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TWE ha annunciato la settimana scorsa i risultati del primo semestre sostanzialmente in linea con le aspettative degli analisti (, ma ha purtroppo comunicato anche che le aspettative per la fine dell’anno fiscale (giugno 2025) sono più basse di quanto precedentemente indicato. Nel dettaglio, l’obiettivo di utile operativo è stato ridotto da 780-810 milioni di dollari australiani a 780 milioni (669m 2023-24 per confronto), quindi circa il 2% sotto “la metà della forchetta”, nonostante l’incremento dei benefici attesi dall’integrazione di DAOU (acquistata un anno fa) negli USA e a causa dei minori risultati della divisione “Treasury Premium Brands”, ossia dei vini di prezzo inferiore. Proprio quel segmento di vini da cui l’azienda si era prefissa di uscire, ma che non è riuscita a vendere per la mancanza di offerte.
Il tutto messo insieme (mancata vendita delle attività a basso margine e minori utili in prospettiva) hanno dato un colpo secco al valore delle azioni, che il giorno dei risultati ha perso il 7%. Dall’inizio dell’anno (al 15 febbraio) le azioni sono scese del 4% circa.
Venendo ai risultati più nello specifico le vendite sono cresciute del 20% a 1.54 miliardi di dollari australiani (+5% in termini organici, quindi senza DAOU), l’utile operativo è cresciuto del 35% a 391 milioni e l’utile netto del 33% a 221 miloni. L’utile per azione cresce meno (+21%) a causa del maggiore numero di azioni (TWE ha emesso azioni per pagare i due terzi dell’acquisizione di DAOU). Debito stabile a 2.0x l’EBITDA.
Maggiori dettagli con altri grafici e tabelle nel resto del post.Le vendite sono cresciute soprattutto in USA +33% a 657 milioni per l’acquisizione di DAOU e in Asia (+46% a 410 milioni) per la ripresa delle esportazioni verso la Cina, mentre il mercato domestico e la Nuova Zelanda calano del 5% e l’Europa fa -9%.
Le vendite per divisione rispecchiano il trend: Penfolds +24% a 557 milioni essendo soprattutto asiatica, Treasury America +41% perché è solo in America, tutto il resto -8%, che è poi la roba che volevano vendere.
In termini di volume si passa da 10.8 a 11.2 milioni di casse, con i dati positivi di Penfolds (1.5m, +15%) e TWE America (3.4m +22% con DAOU) compensato dal calo della divisione Premium (6.3, -6%).
I margini salgono dal 23% al 25% a livello operativo grazie al mix del fatturato che si sposta verso Penfols (45% da 42%) e America (25% da 21% l’anno scorso), ma anche dai migliori margini delle due divisioni chiave dell’azienda, come vedete tra parentesi.
La struttura finanziaria di TWE resta sul limite alto della forchetta 1.5-2.0 volte l’EBITDA che il management si è prefisso, con un debito di 1.87 miliardi di dollari australiani, parti a 2.0x l’EBITDA. Nel corso del semestre l’azienda ha avuto una ottima generazione di cassa “mangiata” dalla distribuzione agli azionisti (154 milioni più 17 di buyback) e dalla svalutazione del dollaro australiano che ha avuto un impatto piuttosto importante sulla traduzione dei debiti in dollari americani.Se siete arrivati fin qui……ho un piccolo favore da chiedervi. Sempre più persone leggono “I Numeri del Vino”, che pubblica da oltre dieci anni tre analisi ogni settimana sul mondo del vino senza limitazioni o abbonamenti. La pubblicità e le sponsorizzazioni servono per aiutare una missione laica in Perù. Per fare in modo che questo lavoro continui e resti integralmente accessibile, ti chiedo un piccolo aiuto, semplicemente prestando da dovuta attenzione con una visita alle inserzioni e alle sponsorizzazioni presenti nella testata e nella sezione laterale del blog. Grazie. Marco More





Le esportazioni di vino del Sud Africa sono calate dell’11% in Euro (poco sotto 600 milioni) e dell’8% in valuta locale (9.5 miliardi di Rand) a fronte di un pesante calo dei volumi esportati. Secondo UN Comtrade il vino spedito dal Sud Africa nel mondo è sceso da oltre 5 milioni di ettolitri a 3.8 milioni, per un calo di oltre il 25%. Pur non essendo del tutto convinto di questo numero, devo ammettere che coincide con altre fonti (Corriere Vinicolo, per esempio). Regno Unito e Germania, i due mercati principali per i vini africani, sono calati pesantemente e non ci sono altri mercati significativi che aiutino a compensare. La Cina resta una piazza marginale (meno del 5% delle esportazioni), così come il mercato americano, dove il prodotto non ha mai sfondato. Si aggiunga che il Sud Africa non può contare su un bacino di paesi importatori nel suo continente: soltanto la Namibia appare nella nostra lista dei principali clienti. Passiamo brevemente a qualche numero.
