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    Collio da uve autoctone: la forza di un’identità condivisa e il tempo ritrovato del vino bianco

    C’è un progetto che, senza grandi proclami sta cambiando il modo in cui guardiamo al vino bianco italiano. Un progetto nato dal basso, tra strette di mano e confronti sinceri tra produttori che credono nella forza di un’identità territoriale autentica. “Collio da uve autoctone” non è solo un nome su un’etichetta: è la dichiarazione concreta di un’idea di vino che rimette al centro il luogo, la storia e soprattutto il tempo.

    In un mondo del vino che ha spesso insegnato a pensare il bianco come prodotto di pronta beva, il Collio Bianco da uve autoctone dimostra invece che eleganza, complessità e capacità evolutiva possono convivere in un calice che sa parlare anche a distanza di anni dalla vendemmia. Anzi, è proprio dopo qualche anno che questi vini riescono a raccontare la loro verità più profonda, con sfumature che emergono grazie a un affinamento naturale e rispettoso, in bottiglia e nel tempo.

    Voci diverse, un solo territorio

    L’idea alla base del progetto è semplice e al tempo stesso dirompente: realizzare un vino bianco Collio DOC utilizzando esclusivamente le tre varietà storiche del territorio – tocai Friulano, ribolla gialla e malvasia istriana – le stesse che per decenni hanno modellato il paesaggio agricolo e la cultura contadina di queste colline. Un uvaggio tradizionale, certo, ma riscoperto con spirito contemporaneo, per dare vita a una tipologia chiara, riconoscibile e profondamente legata al luogo.

    A differenza di molte versioni di Collio Bianco realizzate con varietà internazionali (che il disciplinare pure ammette), qui si è scelto di fare un passo indietro come azienda per farne uno in avanti come collettività. Un vino corale, insomma, dove il territorio viene prima del brand, l’identità prima del marketing.

    Coltivare insieme un’idea

    Il seme del progetto è stato piantato tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020 da Kristian Keber (Edi Keber), Andrea Drius (Terre del Faet), Fabijan Muzic (Muzic) e Alessandro Dal Zovo (Cantina Produttori di Cormòns). A loro si sono presto uniti Buzzinelli e Korsic, seguiti poi da La Rajade, Ronco Blanchis, Marcuzzi, Vigne della Cerva, Manià, con nuove adesioni già in arrivo. Insieme hanno dato vita a una vera e propria “linea” di Collio Bianco da uve autoctone, ciascuno con la propria interpretazione, ma tutti sotto un unico messaggio: riportare il Collio al centro della scena, non più come somma di stili aziendali, ma come espressione univoca di territorio.

    In questo senso, l’etichetta è tutt’altro che un dettaglio grafico: è un manifesto. Il nome “Collio” torna ben visibile, scritto grande, come si usava un tempo, quando bastava quella parola per evocare eleganza, longevità e personalità.

    Ma è nel calice che il progetto trova la sua massima forza espressiva: qui, più che altrove, si coglie come il bianco friulano possa – e debba – essere pensato su una scala temporale più lunga, abbandonando l’idea che solo il rosso meriti l’attesa.

    Sarebbe il caso che i produttori, soprattutto nei territori storicamente vocati ai bianchi, iniziassero a interrogarsi più seriamente su questo tema: nessuno mette in discussione la necessità di uscire con dei vini bianchi d’annata e di pronta beva, ma quando ci si trova di fronte a un bianco con un reale potenziale di invecchiamento, ha davvero senso immetterlo sul mercato dopo appena cinque mesi dalla vendemmia? I Collio Bianco da uve autoctone dimostrano che la risposta è no. Che il tempo è un ingrediente essenziale, non un ostacolo logistico. E che la longevità, oggi, può diventare un valore comunicabile anche per i bianchi. In questo, ristoratori e comunicatori hanno un ruolo fondamentale

    i quattro produttori che hanno dato vita al progetto

    Un messaggio che matura nel tempo

    Dietro al progetto non c’è un’associazione formale, né un disciplinare alternativo. Ma c’è una visione comune, forse ancora più forte. Un’idea di vino che si nutre di ascolto, dialogo e rispetto per la storia. Come ha detto Andrea Drius: «Avremo vinto quando si dirà “beviamo un Collio” e nessuno chiederà di che uva si tratta, ma tutti sapranno cosa aspettarsi».

    Non è solo una questione di stile. È un messaggio che va oltre la bottiglia, parla di coerenza, di scelte agronomiche consapevoli (le uve piantate dove rendono meglio, come si faceva un tempo), di valorizzazione del paesaggio, di orgoglio locale.

    E se oggi il Collio Bianco da uve autoctone può contare su annate invecchiate capaci di raccontare il potenziale espressivo di questi vini nel tempo, è anche perché qualcuno ha avuto il coraggio di investire sulla permanenza in cantina, sulla costruzione di memoria liquida, sull’educazione del palato. LEGGI TUTTO

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    Appius: dove il vino incontra l’arte e abita il tempo

    C’è un nuovo spazio nel cuore dell’Alto Adige, e non è solo una cantina: è una dichiarazione d’intenti, un gesto estetico, un invito alla contemplazione. La Cantina San Michele Appiano ha dato forma a un sogno che aveva preso vita più di dieci anni fa nella mente del suo storico enologo Hans Terzer: Appius, la cuvée simbolo di eleganza e visione, ha oggi il suo “tempio”.

