potente, con una voce tutta sua, capace di restare impressa.

    Non si nasconde, Marilena, dietro le etichette del “naturale” o del “biodinamico”. Anzi, le decostruisce con lucidità: “Per me è un problema soggettivo di gusto, e oggettivo di consapevolezza”. Una frase che potrebbe sintetizzare tutto il suo approccio.

    C’è nei suoi racconti una costante tensione verso la verità: quella del vino, della terra, delle persone. Lo si avverte nel modo in cui parla di sé, di Menfi, del Belìce, dei piccoli produttori che resistono, nonostante tutto. “Sostenere il lavoro dei piccoli agricoltori è una scelta politica ed etica”, dice Marilena, non è solo vino: è una visione.

    L’ho riconosciuta in un bicchiere, quella visione. In una domenica infuocata  di giugno, nel silenzio severo e accogliente del Monastero seicentesco dei Padri Olivetani, a Chiusa Sclafani. Vini di grande personalità, ogni bottiglia è un gesto di cura, un atto di appartenenza. Una Sicilia che non si concede facilmente, ma che ti resta dentro.

    Ci sono vignaioli che si limitano a produrre buoni vini. E poi ci sono quelli che fanno un po’ più di rumore, che aprono discorsi, che scardinano abitudini. Marilena Barbera appartiene a questa seconda specie. È una donna del vino e una donna del pensiero. E il suo vino — come la sua voce — non si limita a raccontare un territorio: lo interroga, lo ridefinisce, lo tiene vivo. LEGGI TUTTO

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    Nero d’Avola, il progetto InnoNDA conclude la ricerca e presenta i risultati