Secondo UN Comtrade, il Sud Africa ha esportato vino per 591 milioni di euro nel 2019, con un calo dell’11% rispetto al 2018. In realtà se vedete il grafico vi accorgete che da ormai qualche anno a questa parte le esportazioni oscillano in una fascia 580-660 milioni di euro, e siamo dunque in un anno abbastanza cattivo. Di questi, 411 milioni sono di vini in bottiglia (-5%), 161 milioni di vino sfuso (-21%) e 19 di altri prodotti (spumanti, mosti e via dicendo).
Il dato sul volume è più difficile da leggere. Secondo UN Comtrade le esportazioni 2018 erano 5.3 milioni di ettolitri, secondo altre fonti 4.8 milioni, secondo altre ancora (SAWIS l’associazione vinicola locale) ancora di meno, 4.2 milioni. Vabbè. Qui prendiamo UN Comtrade e quindi diciamo che le esportazioni sono calate da 5.3 a 3.8 milioni di ettolitri, -27%. -22% per i vini in bottiglia a 1.6 milioni e -29% per i vini sfusi a 2.2 milioni di ettolitri.
I due mercati chiave sono entrambi negativi: -15% per il Regno Unito a 106 milioni, -20% per la Germania a 69 milioni. Leggendo i dati, mancano “appigli” per trovare un vero trend di crescita in un mercato. Noterete che per trovare un mercato in crescita per così dire strutturale dovete arrivare al Giappone, +19% ma solo 17 milioni di euro. Tutti gli altri sono o in recupero o in declino. Attirerei per chiudere la vostra attenzione sulla linea della Svezia…
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Gennaio è stato un mese positivo per le esportazioni di vino, come potete vedere qui sopra dopo una serie di mesi negativi, interrotti soltanto dalla parentesi di ottobre. Nel dettaglio con 539 milioni e un incremento del 14%, l’andamento annuo si muove verso la stabilità (-0.4% per gli amanti dei numeri precisi). All’origine di questo miglioramento, come si vede distintamente dal grafico, è la leggera ripresa del mercato americano (per i vini fermi), che sia in ottobre (+19%) che in gennaio (+14%) ha avuto un andamento molto superiore alla media. Non sono però nemmeno da sottovalutare i dati positivi registrati dalla Svizzera (+9%) e soprattutto dal Canada, che da qualche mese sembra essersi rimesso in carreggiata. Sono infine positivi i dati sugli spumanti, sempre trainati dal Prosecco (+17% sul mese e +6% sugli ultimi 12 mesi). Un’ultima annotazione: il principale fattore di crescita è stato il volume esportato. Dato la scarsa vendemmia e le previsioni mondiali pessimistiche sull’evoluzione dei consumi, penso che la lettura eccessivamente positiva di questi dati possa essere fuorviante. Passiamo a un’analisi più dettagliata con ulteriori grafici e le tabelle riassuntive.