    Inaugurata tra il 2023 e il 2024, la nuova cantina dedicata ad Appius è molto più di un luogo produttivo. È un ambiente immersivo, pensato per accogliere e raccontare, dove l’architettura si intreccia con la filosofia di un vino che guarda sempre avanti, ma senza mai perdere il senso del tempo. Un tempo lungo, profondo, fatto di affinamenti, di attese, di dettagli.

    Hans Terzer

    Il progetto, firmato dall’architetto Walter Angonese, si sviluppa a partire da spazi preesistenti, trasformati con rigore e sensibilità in una sala di circa 270 metri quadrati dominata da geometrie pulite e colori netti. Le pareti nere, rivestite in piastrelle ceramiche, dialogano con i riflessi caldi dei 14 serbatoi tronco-conici in acciaio satinato color bronzo: forme disegnate su misura, ispirate all’eleganza della bottiglia di Appius, ma con una funzione precisa – aumentare il contatto con i lieviti durante l’affinamento.

    Al centro, come un cuore silenzioso, una sala degustazione di 30 metri quadrati riceve la luce naturale da una finestra zenitale: qui, il contrasto tra il nero e il rovere chiaro racconta di equilibrio e profondità. Tutto intorno, le bottiglie delle annate precedenti disposte come opere d’arte: nero e oro, vetro e luce, tempo e materia.

    «Abbiamo voluto creare uno spazio che fosse ispirante – spiega Jakob Gasser, attuale enologo della cantina – dove il vino potesse dialogare con il tempo e con la bellezza, in modo discreto ma intenso».

    Appius. Arte. Amore. Alto Adige.

    Non poteva mancare il gesto artistico. Una volta terminato il progetto architettonico, è nata l’idea di rendere ancora più forte il legame tra estetica e vino attraverso un’opera d’arte. La scelta è ricaduta su Robert Pan, artista bolzanino noto per le sue creazioni astratte in resina e pigmenti. Il suo linguaggio visivo – stratificato, vibrante, luminoso – ha offerto la chiave per un racconto parallelo, una “traduzione” dell’anima di Appius.

    L’opera realizzata per la cantina è stata scomposta in dieci frammenti, diventati etichette in resina per un’edizione limitata e speciale di Appius 2019. Un connubio tra vino e arte contemporanea che va oltre la funzione e si fa esperienza sensoriale e culturale.

    In un mondo che spesso corre veloce, la nuova cantina di Appius è un invito a rallentare, ad ascoltare, ad assaporare. Un esempio raro di come l’architettura possa tradurre un’idea di vino in uno spazio vivo, dove ogni dettaglio – dai serbatoi alle luci, dalle bottiglie all’opera d’arte – racconta la coerenza di un’identità.

    Un’identità fondata su una convinzione semplice e assoluta, che a San Michele Appiano si tramanda da più di un secolo: la qualità non conosce compromessi. LEGGI TUTTO

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    Appius: dove il vino incontra l’arte e abita il tempo

    C’è un nuovo spazio nel cuore dell’Alto Adige, e non è solo una cantina: è una dichiarazione d’intenti, un gesto estetico, un invito alla contemplazione. La Cantina San Michele Appiano ha dato forma a un sogno che aveva preso vita più di dieci anni fa nella mente del suo storico enologo Hans Terzer: Appius, la cuvée simbolo di eleganza e visione, ha oggi il suo “tempio”.

    Inaugurata tra il 2023 e il 2024, la nuova cantina dedicata ad Appius è molto più di un luogo produttivo. È un ambiente immersivo, pensato per accogliere e raccontare, dove l’architettura si intreccia con la filosofia di un vino che guarda sempre avanti, ma senza mai perdere il senso del tempo. Un tempo lungo, profondo, fatto di affinamenti, di attese, di dettagli.

    Hans Terzer

    Il progetto, firmato dall’architetto Walter Angonese, si sviluppa a partire da spazi preesistenti, trasformati con rigore e sensibilità in una sala di circa 270 metri quadrati dominata da geometrie pulite e colori netti. Le pareti nere, rivestite in piastrelle ceramiche, dialogano con i riflessi caldi dei 14 serbatoi tronco-conici in acciaio satinato color bronzo: forme disegnate su misura, ispirate all’eleganza della bottiglia di Appius, ma con una funzione precisa – aumentare il contatto con i lieviti durante l’affinamento.

    Al centro, come un cuore silenzioso, una sala degustazione di 30 metri quadrati riceve la luce naturale da una finestra zenitale: qui, il contrasto tra il nero e il rovere chiaro racconta di equilibrio e profondità. Tutto intorno, le bottiglie delle annate precedenti disposte come opere d’arte: nero e oro, vetro e luce, tempo e materia.

    «Abbiamo voluto creare uno spazio che fosse ispirante – spiega Jakob Gasser, attuale enologo della cantina – dove il vino potesse dialogare con il tempo e con la bellezza, in modo discreto ma intenso».

    Appius. Arte. Amore. Alto Adige.

    Non poteva mancare il gesto artistico. Una volta terminato il progetto architettonico, è nata l’idea di rendere ancora più forte il legame tra estetica e vino attraverso un’opera d’arte. La scelta è ricaduta su Robert Pan, artista bolzanino noto per le sue creazioni astratte in resina e pigmenti. Il suo linguaggio visivo – stratificato, vibrante, luminoso – ha offerto la chiave per un racconto parallelo, una “traduzione” dell’anima di Appius.

