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Da quando questa assurda passione per il vino mi ha preso tra le sue grinfie, una delle patologie che ha sviluppato in me è la curiosità per i vigneti, specie se piccoli, sperduti su alte colline, vecchi, sia che siano malconci che maniacalmente curati.
Mi immagino di chi siano, che vino ne venga fuori, dove va a finire. Ho sempre pensato che sarebbe bello andarli a stanare per tutte le strade d’Appennino e tutelarli, dargli dignità, custodirli, vinificarli e quando possibile tradurli in etichette. Ognuna con la sua storia, ognuna con le sue peculiarità.
Ma quelle che erano mie fantasie sono diventate linfa vera per il progetto di un vignaiolo romagnolo, che ho scoperto da un paio di anni e che è stata una vera rivelazione: Andrea Peradotto, titolare dell’azienda Pian di Stantino, nome che designa anche l’agriturismo gestito insieme al fratello, in un luogo disperso sopra Tredozio, in un ambiente dove si incontrano più davvero fate e folletti che umani. Ma quella è un’altra storia, altrettanto affascinante.
Andrea dopo aver maturato esperienze come enologo sia in Italia che all’estero ha sentito il richiamo per il paese di origine, Portico di Romagna, comune della Romagna-Toscana nella valle del Montone, sopra Forlì in direzione passo del Muraglione. Allora è andato a cercarsi appezzamenti di alta collina, in zone dove la viticoltura odierna è attività marginale e semiabbandonata. Oggi ha accumulato sotto la propria gestione “ben” 2.5 ha di vigna, sparsi tra Rocca San Casciano, Tredozio, Portico di Romagna. La parcella più grande, sulle alture di Tredozio, sfiora l’ettaro, la seconda vigna è quella presa dal 2020 sul Monte Busca, a circa 700 metri di quota, per totali 7000 metri quadri. Poi il resto si compone di piccoli gioielli: alte pendenze, vecchi filari, qualche piccolo vigneto recuperato dall’abbandono. Tutto, prevalentemente, coltivato a sangiovese. Anche se qua e là l’autunno mostra le foglie rosse di qualche pianta di ciliegiolo, e qualche altra varietà tipica, o più spesso dimenticata, compare qua e là nei campi di Andrea.
Un frazionamento quasi degno della Borgogna per microparcellizzazione, ma con l’aggravante di stare sull’appennino forlivese, e costringere Andrea ad un vero lavoro da nomade. Questo anche in virtù del fatto che praticamente tutte le operazioni di cura della vigna sono fatte a mano, come i trattamenti, alla vecchia maniera, con poltiglia bordolese (rame e zolfo) diffusa con la pompa manuale in spalla. E questo rappresenta ovviamente un incentivo a fare meno trattamenti possibile, solo lo stretto necessario.
Andrea non ha una cantina, è nomade anche in questo caso, in affitto presso un’amica produttrice, dove può vinificare singolarmente ogni vigna, anche perché le diverse posizioni e caratteristiche portano a maturazioni in momenti diversi. La base pedoclimatica prevalente delle vigne è costituita da marnosa-arenacea, ovvero un alternarsi di sabbie e argille compattate dal tempo. La componente argillosa è presente, ma non nelle percentuali della bassa collina romagnola, come pure quella calcarea, che qui abbonda e dà carattere alle uve.
In vigna Andrea ci mostra alcune vecchie usanze che perpetua, come usare i rametti dei salici per legare i tralci principali, sostituiti invece con rametti di ginestra in tarda primavera, quando il salice ha lignificato ma servono ancora piccoli legacci per fermare i rami lungo i fili e pettinare le viti.
Le altitudini, le lente maturazioni, le vecchie vigne, sembrano creare un coacervo che si traduce in vini dalla trama sottile nel tannino, ma ricca di sapore, e tesa nella fibra acida e sapida. A questo contribuiscono anche le scelte “tecniche” in cantina. Fermentazioni spontanee in vecchie botti di legno, e macerazioni dai 60 agli 80 giorni sulle bucce. Chi si aspetterebbe vini estrattivi e carichi rimane sbigottito dai colori trasparenti e vivaci dei vini firmati Pian di Stantino. E dall’eleganza che mostrano alla bevuta.
L’emblema del genere è l’ultimo nato, il Buscamara 2020. Vinificato dalla vigna del Monte Busca e destinato a finire in assemblaggio nel Ridaccio, alla prova degli assaggi ha mostrato identità e bontà tale da meritare un’etichetta tutta sua. E peraltro i recenti riconoscimenti (“Vino Slow” della guida Slow Wine) lo ribadiscono. Ma basta assaggiarlo per farsi stupire immediatamente. Un vino che gioca su un’acidità fine e succosa, agrumata, di melograno e piccoli frutti rossi, con tanta traccia salina e balsamica, tannino sottile, sapore lungo, eleganza e carattere. Una bellezza giovanile di labbra rosse e sorriso solare.
L’etichetta di cui si trovano più bottiglie (il totale della produzione aziendale si aggira sulle 7000 annue in totale) è il Pian, dalla vigna più grande, situata sopra Tredozio. Un sangiovese che sa di viola e frutti scuri, equilibrato, ma irrorato da una freschezza che sa di bosco e colline semidisabitate. Un tannino che in gioventù è appena graffiante ma dopo un anno o poco più di bottiglia, come ora per il Pian 2019, è levigato e integrato, appagante in un sorso gastronomico e dinamico.
L’etichetta di forse maggiore complessità è il Ridaccio, che oggi si compone dell’assemblaggio di basi da tutti gli altri vigneti gestiti da Andrea. Le varie anime donano un profilo scuro in gioventù (è da poco sul mercato il 2020), con un tannino appena rugoso ed un naso ancora in via di definizione, tra golosi accenti speziati e piccoli frutti scuri. Bella progressione di bocca, tanti strati di sapore, con carattere e ancora tanta evoluzione davanti. Il 2018 oggi è pienamente espressivo e profondo. Un vino con 12.5% di alcol che riempie la bocca con sapore.
Adrea l’ho conosciuto dapprima assaggiando i suoi vini, poi di persona, e se i vini già parlavano da soli, a partire da etichette di rara grazia artistica, lui conferma quanto si può solo intuire. Cioè che dietro a un vino onesto e buono ci sono sempre persone con idee oneste e lavoro genuino. Genuino è Andrea, vignaiolo nomade dell’Appennino forlivese, genuini i suoi sangiovese, da provare per un’idea concreta e schietta di cosa può dare il sangiovese in alta collina.
PS: nel 2020 Andra ha prodotto anche il PianGo, ormai introvabile chardonnay d’altura romagnola, davvero sorprendente per dinamica gustativa, sapore, bontà. E lo dico da uno che non si straccia le vesti per questo vitigno, che di solito apprezzo in poche espressioni fuori da Borgogna e Jura.