Il valore totale dell’export è di 539 milioni di euro, con un incremento del +14% rispetto al mese precedente. Il vino imbottigliato e i vini spumanti sono cresciuti entrambi tra il 14% e il 15%, mentre gli altri vini sono rimasti stabili. Il valore dell’export su base annua è ora stabile a 7.84 miliardi di euro, di cui 5.14 miliardi per il vino imbottigliato (-2%) e 2.23 miliardi per gli spumanti (+3%).
Il recupero delle esportazioni di gennaio è essenzialmente legato ai volumi, 1.5 milioni di ettolitri, con un aumento dell’+11%. Il vino imbottigliato sale a 847 mila ettolitri (+15%), gli spumanti a 331 mila ettolitri (+17%). Il vino sfuso/altro è l’unico a registrare una diminuzione del volume esportato (-1%). Su base annua i volumi sono a 21.6 milioni di ettolitri, ossia -1% sull’anno precedente.
L’andamento per paese è buono in gennaio con l’eccezione della Svezia. Noterei soltanto il rallentamento della Francia e del Belgio, oltre al dato straordinariamente positivo della Russia, quasi raddoppiata, che rappresenta da sola circa il 15% dell’incremento delle esportazioni di gennaio.
Nel segmento degli spumanti, restano negativi i dati degli USA (-3% nel mese e -7% sui 12 mesi), mentre riprende vigore l’export verso il Regno Unito, che comunque va ricordato è uno dei paesi in cui negli ultimi anni i nostri prodotti non si sono sviluppati ulteriormente.Se siete arrivati fin qui……ho un piccolo favore da chiedervi. Sempre più persone leggono “I Numeri del Vino”, che pubblica da oltre dieci anni tre analisi ogni settimana sul mondo del vino senza limitazioni o abbonamenti. La pubblicità e le sponsorizzazioni servono per aiutare una missione laica in Perù. Per fare in modo che questo lavoro continui e resti integralmente accessibile, ti chiedo un piccolo aiuto, semplicemente prestando da dovuta attenzione con una visita alle inserzioni e alle sponsorizzazioni presenti nella testata e nella sezione laterale del blog. Grazie. Marco More


Per essere sinceri, nel mondo del vino, la Romagna sono ben in pochi a conoscerla, e altrettanto rari sono quelli curiosi di scoprirne le potenzialità ed i vini di qualità che se ne producono. Complice l’impatto pachidermico delle grandi realtà cooperative, l’immagine della regione è svilita al palato del consumatore medio, che guarda con distrazione e disinteresse ai vini romagnoli.
Se da una parte il vino industriale che esce dalla regione ha l’immagine del liquido diluito, anonimo e omologato, dall’altro una grossa zavorra è venuta dai piccoli produttori di collina che inseguendo (anche giustamente, con criterio e buoni risultati) le mode degli anni ’90, hanno dato l’immagine di vini rossi potenti e troppo spesso offuscati da un uso prepotente o mal gestito dei legni.
Alcuni virtuosi hanno saputo crescere e mettere in discussione i propri vini, adeguandosi non solo al mutare dei gusti, ma anche alla necessità di lasciare esprimere le potenzialità e peculiarità dei territori romagnoli che – perBacco! – esistono e lottano tra noi, nelle bottiglie dei tanti volenterosi che provano ad emanciparsi, restituendo alla Romagna un’identità, ma ancor prima una dignità vinicola.
Inoltre si sta configurando una nuova branca di giovani produttori coraggiosi – perché per mettersi a fare vino in Romagna ci vuole coraggio (o forse un certo masochismo) – che arriva sul mercato con idee contemporanee, con buoni propositi e voglia di confronto.