    L’opera realizzata per la cantina è stata scomposta in dieci frammenti, diventati etichette in resina per un’edizione limitata e speciale di Appius 2019. Un connubio tra vino e arte contemporanea che va oltre la funzione e si fa esperienza sensoriale e culturale.

    In un mondo che spesso corre veloce, la nuova cantina di Appius è un invito a rallentare, ad ascoltare, ad assaporare. Un esempio raro di come l’architettura possa tradurre un’idea di vino in uno spazio vivo, dove ogni dettaglio – dai serbatoi alle luci, dalle bottiglie all’opera d’arte – racconta la coerenza di un’identità.

    Un’identità fondata su una convinzione semplice e assoluta, che a San Michele Appiano si tramanda da più di un secolo: la qualità non conosce compromessi. LEGGI TUTTO

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    Appius: dove il vino incontra l’arte e abita il tempo

    C’è un nuovo spazio nel cuore dell’Alto Adige, e non è solo una cantina: è una dichiarazione d’intenti, un gesto estetico, un invito alla contemplazione. La Cantina San Michele Appiano ha dato forma a un sogno che aveva preso vita più di dieci anni fa nella mente del suo storico enologo Hans Terzer: Appius, la cuvée simbolo di eleganza e visione, ha oggi il suo “tempio”.

    Inaugurata tra il 2023 e il 2024, la nuova cantina dedicata ad Appius è molto più di un luogo produttivo. È un ambiente immersivo, pensato per accogliere e raccontare, dove l’architettura si intreccia con la filosofia di un vino che guarda sempre avanti, ma senza mai perdere il senso del tempo. Un tempo lungo, profondo, fatto di affinamenti, di attese, di dettagli.

    Hans Terzer

    Il progetto, firmato dall’architetto Walter Angonese, si sviluppa a partire da spazi preesistenti, trasformati con rigore e sensibilità in una sala di circa 270 metri quadrati dominata da geometrie pulite e colori netti. Le pareti nere, rivestite in piastrelle ceramiche, dialogano con i riflessi caldi dei 14 serbatoi tronco-conici in acciaio satinato color bronzo: forme disegnate su misura, ispirate all’eleganza della bottiglia di Appius, ma con una funzione precisa – aumentare il contatto con i lieviti durante l’affinamento.

    Al centro, come un cuore silenzioso, una sala degustazione di 30 metri quadrati riceve la luce naturale da una finestra zenitale: qui, il contrasto tra il nero e il rovere chiaro racconta di equilibrio e profondità. Tutto intorno, le bottiglie delle annate precedenti disposte come opere d’arte: nero e oro, vetro e luce, tempo e materia.

    «Abbiamo voluto creare uno spazio che fosse ispirante – spiega Jakob Gasser, attuale enologo della cantina – dove il vino potesse dialogare con il tempo e con la bellezza, in modo discreto ma intenso».

    Appius. Arte. Amore. Alto Adige.

    Non poteva mancare il gesto artistico. Una volta terminato il progetto architettonico, è nata l’idea di rendere ancora più forte il legame tra estetica e vino attraverso un’opera d’arte. La scelta è ricaduta su Robert Pan, artista bolzanino noto per le sue creazioni astratte in resina e pigmenti. Il suo linguaggio visivo – stratificato, vibrante, luminoso – ha offerto la chiave per un racconto parallelo, una “traduzione” dell’anima di Appius.

    L’opera realizzata per la cantina è stata scomposta in dieci frammenti, diventati etichette in resina per un’edizione limitata e speciale di Appius 2019. Un connubio tra vino e arte contemporanea che va oltre la funzione e si fa esperienza sensoriale e culturale.

    In un mondo che spesso corre veloce, la nuova cantina di Appius è un invito a rallentare, ad ascoltare, ad assaporare. Un esempio raro di come l’architettura possa tradurre un’idea di vino in uno spazio vivo, dove ogni dettaglio – dai serbatoi alle luci, dalle bottiglie all’opera d’arte – racconta la coerenza di un’identità.

    Un’identità fondata su una convinzione semplice e assoluta, che a San Michele Appiano si tramanda da più di un secolo: la qualità non conosce compromessi. LEGGI TUTTO

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    Sicily on Wine: un racconto di vino, territorio e relazione

    Ci sono luoghi che sembrano fuori dal tempo, eppure ne custodiscono ogni battito. Luoghi dove la bellezza non è riparo, ma direzione. In Sicilia, tra i rilievi silenziosi dei Monti Sicani, la memoria non è solo un esercizio del ricordo: è sostanza viva delle cose, è paesaggio che respira, è gesto quotidiano. Qui, tra le pietre chiare di Chiusa Sclafani, le curve antiche di Sambuca, l’asprezza luminosa di una natura selvaggia, ogni cosa racconta chi siamo stati — e chi scegliamo ancora di essere.

    Perché i paesi non muoiono solo per lo spopolamento, ma quando chi resta smette di riconoscersi nello sguardo dell’altro, quando la memoria si sfilaccia fino a diventare estranea. E invece, in questi luoghi marginali solo in apparenza, si resiste. Si tiene viva la trama sottile della bellezza vera: non quella citata distrattamente come un mantra stanco, ma quella fatta di mani che lavorano la terra, di vino che racconta un territorio, di comunità che si ritrova intorno a un rito condiviso.