    Si conclude oggi il progetto InnoNDA. Il progetto, acronimo di Innovazione delnero d’Avola, è stato lanciato nell’aprile 2024 e ha esplorato nuove strategie produttive per vini ottenuti da Nero d’Avola. Il progetto ha concluso la ricerca formalmente a giugno 2025.Stimolante la sfida: affrontare i cambiamenti climatici e il maggiore grado alcolico, così come dare una risposta alle richieste dei consumatori. Conseguentemente, proporre soluzioni innovative e sostenibili, senza mai perdere di vista l’identità territoriale e la personalità del nero d’Avola, il vitigno a bacca rossa più importante e diffuso sull’Isola.
    Il progetto, guidato da Assovini Sicilia con il supporto scientifico della Prof.ssa Daniela Fracassetti e della Prof.ssa Ileana Vigentini dell’Università degli Studi di Milano, dei laboratori di ISVEA e di quattro cantine – Tenuta Rapitalà, Feudi del Pisciotto, Dimore di Giurfo e Tenute Lombardo – è stato finanziato nell’ambito della Sottomisura 16.1 del PSR Sicilia 2014-2022, ed ha previsto due cosiddette Giornate di Campagna – svoltesi presso Feudi del Pisciotto e Tenuta Rapitalà – durante le quali gli esiti della ricerca sono stati presentati alle aziende siciliane.
    “InnoNDA è un progetto di ricerca complesso vitivinicolo – afferma Mariangela Cambria, presidente di Assovini Sicilia – ma anche un esempio concreto di come la collaborazione tra imprese e università possa generare innovazione a beneficio di tutto il settore. Il progetto accende un riflettore su alcune difficili problematiche che le aziende del vino siciliane potrebbero trovarsi ad affrontare in futuro. Al contempo, suggerisce alcune soluzioni nell’arena competitiva, senza tuttavia tradire l’identità del vitigno”.
    Quattro le aree di lavoro affrontate dal progetto:
    Strategie tecnologiche per la riduzione dell’alcol
    Sono state sperimentate tecniche fisiche e a membrana per la rimozione dell’etanolo, come l’evaporazione sotto vuoto, l’osmosi inversa e il contattore membrana, per ottenere Nero d’Avola con gradazioni più basse mantenendo qualità e identità sensoriale. La ricerca ha, tra l’altro, evidenziato come i vini affinati in legno mantengano meglio struttura e complessità rispetto ai vini affinati in acciaio. È stato valutato l’impiego delle tecnologie a membrana che consentono di poter limitare la perdita degli aromi fruttati e floreali, restituendo vini equilibrati e piacevoli.
    Strategie microbiologiche
    La ricerca ha indagato il comportamento dei lieviti non-Saccharomyces in combinazione con il ben noto Saccharomyces cerevisiae. Lo studio ha osservato come questi consorzi microbici permettano di ridurre il grado alcolico fino al 2%, migliorando l’intensità aromatica e le note fruttate e floreali, molto importanti per il Nero d’Avola. È stata avviata la ricerca utilizzando la tecnica di Evoluzione Adattativa in Laboratorio (ALE) che consentirà di selezionare ceppi di lievito (non OGM) capaci di produrre meno etanolo e più glicerolo, migliorando le sensazioni morbide e rotonde del vino.
    Uso delle anfore per macerazione e affinamento
    Il progetto ha verificato l’impatto della terracotta (anfore vinarie di varie gradazioni di porosità, tradizionalmente realizzate mediante cottura dell’argilla) nella vinificazione. Lo studio ha evidenziato l’efficacia nell’esaltare le note speziate, balsamiche e vegetali. Le macerazioni lunghe, inoltre, hanno condotto a profili particolarmente eleganti e meno amari. Per l’affinamento, l’uso di anfore con diversa porosità ha permesso di ottenere vini maggiormente persistenti, floreali e fruttati, soprattutto se messi a confronto con le produzioni in acciaio.
    Studio della biodiversità del Nero d’Avola
    Il progetto InnoNDA ha mostrato la ricchezza genetica e fenolica del Nero d’Avola siciliano. Le vigne vecchie, rispetto a quelle più giovani, sembrano mantenere un contenuto più alto di acidità e una migliore concentrazione di antociani e flavonoidi, tutti elementi decisivi per determinare colore e struttura, ma anche longevità in un vino. Le fermentazioni spontanee, poi, evidenziano un microbiota ricco, diversificato e legato al territorio. Elementi distintivi capaci di caratterizzare il profilo aromatico dei vini.
    “Il progetto InnoNDA ha dimostrato la possibilità concreta di ridurre l’alcol nei vini Nero D’avola, rispondendo così alla crescente richiesta di vini a bassa gradazione e offrendo una strategia efficace per contrastare gli effetti del cambiamento climatico – dice Daniela Fracassetti, responsabile scientifica del progetto – L’utilizzo delle anfore si è rivelato adatto alla vinificazione del Nero d’Avola, valorizzandone le caratteristiche sensoriali tipiche. Inoltre, le differenze osservate nella composizione dei mosti ottenuti da vigneti di età e provenienza diverse indicano l’importanza del terroir e dell’età delle viti sulla qualità finale del vino. La combinazione tra tecniche innovative, riduzione del tenore alcolico e valorizzazione delle peculiarità territoriali contribuisce ad arricchire la conoscenza sul Nero d’Avola e a rafforzare l’identità della viticoltura siciliana. Visti i risultati promettenti raggiunti in poco più di un anno di attività, è auspicabile proseguire la ricerca per consolidare e approfondire le evidenze ottenute.”
    Un modello per il futuro
    Il progetto InnoNDA muove un passo deciso verso modelli produttivi estesi, apportando innovazione, sostenibilità, e rispondendo ai cambiamenti climatici e alle mutevoli richieste dei consumatori, senza rinunciare all’identità del Nero d’Avola.
    Capofila del progetto InnoNDA: Assovini SiciliaPartner scientifici: Università degli Studi di Milano, ISVEACantine partner: Rapitalà, Feudi del Pisciotto, Dimore di Giurfo, Lombardo ViniFinanziato da PSR Sicilia 2014-2022 – Sottomisura 16.1
    Photogallery: https://innonda.org/photo-gallery/
    Per ulteriori informazioniUfficio Stampa InnoNDA, Francesco Pensovecchio – press@innonda.org LEGGI TUTTO

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    Collio da uve autoctone: la forza di un’identità condivisa e il tempo ritrovato del vino bianco

    C’è un progetto che, senza grandi proclami sta cambiando il modo in cui guardiamo al vino bianco italiano. Un progetto nato dal basso, tra strette di mano e confronti sinceri tra produttori che credono nella forza di un’identità territoriale autentica. “Collio da uve autoctone” non è solo un nome su un’etichetta: è la dichiarazione concreta di un’idea di vino che rimette al centro il luogo, la storia e soprattutto il tempo.

