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Il Sagrantino di Montefalco, tra realtà e percezione

Chi ha avuto la ventura di assaggiarlo 25 e più anni fa, probabilmente ricorderà la sensazione di carta vetrata a grana media che restava in bocca dopo il primo sorso di Sagrantino di Montefalco. Il Sagrantino è il vitigno più tannico d’Italia, è la sua caratteristica, e domarlo è come cercare di mettere la briglia ad un branco di cavalli selvaggi. Ci vogliono anni di pazienza, di studi, di prove e come un addestratore di cavalli alle prime armi, all’inizio si fanno un sacco di errori. Poi, un po’ alla volta, cavalli e addestratori diventano adulti insieme, gli spiriti ribelli e indomiti si placano un po’, e si comincia a trovare un modo d’intendersi, pur restando ciascuno nel suo ruolo: il produttore/addestratore continuerà a cercare di fare del suo meglio per addomesticare il vitigno ribelle, e questo continuerà a presentare il suo caratterino ostico e scorbutico, sebbene reso un po’ più urbano.

Così, oggi, chi assaggia il Sagrantino di Montefalco DOCG si ritrova con un vino di grande interesse, piacevole da bere, sebbene (forse) non per tutti, almeno non subito. “E’ un vino che va spiegato” dicono invariabilmente i produttori, ma se lo “spieghi” a tavola, versandolo nel bicchiere davanti a piatti di carne d’agnello o salumi, ci si può risparmiare il fiato, perchè sarà il vino a presentarsi da solo. Come molti grandi vini italiani, anche il Sagrantino è un ministro della tavola, non un solista d’orchestra. Sta bene in compagnia dei cibi, e più sono saporiti e rustici, meglio è. E adesso che sia le vigne sia i loro proprietari hanno imparato a conoscersi, il vino ha perso quelle durezze implacabili che lo rendevano quasi inavvicinabile.

Perciò oggi l’area del Sagrantino di Montefalco sta conoscendo un momento di grande esuberanza, sia dal lato produttivo (ogni anno nuove cantine si affacciano sulla scena, e in 25 anni di DOCG la produzione è passata da 66 ettari agli attuali 760), sia in quello commerciale, venendo esportato in tutto il mondo, con una quota importante in USA, Germania, Giappone, Inghilterra. Tutto insomma andrebbe per il meglio, se… c’è sempre un se, anche nelle situazioni più felici.

Tutto andrebbe per il meglio se l’immagine che la gente ha del Sagrantino non fosse rimasta quella degli anni ‘90 del secolo scorso. Esiste un gap tra il Sagrantino com’è oggi, e il Sagrantino come la gente è convinta che sia che sta tenendo lontani da questo vino ancora moltissimi consumatori. Questa sfasatura tra realtà e percezione/convinzione è il cruccio principale dei produttori. Com’è possibile – si chiedono – che le persone credano che quassù non sia cambiato nulla in quasi trent’anni? D’accordo, il Sagrantino continua ad essere un vino molto tannico, ma non è più quello di una volta. Le viti sono cresciute. I produttori hanno imparato. Il clima sta cambiando. Le tecnologie di cantina si sono evolute. Eppure l’immaginario di tanti wine lovers ( e forse anche di qualche wine critic) è ancora inchiodato la’, al ricordo del Sagrantino duro. Purtroppo, servono anni per creare un’immagine – a dispetto delle fantascientifiche tecnologie dei nostri giorni, l’uomo resta un essere analogico, con tutte le lentezze del caso – , e altrettanti per modificarla. Sarà questa la sfida che il Consorzio e i produttori dovranno affrontare nei prossimi anni: riavvicinare i consumatori al Sagrantino, che nel frattempo sarà diventato sempre più buono e amichevole. Le sorprese (per i consumatori) non mancheranno.

Tra i vini assaggiati durante le giornate di Anteprima Sagrantino, ecco qualche etichetta che miè sembrata degna di nota:

Sagrantino di Montefaco DOCG 2009 di Romanelli (naso floreale un po’ languido, gusto mentolato, fresco, molto piacevole, tannini di velluto grezzo, grande equilibrio nche nell’alcol. E pensare che questa era appena la seconda vendemmia del produttore). Assaggiato in occasione della verticale 2009 di Sagrantino di Montefalco guidata dal wine educator Filippo Bartolotta

Montefalco Rosso 2017 e Sagrantino di Montefalco 2015 di Tenuta Bellafonte: non ancora in commercio, ma già dagli assaggi in acciaio e in botte promettono molto bene. Il primo è un vino di grande bevibilità, scorrevole e floreale, il secondo è una spremuta di fruttini rossi con una rinfrescante vena asprigna.

Il Bio 2016 – Lungarotti: Un Umbria Rosso IGT che si potebbe qualificare benissimo come una DOC di ricaduta del Sagrantino, se solo esistesse. Al naso esprime frutti rossi (ciliegie, more) e viola (prugne), in bocca è coerente, con una spina acida ben integrata, e sfumature di tabacco chiaro con cenni di resina, equilibrato e pulito nel finale.

Cuvée Secrete – Arnaldo Caprai. Umbria Bianco IGT. Un blend di Fiano, Chardonnay, Sauvignon confezionato con tappo a vite, prodotto in appena 4000 bottiglie. Un vino moderno, i cui profumi esotici di spezie e frutta tropicale si accompagnano bene al gusto fresco, immediato, pulito. Piacevole ed estivo.


Fonte: https://vinopigro.it/blog/?format=rss


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