    Sicily on Wine nasce così, come un atto di cura. Non una celebrazione effimera, ma un tempo sospeso in cui cultura, paesaggio, lavoro e memoria si intrecciano per dire che sì, la bellezza può ancora salvarci — ma solo se sapremo, noi per primi, salvare lei.

    Ed è proprio in questa visione che ha preso forma la manifestazione: dieci buyer da sette Paesi e tre continenti, ventuno produttori siciliani, oltre duecento incontri B2B, tour nelle cantine e scoperta del territorio. Numeri che raccontano un progetto concreto, ma che da soli non bastano a spiegare l’energia che si è respirata tra le navate del seicentesco Monastero dei Padri Olivetani, a Chiusa Sclafani, dove si sono svolti gli incontri e le degustazioni.

    Organizzato da Sicindustria — partner di Enterprise Europe Network (EEN), la più grande rete europea a supporto delle PMI — insieme a WonderFood Communication, al Comune di Chiusa Sclafani e al Sector Group Agrifood, Sicily on Wine è stato pensato per restituire visibilità e prospettive alle piccole e medie realtà vitivinicole dell’Isola. Aziende spesso a conduzione familiare, con produzioni limitate — inferiori alle 100.000 bottiglie l’anno — che scelgono la via più lunga: quella della qualità, della sostenibilità, dei vitigni autoctoni.

    Monastero dei Padri Olivetani – Chiusa Sclafani

    Qui, tra un bicchiere condiviso e uno scambio di idee, le imprese siciliane hanno incontrato il mondo: buyer dal Canada alla Polonia, dalla Grecia all’India, e giornalisti di settore hanno ascoltato storie che profumano di terra e fatica, assaggiato vini che parlano con voce distinta del proprio luogo d’origine.

    I giorni di Sicily on Wine sono stati anche occasione di visite aziendali, degustazioni e incontri autentici: buyer e giornalisti sono entrati nelle cantine, hanno ascoltato storie familiari, scoperto i prodotti locali, che insieme compongono un mosaico vivo di relazioni.

    Sicily on Wine non è solo un evento: è un invito a tornare, a restare, a credere che la bellezza, quella vera, possa ancora essere una promessa mantenuta.

    Focus sui vini

    Che i vini siciliani godano oggi di ottima salute è fuori discussione. E non si tratta solo dei nomi più noti o delle grandi denominazioni: è nelle produzioni più piccole, rarefatte, spesso al di sotto delle centomila bottiglie annue, che si coglie la vitalità autentica del vino siciliano contemporaneo. Sicily on Wine ha dato voce proprio a questa realtà, mettendo in luce un panorama di altissimo livello, in particolare sul fronte dei bianchi – tra i più interessanti d’Italia e di respiro sempre più internazionale.

    Tra le degustazioni che hanno lasciato il segno, spicca il Sicilia Grillo DOC “Contravénto” di TerreGarcia, un bianco dalla personalità netta, così come il sorprendente vino rosa 2024 di Serra Ferdinandea, un nero d’Avola in purezza che ribalta gli stereotipi del rosato. Non mancano le bollicine, come il Perle di Grazia di Terre di Gratia, a conferma di quanto sia ampio e dinamico il ventaglio delle interpretazioni enologiche siciliane, ma l’elenco potrebbe continuare perché tutte le cantine presenti al Monastero dei Padri Olivetani hanno presentato referenze di livello assoluto.

    E poi ci sono i “geni liberi” – come Marilena Barbera, Francesco Guccione, Salvatore Tamburello – che con i loro vini sanno creare visioni e risonanze profonde. Produzioni che si sottraggono a qualsiasi standardizzazione e che ricordano cosa dovrebbe essere davvero il vino: un racconto sincero, coraggioso, capace di sorprendere. Guccione, in particolare, dimostra come un vino naturale possa essere fatto con eleganza, grazia e profondità, indicando una via alternativa e credibile rispetto a certa deriva modaiola del “naturale”.

    Il segreto del nuovo Rinascimento del vino siciliano risiede anche in una fiducia crescente nelle nuove generazioni. Giovani produttori, sempre più spesso donne, stanno riportando in primo piano concetti come sostenibilità, consapevolezza ambientale e rispetto del territorio, contribuendo a una trasformazione culturale che mette al centro la qualità, ma anche l’identità.

    Sicily on wine Buyer

    Quella della Sicilia è una rivoluzione che affonda le radici nel passato. Negli ultimi vent’anni, infatti, si è assistito a un grande lavoro di riscoperta e valorizzazione delle varietà autoctone: sono oltre cento i vitigni selezionati e catalogati, di cui almeno una ventina con potenziale qualitativo straordinario. Se il nero d’Avola è ormai un ambasciatore internazionale, accanto a lui si affermano vitigni come il nerello mascalese e cappuccio, il frappato, l’alicante, il perricone e la nocera. Sul versante bianco brillano nomi come inzolia, carricante, grecanico, catarratto, zibibbo, malvasia di Lipari e moscato di Siracusa.

    Questo straordinario patrimonio ampelografico – spesso ancora poco conosciuto – è parte integrante dell’identità culturale dell’isola, e racconta una Sicilia che non ha mai smesso di credere nella propria unicità. Chi ha scelto di rimanere, o di tornare, e di metterci la faccia, ha fatto scelte coraggiose: conversione al biologico, apertura all’enoturismo, nuovi linguaggi per comunicare il vino e il territorio.