    In un mondo del vino che ha spesso insegnato a pensare il bianco come prodotto di pronta beva, il Collio Bianco da uve autoctone dimostra invece che eleganza, complessità e capacità evolutiva possono convivere in un calice che sa parlare anche a distanza di anni dalla vendemmia. Anzi, è proprio dopo qualche anno che questi vini riescono a raccontare la loro verità più profonda, con sfumature che emergono grazie a un affinamento naturale e rispettoso, in bottiglia e nel tempo.

    Voci diverse, un solo territorio

    L’idea alla base del progetto è semplice e al tempo stesso dirompente: realizzare un vino bianco Collio DOC utilizzando esclusivamente le tre varietà storiche del territorio – tocai Friulano, ribolla gialla e malvasia istriana – le stesse che per decenni hanno modellato il paesaggio agricolo e la cultura contadina di queste colline. Un uvaggio tradizionale, certo, ma riscoperto con spirito contemporaneo, per dare vita a una tipologia chiara, riconoscibile e profondamente legata al luogo.

    A differenza di molte versioni di Collio Bianco realizzate con varietà internazionali (che il disciplinare pure ammette), qui si è scelto di fare un passo indietro come azienda per farne uno in avanti come collettività. Un vino corale, insomma, dove il territorio viene prima del brand, l’identità prima del marketing.

    Coltivare insieme un’idea

    Il seme del progetto è stato piantato tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020 da Kristian Keber (Edi Keber), Andrea Drius (Terre del Faet), Fabijan Muzic (Muzic) e Alessandro Dal Zovo (Cantina Produttori di Cormòns). A loro si sono presto uniti Buzzinelli e Korsic, seguiti poi da La Rajade, Ronco Blanchis, Marcuzzi, Vigne della Cerva, Manià, con nuove adesioni già in arrivo. Insieme hanno dato vita a una vera e propria “linea” di Collio Bianco da uve autoctone, ciascuno con la propria interpretazione, ma tutti sotto un unico messaggio: riportare il Collio al centro della scena, non più come somma di stili aziendali, ma come espressione univoca di territorio.

    In questo senso, l’etichetta è tutt’altro che un dettaglio grafico: è un manifesto. Il nome “Collio” torna ben visibile, scritto grande, come si usava un tempo, quando bastava quella parola per evocare eleganza, longevità e personalità.

    Ma è nel calice che il progetto trova la sua massima forza espressiva: qui, più che altrove, si coglie come il bianco friulano possa – e debba – essere pensato su una scala temporale più lunga, abbandonando l’idea che solo il rosso meriti l’attesa.

    Sarebbe il caso che i produttori, soprattutto nei territori storicamente vocati ai bianchi, iniziassero a interrogarsi più seriamente su questo tema: nessuno mette in discussione la necessità di uscire con dei vini bianchi d’annata e di pronta beva, ma quando ci si trova di fronte a un bianco con un reale potenziale di invecchiamento, ha davvero senso immetterlo sul mercato dopo appena cinque mesi dalla vendemmia? I Collio Bianco da uve autoctone dimostrano che la risposta è no. Che il tempo è un ingrediente essenziale, non un ostacolo logistico. E che la longevità, oggi, può diventare un valore comunicabile anche per i bianchi. In questo, ristoratori e comunicatori hanno un ruolo fondamentale

    i quattro produttori che hanno dato vita al progetto

    Un messaggio che matura nel tempo

    Dietro al progetto non c’è un’associazione formale, né un disciplinare alternativo. Ma c’è una visione comune, forse ancora più forte. Un’idea di vino che si nutre di ascolto, dialogo e rispetto per la storia. Come ha detto Andrea Drius: «Avremo vinto quando si dirà “beviamo un Collio” e nessuno chiederà di che uva si tratta, ma tutti sapranno cosa aspettarsi».

    Non è solo una questione di stile. È un messaggio che va oltre la bottiglia, parla di coerenza, di scelte agronomiche consapevoli (le uve piantate dove rendono meglio, come si faceva un tempo), di valorizzazione del paesaggio, di orgoglio locale.