Il confronto e la collaborazione sono forse gli elementi che più spesso sono mancati alla storia del vino romagnolo, combattuto tra campanilismi, celolunghismi e rivalità infantili. Ma negli ultimi anni fortunatamente qualcosa si sta muovendo in senso contrario, e tanti vignaioli iniziano a parlarsi e unire le forze e gli sforzi per una comunicazione più incisiva del buono che si fa in Romagna. Non bastasse questo è giunta l’idea di Francesco Falcone, amico degustatore e penna ispirata, da sempre attento alle sorti della mia regione, divenuta sua patria adottiva. Il suo nasce come progetto editoriale: un libro su “La Nuova Romagna“. Questo nuovo progetto vuole essere un racconto delle nuove voci che si fanno portatrici delle idee più contemporanee della scena regionale, con espressioni vinicole in grado di incuriosire e soddisfare i bevitori più smaliziati, ma anche di allargare gli orizzonti del consumatore medio. Un’indagine sul campo per scovare i bagliori di luce in un panorama ancora pieno di ombre. Un censimento delle identità enoiche da tenere in considerazione oggi e nel prossimo futuro. Un lavoro che coinvolge direttamente le aziende, chiamandole al confronto.
Così grazie alla complicità dell’amico maître Fabrizio Timpanaro e all’ospitalità del Ristorante Quartopiano di Rimini, si va articolando in questi mesi un ciclo di incontri con e tra i produttori di Romagna. Con Falcone a moderare, stuzzicare, incalzare, i vignaioli presentano il loro lavoro ad una tavolata di colleghi, cui si aggiungono appassionati bevitori, in un confronto che possa essere il più possibile ampio e non autoreferenziale.
Lo scopo e l’auspicio collimano nell’innesco di un movimento virtuoso, di una presa di coscienza di quello che di buono c’è e di ciò che si può migliorare per ambire a ritagliarsi un posto di rilievo nel panorama del vino.
Martedì 7 luglio scorso sono stato partecipe di uno di questi incontri, e l’atmosfera era davvero positiva. Di ogni produttore abbiamo esplorato un vino, per poi accedere ad un secondo campione a fine serata, in libertà individuale.
Erano tanti i produttori che conosco personalmente da anni, ma altri ho avuto il piacere di scoprire in questa occasione. Diversi di questi appartengono al territorio riminese, come i Fratelli Cecchini di Valle delle Lepri, Matteo Dini di Villa Ottolune, Andrea Pasini di Fattoria del Piccione, Loretta e Vittoria Pesaresi di Delle Selve, oltre a Davide Bigucci di Podere Vecciano (che già ben conoscevo).
E da queste terre si può iniziare a dire che un’identità si riesce a trovare in vini bianchi sapidi e polposi, con un potenziale ben espresso nella rebola (grechetto gentile), che qui si fa tramite in “un’unione tra mare e terra” (citando una frase che ho trovato molto azzeccata del giovanissimo Andrea Pasini), unendo il sale del primo alla trama solida della seconda. Ma questi tratti si sono ritrovati anche nel bianco Erretre di Delle Selve, da uve sauvignon blanc vinificate in maniera naturale, senza controlli di temperature, e così scevro da sentori pirazinici.
Altresì il sangiovese merita attenzione in questi luoghi, con frutto ben evidente, anche se occorre tenere a bada gli eccessi di maturazione. La cosa è perfettamente riuscita nel Vigna Rocca 2019 di Podere Vecciano, succoso ed espressivo, con frutto fresco e trama gentile e saporita. Una bella materia era anche nel Marnoso 2017 di Villa Ottolune. Peccato per un’impronta decisa dei legni piccoli, un po’ anacronistica, che copriva una materia sottostante gustosa ed interessante.