    La Sicilia si candida così a essere, oggi più che mai, una delle regioni vinicole più espressive e interessanti del mondo. Un laboratorio a cielo aperto, dove si incontrano storia e sperimentazione, paesaggio e visione. Un’Isola del Vino che guarda al futuro con radici ben salde nella propria terra.

    I produttori presenti a Sicily on Wine LEGGI TUTTO

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    Sicily on Wine: un racconto di vino, territorio e relazione

    Ci sono luoghi che sembrano fuori dal tempo, eppure ne custodiscono ogni battito. Luoghi dove la bellezza non è riparo, ma direzione. In Sicilia, tra i rilievi silenziosi dei Monti Sicani, la memoria non è solo un esercizio del ricordo: è sostanza viva delle cose, è paesaggio che respira, è gesto quotidiano. Qui, tra le pietre chiare di Chiusa Sclafani, le curve antiche di Sambuca, l’asprezza luminosa di una natura selvaggia, ogni cosa racconta chi siamo stati — e chi scegliamo ancora di essere.

    Perché i paesi non muoiono solo per lo spopolamento, ma quando chi resta smette di riconoscersi nello sguardo dell’altro, quando la memoria si sfilaccia fino a diventare estranea. E invece, in questi luoghi marginali solo in apparenza, si resiste. Si tiene viva la trama sottile della bellezza vera: non quella citata distrattamente come un mantra stanco, ma quella fatta di mani che lavorano la terra, di vino che racconta un territorio, di comunità che si ritrova intorno a un rito condiviso.

    Sicily on Wine nasce così, come un atto di cura. Non una celebrazione effimera, ma un tempo sospeso in cui cultura, paesaggio, lavoro e memoria si intrecciano per dire che sì, la bellezza può ancora salvarci — ma solo se sapremo, noi per primi, salvare lei.

    Ed è proprio in questa visione che ha preso forma la manifestazione: dieci buyer da sette Paesi e tre continenti, ventuno produttori siciliani, oltre duecento incontri B2B, tour nelle cantine e scoperta del territorio. Numeri che raccontano un progetto concreto, ma che da soli non bastano a spiegare l’energia che si è respirata tra le navate del seicentesco Monastero dei Padri Olivetani, a Chiusa Sclafani, dove si sono svolti gli incontri e le degustazioni.

    Organizzato da Sicindustria — partner di Enterprise Europe Network (EEN), la più grande rete europea a supporto delle PMI — insieme a WonderFood Communication, al Comune di Chiusa Sclafani e al Sector Group Agrifood, Sicily on Wine è stato pensato per restituire visibilità e prospettive alle piccole e medie realtà vitivinicole dell’Isola. Aziende spesso a conduzione familiare, con produzioni limitate — inferiori alle 100.000 bottiglie l’anno — che scelgono la via più lunga: quella della qualità, della sostenibilità, dei vitigni autoctoni.

    Monastero dei Padri Olivetani – Chiusa Sclafani

    Qui, tra un bicchiere condiviso e uno scambio di idee, le imprese siciliane hanno incontrato il mondo: buyer dal Canada alla Polonia, dalla Grecia all’India, e giornalisti di settore hanno ascoltato storie che profumano di terra e fatica, assaggiato vini che parlano con voce distinta del proprio luogo d’origine.

    I giorni di Sicily on Wine sono stati anche occasione di visite aziendali, degustazioni e incontri autentici: buyer e giornalisti sono entrati nelle cantine, hanno ascoltato storie familiari, scoperto i prodotti locali, che insieme compongono un mosaico vivo di relazioni.

    Sicily on Wine non è solo un evento: è un invito a tornare, a restare, a credere che la bellezza, quella vera, possa ancora essere una promessa mantenuta.

    Focus sui vini

    Che i vini siciliani godano oggi di ottima salute è fuori discussione. E non si tratta solo dei nomi più noti o delle grandi denominazioni: è nelle produzioni più piccole, rarefatte, spesso al di sotto delle centomila bottiglie annue, che si coglie la vitalità autentica del vino siciliano contemporaneo. Sicily on Wine ha dato voce proprio a questa realtà, mettendo in luce un panorama di altissimo livello, in particolare sul fronte dei bianchi – tra i più interessanti d’Italia e di respiro sempre più internazionale.

    Tra le degustazioni che hanno lasciato il segno, spicca il Sicilia Grillo DOC “Contravénto” di TerreGarcia, un bianco dalla personalità netta, così come il sorprendente vino rosa 2024 di Serra Ferdinandea, un nero d’Avola in purezza che ribalta gli stereotipi del rosato. Non mancano le bollicine, come il Perle di Grazia di Terre di Gratia, a conferma di quanto sia ampio e dinamico il ventaglio delle interpretazioni enologiche siciliane, ma l’elenco potrebbe continuare perché tutte le cantine presenti al Monastero dei Padri Olivetani hanno presentato referenze di livello assoluto.