    E se oggi il Collio Bianco da uve autoctone può contare su annate invecchiate capaci di raccontare il potenziale espressivo di questi vini nel tempo, è anche perché qualcuno ha avuto il coraggio di investire sulla permanenza in cantina, sulla costruzione di memoria liquida, sull’educazione del palato. LEGGI TUTTO

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    -346m – Nel blu più profondo del lago: Cantine di Verona presenta la Summer Edition di Cantina Colli Morenici

    Cantine di Verona prosegue il racconto dei territori scaligeri con -346m – Nel blu più profondo del lago, la nuova Summer Edition di Cantina Colli Morenici. Dopo la versione invernale dedicata alla Lessinia, altopiano che si estende tra le province di Verona, Vicenza e Trento, il Garda DOC Spumante rende omaggio alle profondità più affascinanti del lago e celebra uno dei luoghi più emblematici del veronese. Il nome richiama il punto di massima profondità delle acque lacustri, raggiunto al largo di Castelletto di Brenzone.La bottiglia è decorata con una serigrafia integrale, un racconto visivo che, partendo dal basso, svela i tesori nascosti del Garda, tra statue, relitti, fondali e pesci: la nave Berardi affondata nel 1977 a Salò, la Secca del Trimelone, sito di immersione a Brenzone, le sculture sommerse di Bacco e Venere a Manerba del Garda e, infine, il fondale ricco di vegetazione di Punta San Vigilio, che completa il viaggio subacqueo.
    “Grazie a questi elementi, l’etichetta della nostra Summer Edition diventa una legenda che guida chi l’osserva alla scoperta del vino e del territorio – afferma Luigi Turco, Presidente di Cantine di Verona –. Con questo progetto di celebrazione dei luoghi veronesi vogliamo rinnovare il nostro impegno nella valorizzazione delle aree vitivinicole da cui tutto ha origine: il territorio, i soci, l’uva e una filiera interamente controllata. Partiamo dalle nostre radici per raccontare, attraverso i vini, l’autenticità e la qualità del nostro lavoro quotidiano, oltre alla sinergia con la comunità”.​​Da uve Garganega e Chardonnay, spumantizzato secondo il metodo Martinotti con affinamento di 60 giorni in autoclave, -346m unisce freschezza e complessità aromatica. Di colore giallo paglierino, si distingue per un perlage fine e persistente. Al naso sprigiona sentori di fiori bianchi, agrumi e leggere note minerali. In bocca è fresco ed equilibrato, con una piacevole sapidità e un finale elegante. È perfetto per accompagnare aperitivi, antipasti delicati, piatti a base di pesce, crostacei e verdure di stagione.
    “-346m è un Garda DOC Spumante dal respiro internazionale, particolarmente interessante per il mercato tedesco e per i turisti che ogni estate frequentano le sponde del lago – afferma Federico Zampicinini, Direttore Commerciale di Cantine di Verona –. Inoltre, con Cantina Colli Morenici stiamo costruendo un percorso strategico che lega sempre di più il brand a questo straordinario contesto paesaggistico e culturale: un connubio che racconta origine, tipicità e visione”.
    Perfetto anche come idea regalo estiva, -346m – Nel blu più profondo del lago è disponibile in un’elegante confezione astucciata nell’e-commerce al prezzo di 11,90 euro e nei wine shop di Cantine di Verona. LEGGI TUTTO

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    Chiarlo Experience: un ecosistema culturale