Sangiovese che mostra forse la migliore espressione di un percorso intrapreso 20 anni fa da Stefano Gabellini, è il P. Honorii 2016, nitido negli aromi di frutti scuri, ficcante ma fine nel tannino, dinamico e già godibile, con piacevoli echi balsamici che iniziano a palesarsi. Bella espressione di Bertinoro Riserva.Una scoperta folgorante per me sono stati i vini di Pian di Stantino, realtà davvero unica nel suo genere. Andrea Peradotto, enologo con diverse esperienze in regione e fuori, ha deciso di tornare nel suo paese di origine, Portico di Romagna, ultima appendice appenninica del forlivese lungo la valle del Montone, per iniziare le sue vinificazioni in proprio. Lo ha fatto andando a scovare piccole parcelle sparse nei comuni montani limitrofi, su terreni a quote ormai inusuali per la viticultura romagnola, con vigne allocate dai 400 ai 700 metri. Micro-vinificazioni singole con fermentazioni spontanee in legno, lavorando uve rosse a prevalenza sangiovese, ma con presenza di altri vitigni minori storicamente presente nei vecchi vigneti. Lunghe macerazioni sulle bucce, fino a 2 mesi, e poi sosta in cemento per qualche mese. Il Ridaccio 2019 è un vino montano davvero imperdibile, aereo e leggero, dal colore trasparente e vivo, succoso di frutti rossi freschi e condito di note di scorze di agrumi ed erbe aromatiche. Tannino sottile, fine salinità finale. Sorso irresistibile. Più austero il Pian 2019, più solido e scuro nei tratti, ma sempre innestato su uno scheletro agile e dinamico.
Altro rosso degno di nota è il Pinot Nero 2019 di Pertinello. Realtà storica in una splendida zona appenninica, dove le vigne si mischiano ai boschi nell’alta Val Bidente. Qui dall’annata 2019 il titolare Moreno Mancini ha accolto tra le sue file Francesco Falcone, che mette la sua esperienza negli assaggi e nella realizzazione dei vini. Qui ispirandosi ai confronti intrecciati con Staderini e Tommasi (tra i migliori interpreti di questo vitigno in Italia) si è cercato di seguire una strada borgognona, con vinificazione in legno, con uso parziale di grappolo intero, e fermentazioni spontanee. Il risultato, da poco in bottiglia, è già intrigante, con bel frutto appena coperto da note di propoli e pellame, sorso con graffio tannico invitante e polpa fresca.Ho tenuto per ultima l’albana, vitigno quasi scomparso, anima non facile da gestire in vigna come in cantina. Vino che può fare innamorare o intimorire. E’ spesso considerabile un rosso travestito da bianco, per via delle componenti tanniche delle sue bucce. Ne abbiamo assaggiate due versioni capaci di fare ricredere i più scettici sul vitigno (e ne abbiamo avuto esempi diretti tra i presenti alla serata). Il MonteRe 2016 di Vigne dei Boschi (aka Paolo e Katia Babini), è un’albana di montagna, coltivata in alto tra i boschi di Valpiana su terre marnoso-arenacee. Vinificata e maturata in tonneau usati (di 8 anni), mostra eleganza e profondità, tensione acida unita a sapore, agrume e fiore, un cenno tannico sottile che la completa. Da una vigna vecchia sita in Terra del Sole invece il Madonna dei Fiori 2018 di Marta Valpiani, vinificata in mastelli per poi essere messa a maturare in cemento. Ha ben definito il frutto di albicocca fresco, cenni di erbe e fiori, sorso serio, nervoso, giocato su un traino acido-sapido che ne scolpisce uno scheletro solido e capace di riempire il palato con una presa terragna e felice.
Insomma, di cose interessanti ne abbiamo bevute e altrettanti ce ne siamo dette. E non finisce certo qui
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Dopo un 2018 iniziato in maniera scoppiettante, la seconda parte dell’anno ha visto un deciso ribasso dei mercati azionari, legato da una parte alle attese di decelerazione di alcune economie chiave (Cina), al graduale rialzo dei tassi di interesse negli USA e, non ultimo, alla forte decelerazione delle principali economie europee, come si evince dai […] More