    E poi ci sono i “geni liberi” – come Marilena Barbera, Francesco Guccione, Salvatore Tamburello – che con i loro vini sanno creare visioni e risonanze profonde. Produzioni che si sottraggono a qualsiasi standardizzazione e che ricordano cosa dovrebbe essere davvero il vino: un racconto sincero, coraggioso, capace di sorprendere. Guccione, in particolare, dimostra come un vino naturale possa essere fatto con eleganza, grazia e profondità, indicando una via alternativa e credibile rispetto a certa deriva modaiola del “naturale”.

    Il segreto del nuovo Rinascimento del vino siciliano risiede anche in una fiducia crescente nelle nuove generazioni. Giovani produttori, sempre più spesso donne, stanno riportando in primo piano concetti come sostenibilità, consapevolezza ambientale e rispetto del territorio, contribuendo a una trasformazione culturale che mette al centro la qualità, ma anche l’identità.

    Sicily on wine Buyer

    Quella della Sicilia è una rivoluzione che affonda le radici nel passato. Negli ultimi vent’anni, infatti, si è assistito a un grande lavoro di riscoperta e valorizzazione delle varietà autoctone: sono oltre cento i vitigni selezionati e catalogati, di cui almeno una ventina con potenziale qualitativo straordinario. Se il nero d’Avola è ormai un ambasciatore internazionale, accanto a lui si affermano vitigni come il nerello mascalese e cappuccio, il frappato, l’alicante, il perricone e la nocera. Sul versante bianco brillano nomi come inzolia, carricante, grecanico, catarratto, zibibbo, malvasia di Lipari e moscato di Siracusa.

    Questo straordinario patrimonio ampelografico – spesso ancora poco conosciuto – è parte integrante dell’identità culturale dell’isola, e racconta una Sicilia che non ha mai smesso di credere nella propria unicità. Chi ha scelto di rimanere, o di tornare, e di metterci la faccia, ha fatto scelte coraggiose: conversione al biologico, apertura all’enoturismo, nuovi linguaggi per comunicare il vino e il territorio.

    La Sicilia si candida così a essere, oggi più che mai, una delle regioni vinicole più espressive e interessanti del mondo. Un laboratorio a cielo aperto, dove si incontrano storia e sperimentazione, paesaggio e visione. Un’Isola del Vino che guarda al futuro con radici ben salde nella propria terra.

    I produttori presenti a Sicily on Wine LEGGI TUTTO

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    Sicily on Wine: un racconto di vino, territorio e relazione

    Ci sono luoghi che sembrano fuori dal tempo, eppure ne custodiscono ogni battito. Luoghi dove la bellezza non è riparo, ma direzione. In Sicilia, tra i rilievi silenziosi dei Monti Sicani, la memoria non è solo un esercizio del ricordo: è sostanza viva delle cose, è paesaggio che respira, è gesto quotidiano. Qui, tra le pietre chiare di Chiusa Sclafani, le curve antiche di Sambuca, l’asprezza luminosa di una natura selvaggia, ogni cosa racconta chi siamo stati — e chi scegliamo ancora di essere.

    Perché i paesi non muoiono solo per lo spopolamento, ma quando chi resta smette di riconoscersi nello sguardo dell’altro, quando la memoria si sfilaccia fino a diventare estranea. E invece, in questi luoghi marginali solo in apparenza, si resiste. Si tiene viva la trama sottile della bellezza vera: non quella citata distrattamente come un mantra stanco, ma quella fatta di mani che lavorano la terra, di vino che racconta un territorio, di comunità che si ritrova intorno a un rito condiviso.

    Sicily on Wine nasce così, come un atto di cura. Non una celebrazione effimera, ma un tempo sospeso in cui cultura, paesaggio, lavoro e memoria si intrecciano per dire che sì, la bellezza può ancora salvarci — ma solo se sapremo, noi per primi, salvare lei.

    Ed è proprio in questa visione che ha preso forma la manifestazione: dieci buyer da sette Paesi e tre continenti, ventuno produttori siciliani, oltre duecento incontri B2B, tour nelle cantine e scoperta del territorio. Numeri che raccontano un progetto concreto, ma che da soli non bastano a spiegare l’energia che si è respirata tra le navate del seicentesco Monastero dei Padri Olivetani, a Chiusa Sclafani, dove si sono svolti gli incontri e le degustazioni.

    Organizzato da Sicindustria — partner di Enterprise Europe Network (EEN), la più grande rete europea a supporto delle PMI — insieme a WonderFood Communication, al Comune di Chiusa Sclafani e al Sector Group Agrifood, Sicily on Wine è stato pensato per restituire visibilità e prospettive alle piccole e medie realtà vitivinicole dell’Isola. Aziende spesso a conduzione familiare, con produzioni limitate — inferiori alle 100.000 bottiglie l’anno — che scelgono la via più lunga: quella della qualità, della sostenibilità, dei vitigni autoctoni.

    Monastero dei Padri Olivetani – Chiusa Sclafani

    Qui, tra un bicchiere condiviso e uno scambio di idee, le imprese siciliane hanno incontrato il mondo: buyer dal Canada alla Polonia, dalla Grecia all’India, e giornalisti di settore hanno ascoltato storie che profumano di terra e fatica, assaggiato vini che parlano con voce distinta del proprio luogo d’origine.

    I giorni di Sicily on Wine sono stati anche occasione di visite aziendali, degustazioni e incontri autentici: buyer e giornalisti sono entrati nelle cantine, hanno ascoltato storie familiari, scoperto i prodotti locali, che insieme compongono un mosaico vivo di relazioni.