    La Chiarlo Experience non è una semplice visita in cantina o un soggiorno tra le vigne: è un progetto culturale a tutto tondo, pensato per chi desidera avvicinarsi al vino attraverso un’esperienza completa, che coinvolga anche l’arte, il paesaggio e l’ospitalità. Alla base del progetto, ideato da Michele Chiarlo e oggi sviluppato da Stefano, Alberto e dalla nuova generazione della famiglia, c’è una visione precisa, dove il vino non è solo un prodotto, ma un linguaggio capace di raccontare il territorio in tutte le sue dimensioni – paesaggistiche, storiche e culturali – creando un vero e proprio ecosistema culturale.“Il vino è una delle forme con cui un territorio prende voce. È memoria e racconto insieme, espressione della cultura materiale e simbolica di un luogo. Michele Chiarlo lo aveva intuito prima di molti: il suo sguardo non si è mai limitato alla produzione, ma ha sempre cercato un dialogo più ampio con la terra, con l’arte, con la bellezza.” spiega Stefano Chiarlo
    Per questo motivo la Chiarlo Experience si articola in tre luoghi distinti ma interconnessi, pensati per restituire questa visione, sviluppandosi tra Langhe e Monferrato, territori che rappresentano l’anima stessa della produzione dell’azienda, per offrire ai visitatori un racconto immersivo del Piemonte del vino. L’Art Park La Court e il Cannubi Path rappresentano l’anima artistica del progetto; l’ospitalità prende forma al Palás Cerequio, che accoglie il ristorante La Corte e lo Sky Bar. A questi si affianca una programmazione culturale che comprende mostre, eventi e iniziative letterarie.
    “La Chiarlo Experience è il nostro modo di guardare e condividere il mondo, nato dalla volontà di mettere il vino al centro di un’esperienza più profonda e ampia. L’obiettivo è offrire ai visitatori un modello di accoglienza che coniughi qualità, identità e sostenibilità, promuovendo una fruizione del paesaggio attiva e partecipata.” racconta Alberto Chiarlo.
    I LUOGHI DELLA CHIARLO EXPERIENCE
    ART PARK LA COURT
    Nel cuore del Monferrato, tra le colline di Castelnuovo Calcea, prende vita l’Art Park La Court: un luogo unico dove arte e viticoltura si incontrano in un dialogo continuo. Inaugurato nel 2003 da un’intuizione visionaria di Michele Chiarlo, nasce dalla volontà di restituire al paesaggio un ruolo attivo, non come semplice sfondo ma come protagonista di un’esperienza immersiva e partecipata, dove l’arte diventa un ponte tra chi coltiva, chi osserva e chi cammina tra le vigne.
    Lungo un itinerario che attraversa i filari del cru La Court, il visitatore è invitato a scoprire installazioni permanenti ispirate ai quattro elementi – Terra, Acqua, Aria e Fuoco – firmate da artisti di fama internazionale come Emanuele Luzzati, Ugo Nespolo, Chris Bangle e Giancarlo Ferraris. Le opere emergono dal paesaggio con naturalezza, trasformando ogni tappa in un momento di scoperta, riflessione e stupore.
    “L’Art Park La Court sorge nel cuore del cru della storica zona di alta vocazione del terroir da cui nascono i nostri migliori Nizza e Nizza Riserva È il più esteso museo a cielo aperto in vigna, monumento in continuo aggiornamento dove arte, paesaggio e vino dialogano ininterrottamente, offrendo ai visitatori una delle esperienze di land art più uniche del panorama enologico. È un vivo centro culturale basato sulla condivisione della bellezza. Aperto al territorio e al mondo, attraverso la sua associazione – O.R.M.E. – promuove e supporta, ogni anno iniziative che invitano a percorrere a piedi tra i vigneti e godere della magia del paesaggio e dell’arte che vive in simbiosi” racconta Stefano Chiarlo.
    Art Park La Court Osservatorio
    PALÁS CEREQUIO – IL POLO CULTURALE DEDICATO AI CRU DEL BAROLO
    Un anfiteatro naturale tra i vigneti di La Morra, uno dei cru più prestigiosi della denominazione. È qui, nel cuore della Langa, che sorge Palás Cerequio: non solo un relais, ma un centro di ospitalità in omaggio alla cultura del Barolo, un punto di incontro tra identità vitivinicola, accoglienza e il piacere di abitare il vino con consapevolezza. Nato dal recupero di una borgata settecentesca, oggi è punto di riferimento per l’ospitalità esperienziale.
    Le undici suite, divise tra “Passato” e “Futuro”, accolgono l’ospite in ambienti ispirati alla storia o al design contemporaneo, con uno sguardo sempre rivolto alla cultura del vino. Al centro della struttura, il Caveau custodisce oltre 6.000 bottiglie di Barolo, mentre la sala degustazione ospita percorsi guidati con degustazioni orizzontali e verticali di vecchie annate.
    Completano l’esperienza enogastronomica lo Sky Bar con vista sui vigneti, perfetto per aperitivi panoramici, e il ristorante La Corte, guidato dallo chef Vincenzo La Corte, che propone una cucina essenziale: poche lavorazioni, pochi ingredienti di eccellenza, preparazioni attente. In menu, piatti dedicati alle Langhe – autentici e classici nell’accezione più nobile del termine – e alcune portate di pesce che attingono alla cucina internazionale e a tagli particolari.
    A fianco del vino, l’arte è un altro elemento chiave dell’identità di Palás Cerequio: Giancarlo Ferraris, artista e autore delle più celebri etichette di Michele Chiarlo, ha creato una serie di opere dedicate ai grandi cru del Barolo che adornano le pareti della struttura. L’ultimo tassello culturale si è aggiunto nel 2024 con la nascita della Libreria di Palás Cerequio, uno spazio che celebra la grande letteratura piemontese e internazionale, con sezioni dedicate ad autori come Pavese, Fenoglio, Eco e Baricco, ma anche a giganti della narrativa mondiale.
    Sky Bar
    CANNUBI PATH – CAMMINARE UN CRU, VIVERE UN PAESAGGIO
    A Barolo, tra le parcelle più vocate di Cannubi, alla fine del 2024 è nato Cannubi Path: un itinerario esclusivo tra i filari del cru più iconico del Piemonte, dedicato a Michele Chiarlo. Un’esperienza pensata per riscoprire il valore del cammino e del tempo lento, in un percorso che intreccia narrazione agronomica, osservazione del lavoro in vigna e degustazione sul campo.
    Cannubi Path non è solo una passeggiata tra i vigneti, ma un percorso artistico e culturale ispirato all’Art Park La Court, dove i visitatori, attraverso installazioni tra i filari e nel ciabot realizzate da Ugo Nespolo, possono immergersi nell’essenza del paesaggio e nella passione di chi lo coltiva. Questo progetto celebra la storicità vitivinicola del territorio e il suo valore culturale, consolidando il legame tra l’arte di Nespolo e la tradizione vitivinicola di Michele Chiarlo. LEGGI TUTTO