    Sicily on Wine non è solo un evento: è un invito a tornare, a restare, a credere che la bellezza, quella vera, possa ancora essere una promessa mantenuta.

    Focus sui vini

    Che i vini siciliani godano oggi di ottima salute è fuori discussione. E non si tratta solo dei nomi più noti o delle grandi denominazioni: è nelle produzioni più piccole, rarefatte, spesso al di sotto delle centomila bottiglie annue, che si coglie la vitalità autentica del vino siciliano contemporaneo. Sicily on Wine ha dato voce proprio a questa realtà, mettendo in luce un panorama di altissimo livello, in particolare sul fronte dei bianchi – tra i più interessanti d’Italia e di respiro sempre più internazionale.

    Tra le degustazioni che hanno lasciato il segno, spicca il Sicilia Grillo DOC “Contravénto” di TerreGarcia, un bianco dalla personalità netta, così come il sorprendente vino rosa 2024 di Serra Ferdinandea, un nero d’Avola in purezza che ribalta gli stereotipi del rosato. Non mancano le bollicine, come il Perle di Grazia di Terre di Gratia, a conferma di quanto sia ampio e dinamico il ventaglio delle interpretazioni enologiche siciliane, ma l’elenco potrebbe continuare perché tutte le cantine presenti al Monastero dei Padri Olivetani hanno presentato referenze di livello assoluto.

    E poi ci sono i “geni liberi” – come Marilena Barbera, Francesco Guccione, Salvatore Tamburello – che con i loro vini sanno creare visioni e risonanze profonde. Produzioni che si sottraggono a qualsiasi standardizzazione e che ricordano cosa dovrebbe essere davvero il vino: un racconto sincero, coraggioso, capace di sorprendere. Guccione, in particolare, dimostra come un vino naturale possa essere fatto con eleganza, grazia e profondità, indicando una via alternativa e credibile rispetto a certa deriva modaiola del “naturale”.

    Il segreto del nuovo Rinascimento del vino siciliano risiede anche in una fiducia crescente nelle nuove generazioni. Giovani produttori, sempre più spesso donne, stanno riportando in primo piano concetti come sostenibilità, consapevolezza ambientale e rispetto del territorio, contribuendo a una trasformazione culturale che mette al centro la qualità, ma anche l’identità.

    Sicily on wine Buyer

    Quella della Sicilia è una rivoluzione che affonda le radici nel passato. Negli ultimi vent’anni, infatti, si è assistito a un grande lavoro di riscoperta e valorizzazione delle varietà autoctone: sono oltre cento i vitigni selezionati e catalogati, di cui almeno una ventina con potenziale qualitativo straordinario. Se il nero d’Avola è ormai un ambasciatore internazionale, accanto a lui si affermano vitigni come il nerello mascalese e cappuccio, il frappato, l’alicante, il perricone e la nocera. Sul versante bianco brillano nomi come inzolia, carricante, grecanico, catarratto, zibibbo, malvasia di Lipari e moscato di Siracusa.

    Questo straordinario patrimonio ampelografico – spesso ancora poco conosciuto – è parte integrante dell’identità culturale dell’isola, e racconta una Sicilia che non ha mai smesso di credere nella propria unicità. Chi ha scelto di rimanere, o di tornare, e di metterci la faccia, ha fatto scelte coraggiose: conversione al biologico, apertura all’enoturismo, nuovi linguaggi per comunicare il vino e il territorio.

    La Sicilia si candida così a essere, oggi più che mai, una delle regioni vinicole più espressive e interessanti del mondo. Un laboratorio a cielo aperto, dove si incontrano storia e sperimentazione, paesaggio e visione. Un’Isola del Vino che guarda al futuro con radici ben salde nella propria terra.

    I produttori presenti a Sicily on Wine LEGGI TUTTO

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    Sicily on Wine: un racconto di vino, territorio e relazione

    Ci sono luoghi che sembrano fuori dal tempo, eppure ne custodiscono ogni battito. Luoghi dove la bellezza non è riparo, ma direzione. In Sicilia, tra i rilievi silenziosi dei Monti Sicani, la memoria non è solo un esercizio del ricordo: è sostanza viva delle cose, è paesaggio che respira, è gesto quotidiano. Qui, tra le pietre chiare di Chiusa Sclafani, le curve antiche di Sambuca, l’asprezza luminosa di una natura selvaggia, ogni cosa racconta chi siamo stati — e chi scegliamo ancora di essere.

    Perché i paesi non muoiono solo per lo spopolamento, ma quando chi resta smette di riconoscersi nello sguardo dell’altro, quando la memoria si sfilaccia fino a diventare estranea. E invece, in questi luoghi marginali solo in apparenza, si resiste. Si tiene viva la trama sottile della bellezza vera: non quella citata distrattamente come un mantra stanco, ma quella fatta di mani che lavorano la terra, di vino che racconta un territorio, di comunità che si ritrova intorno a un rito condiviso.

    Sicily on Wine nasce così, come un atto di cura. Non una celebrazione effimera, ma un tempo sospeso in cui cultura, paesaggio, lavoro e memoria si intrecciano per dire che sì, la bellezza può ancora salvarci — ma solo se sapremo, noi per primi, salvare lei.