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    La Malvasia Gilli si rinnova con il tappo a vite: praticità e freschezza in chiave contemporanea

    Cascina Gilli annuncia che la sua Malvasia di Castelnuovo Don Bosco DOC Gilli, tra i vini maggiormente rappresentativi dell’azienda, sarà proposta con tappo a vite a partire dalla vendemmia 2024. Una scelta che unisce praticità di consumo, attenzione alle nuove tendenze di mercato e volontà di rinnovamento da parte della cantina piemontese che dal 1985 ha fatto della valorizzazione dei vitigni autoctoni la sua missione.«Da sempre Cascina Gilli si pone l’obiettivo di dare nuova forza espressiva ai vitigni autoctoni del Monferrato, rendendoli attuali, accessibili e attraenti per le nuove generazioni di appassionati» dichiara Davide Gasperini, Owner & Business Director dell’azienda. «Abbiamo scelto di adottare il tappo a vite per uno dei nostri prodotti più iconici perché riteniamo sia comodo, sicuro e perfetto per un vino giovane, aromatico e dalla beva immediata come la nostra Malvasia. Crediamo che innovare la forma – senza alterare la sostanza – sia il modo migliore per far continuare a vivere vitigni unici come la Malvasia di Schierano».
    Questa novità permette di assaporare la stessa Malvasia aromatica, delicatamente effervescente e dalla bassa gradazione alcolica di sempre, con una chiusura più pratica e smart.
    Dalla vigna alla bottiglia: la Malvasia di Schierano
    La Malvasia di Schierano è un vitigno autoctono piemontese a bacca rossa, coltivato in particolare nella zona dell’Alto Monferrato, tra Castelnuovo Don Bosco e il piccolo borgo di Schierano, da cui prende il nome. Per lungo tempo la Malvasia di Schierano è stata utilizzata per la produzione di vini da dessert destinati a un consumo locale e familiare, vinificata spesso con metodi artigianali.
    La Malvasia Gilli attinge dalla tradizione del territorio, elevandola attraverso un processo di produzione meticoloso, pensato per esaltare l’integrità aromatica del vitigno. Le uve, raccolte a mano dopo un’accurata selezione nei vigneti collinari di proprietà a Castelnuovo Don Bosco, vengono diraspate e pigiate delicatamente. Segue una breve macerazione a contatto con le bucce, con l’obiettivo di estrarre colore senza incrementare il tenore alcolico.
    Il mosto ottenuto viene quindi filtrato e conservato a bassa temperatura, così da preservare intatti i profumi varietali e la freschezza. La fermentazione alcolica avviene in autoclave con lieviti selezionati, fino a raggiungere la tipica vivacità e la moderata alcolicità che contraddistinguono questo vino. L’imbottigliamento avviene solo dopo una microfiltrazione accurata, indispensabile per evitare fermentazioni spontanee degli zuccheri residui e garantire una perfetta stabilità del prodotto in bottiglia.
    Malvasia Gilli: fresco, aromatico, dissetante, perfetto per l’estate
    La Malvasia di Castelnuovo Don Bosco DOC Gilli si presenta con un colore rosso rubino brillante con riflessi porpora e spuma delicata, e al naso sprigiona un bouquet intenso e fragrante di frutti rossi e petali di rosa. Il sorso è dolce, vivace, leggero e rinfrescante, con una moderata alcolicità (5,5% gradi alcolici) e un’effervescenza delicata che la rende particolarmente adatta ai mesi estivi.
    Ideale con dolci da forno, crostate di frutta, cioccolato fondente, ma anche con taglieri di salumi, la Malvasia Gilli è una compagna versatile per aperitivi, dessert o brindisi serali all’aperto. Grazie al tappo a vite, può essere aperta e richiusa facilmente, mantenendo intatta la sua freschezza anche dopo l’apertura.
    Cascina Gilli
    Dal 1983, Cascina Gilli si dedica alla valorizzazione di una selezione di vitigni autoctoni del Monferrato, a partire dalla Freisa, varietà poliedrica e contemporanea. La tenuta si trova a Castelnuovo Don Bosco, nel Monferrato Astigiano, una delle zone del Piemonte ancora tutta da scoprire. Qui vengono coltivati 12 ettari di vigneti di proprietà, impiantati a barbera, malvasia, freisa e bonarda, distribuiti tra le colline argillose delle Marne di Sant’Agata.
    Dopo quarant’anni di attività, l’azienda sceglie di evolversi e rinnovarsi. Paolo Vergnano, figlio del fondatore Gianni, assume la guida affiancato da due nuovi soci, Davide Gasperini e Federico Mussetto. Una squadra che porta nuove competenze e l’intento di valorizzare un territorio e vitigni unici, anche attraverso il recupero di un luogo storico: una cascina del ’700, trasformata in spazio di incontro e centro di promozione della cultura locale.
    Tra i vini più rappresentativi si annoverano la Freisa d’Asti DOC – raffinata, elegante, profumata – e la Malvasia di Castelnuovo Don Bosco DOC, aromatica e senza tempo. Nel solco di una filosofia produttiva autentica, queste etichette diventano oggi espressione concreta del lavoro di custodia e valorizzazione del patrimonio viticolo autoctono. LEGGI TUTTO

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    Vino, sondaggio UIV: per le imprese dazi al 10% avranno impatto “alto” sul settore

    Nessun brindisi al possibile accordo sui dazi al 10% per le imprese del vino italiano, che destinano verso gli Stati Uniti il 24% del proprio export per un valore, nel 2024, di 1,94 miliardi di euro. Secondo un sondaggio dell’Osservatorio di Unione italiana vini (Uiv) tra le principali imprese del Paese, il danno stimato sul fatturato d’oltreoceano si attesterebbe infatti in una forchetta tra il 10 e il 12%, su cui influisce anche il cambio euro/dollaro. Il motivo è chiaro, per il 90% delle imprese intervistate (il cui giro d’affari aggregato supera i 3,2 miliardi di euro), i consumatori non sarebbero in grado di assorbire l’extra-costo allo scaffale determinato dal dazio al 10%. Da qui l’opinione condivisa in larga maggioranza dal panel che l’impatto per le imprese sarebbe complessivamente rilevante nel 77% dei casi: “medio alto” per il 61% e “molto alto” per il 16%.
    “Occorre ricordare – ha detto il presidente di Uiv, Lamberto Frescobaldi – come il settore del vino sia tra i maggiormente esposti all’aumento delle barriere, in primo luogo perché la quota export statunitense arriva al 24%, contro una media del made in Italy che supera di poco il 10%, ma anche perché il vino è un bene voluttuario quindi con una maggior propensione alla rinuncia all’acquisto. Il danno ci sarebbe eccome – ha concluso Frescobaldi -, per le nostre imprese ma anche per la catena commerciale statunitense, che per ogni dollaro investito sul vino europeo ne genera 4,5 a favore dell’economia americana. In Italia saranno penalizzate in particolare le piccole imprese – molte di esse destinano oltreoceano fino al 50% del proprio fatturato – o le denominazioni bandiera negli Usa, come il Moscato d’Asti, il Pinot grigio, il Chianti, il Prosecco, il Lambrusco e altri”. LEGGI TUTTO