    Ed è proprio in questa visione che ha preso forma la manifestazione: dieci buyer da sette Paesi e tre continenti, ventuno produttori siciliani, oltre duecento incontri B2B, tour nelle cantine e scoperta del territorio. Numeri che raccontano un progetto concreto, ma che da soli non bastano a spiegare l’energia che si è respirata tra le navate del seicentesco Monastero dei Padri Olivetani, a Chiusa Sclafani, dove si sono svolti gli incontri e le degustazioni.

    Organizzato da Sicindustria — partner di Enterprise Europe Network (EEN), la più grande rete europea a supporto delle PMI — insieme a WonderFood Communication, al Comune di Chiusa Sclafani e al Sector Group Agrifood, Sicily on Wine è stato pensato per restituire visibilità e prospettive alle piccole e medie realtà vitivinicole dell’Isola. Aziende spesso a conduzione familiare, con produzioni limitate — inferiori alle 100.000 bottiglie l’anno — che scelgono la via più lunga: quella della qualità, della sostenibilità, dei vitigni autoctoni.

    Monastero dei Padri Olivetani – Chiusa Sclafani

    Qui, tra un bicchiere condiviso e uno scambio di idee, le imprese siciliane hanno incontrato il mondo: buyer dal Canada alla Polonia, dalla Grecia all’India, e giornalisti di settore hanno ascoltato storie che profumano di terra e fatica, assaggiato vini che parlano con voce distinta del proprio luogo d’origine.

    I giorni di Sicily on Wine sono stati anche occasione di visite aziendali, degustazioni e incontri autentici: buyer e giornalisti sono entrati nelle cantine, hanno ascoltato storie familiari, scoperto i prodotti locali, che insieme compongono un mosaico vivo di relazioni.

    Sicily on Wine non è solo un evento: è un invito a tornare, a restare, a credere che la bellezza, quella vera, possa ancora essere una promessa mantenuta.

    Focus sui vini

    Che i vini siciliani godano oggi di ottima salute è fuori discussione. E non si tratta solo dei nomi più noti o delle grandi denominazioni: è nelle produzioni più piccole, rarefatte, spesso al di sotto delle centomila bottiglie annue, che si coglie la vitalità autentica del vino siciliano contemporaneo. Sicily on Wine ha dato voce proprio a questa realtà, mettendo in luce un panorama di altissimo livello, in particolare sul fronte dei bianchi – tra i più interessanti d’Italia e di respiro sempre più internazionale.

    Tra le degustazioni che hanno lasciato il segno, spicca il Sicilia Grillo DOC “Contravénto” di TerreGarcia, un bianco dalla personalità netta, così come il sorprendente vino rosa 2024 di Serra Ferdinandea, un nero d’Avola in purezza che ribalta gli stereotipi del rosato. Non mancano le bollicine, come il Perle di Grazia di Terre di Gratia, a conferma di quanto sia ampio e dinamico il ventaglio delle interpretazioni enologiche siciliane, ma l’elenco potrebbe continuare perché tutte le cantine presenti al Monastero dei Padri Olivetani hanno presentato referenze di livello assoluto.

    E poi ci sono i “geni liberi” – come Marilena Barbera, Francesco Guccione, Salvatore Tamburello – che con i loro vini sanno creare visioni e risonanze profonde. Produzioni che si sottraggono a qualsiasi standardizzazione e che ricordano cosa dovrebbe essere davvero il vino: un racconto sincero, coraggioso, capace di sorprendere. Guccione, in particolare, dimostra come un vino naturale possa essere fatto con eleganza, grazia e profondità, indicando una via alternativa e credibile rispetto a certa deriva modaiola del “naturale”.

    Il segreto del nuovo Rinascimento del vino siciliano risiede anche in una fiducia crescente nelle nuove generazioni. Giovani produttori, sempre più spesso donne, stanno riportando in primo piano concetti come sostenibilità, consapevolezza ambientale e rispetto del territorio, contribuendo a una trasformazione culturale che mette al centro la qualità, ma anche l’identità.

    Sicily on wine Buyer

    Quella della Sicilia è una rivoluzione che affonda le radici nel passato. Negli ultimi vent’anni, infatti, si è assistito a un grande lavoro di riscoperta e valorizzazione delle varietà autoctone: sono oltre cento i vitigni selezionati e catalogati, di cui almeno una ventina con potenziale qualitativo straordinario. Se il nero d’Avola è ormai un ambasciatore internazionale, accanto a lui si affermano vitigni come il nerello mascalese e cappuccio, il frappato, l’alicante, il perricone e la nocera. Sul versante bianco brillano nomi come inzolia, carricante, grecanico, catarratto, zibibbo, malvasia di Lipari e moscato di Siracusa.

    Questo straordinario patrimonio ampelografico – spesso ancora poco conosciuto – è parte integrante dell’identità culturale dell’isola, e racconta una Sicilia che non ha mai smesso di credere nella propria unicità. Chi ha scelto di rimanere, o di tornare, e di metterci la faccia, ha fatto scelte coraggiose: conversione al biologico, apertura all’enoturismo, nuovi linguaggi per comunicare il vino e il territorio.

    La Sicilia si candida così a essere, oggi più che mai, una delle regioni vinicole più espressive e interessanti del mondo. Un laboratorio a cielo aperto, dove si incontrano storia e sperimentazione, paesaggio e visione. Un’Isola del Vino che guarda al futuro con radici ben salde nella propria terra.

    I produttori presenti a Sicily on Wine LEGGI TUTTO