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    Appius: dove il vino incontra l’arte e abita il tempo

    C’è un nuovo spazio nel cuore dell’Alto Adige, e non è solo una cantina: è una dichiarazione d’intenti, un gesto estetico, un invito alla contemplazione. La Cantina San Michele Appiano ha dato forma a un sogno che aveva preso vita più di dieci anni fa nella mente del suo storico enologo Hans Terzer: Appius, la cuvée simbolo di eleganza e visione, ha oggi il suo “tempio”.

    Inaugurata tra il 2023 e il 2024, la nuova cantina dedicata ad Appius è molto più di un luogo produttivo. È un ambiente immersivo, pensato per accogliere e raccontare, dove l’architettura si intreccia con la filosofia di un vino che guarda sempre avanti, ma senza mai perdere il senso del tempo. Un tempo lungo, profondo, fatto di affinamenti, di attese, di dettagli.

    Hans Terzer

    Il progetto, firmato dall’architetto Walter Angonese, si sviluppa a partire da spazi preesistenti, trasformati con rigore e sensibilità in una sala di circa 270 metri quadrati dominata da geometrie pulite e colori netti. Le pareti nere, rivestite in piastrelle ceramiche, dialogano con i riflessi caldi dei 14 serbatoi tronco-conici in acciaio satinato color bronzo: forme disegnate su misura, ispirate all’eleganza della bottiglia di Appius, ma con una funzione precisa – aumentare il contatto con i lieviti durante l’affinamento.

    Al centro, come un cuore silenzioso, una sala degustazione di 30 metri quadrati riceve la luce naturale da una finestra zenitale: qui, il contrasto tra il nero e il rovere chiaro racconta di equilibrio e profondità. Tutto intorno, le bottiglie delle annate precedenti disposte come opere d’arte: nero e oro, vetro e luce, tempo e materia.

    «Abbiamo voluto creare uno spazio che fosse ispirante – spiega Jakob Gasser, attuale enologo della cantina – dove il vino potesse dialogare con il tempo e con la bellezza, in modo discreto ma intenso».

    Appius. Arte. Amore. Alto Adige.

    Non poteva mancare il gesto artistico. Una volta terminato il progetto architettonico, è nata l’idea di rendere ancora più forte il legame tra estetica e vino attraverso un’opera d’arte. La scelta è ricaduta su Robert Pan, artista bolzanino noto per le sue creazioni astratte in resina e pigmenti. Il suo linguaggio visivo – stratificato, vibrante, luminoso – ha offerto la chiave per un racconto parallelo, una “traduzione” dell’anima di Appius.

    L’opera realizzata per la cantina è stata scomposta in dieci frammenti, diventati etichette in resina per un’edizione limitata e speciale di Appius 2019. Un connubio tra vino e arte contemporanea che va oltre la funzione e si fa esperienza sensoriale e culturale.

    In un mondo che spesso corre veloce, la nuova cantina di Appius è un invito a rallentare, ad ascoltare, ad assaporare. Un esempio raro di come l’architettura possa tradurre un’idea di vino in uno spazio vivo, dove ogni dettaglio – dai serbatoi alle luci, dalle bottiglie all’opera d’arte – racconta la coerenza di un’identità.

    Un’identità fondata su una convinzione semplice e assoluta, che a San Michele Appiano si tramanda da più di un secolo: la qualità non conosce compromessi. LEGGI TUTTO