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    AD 13.21 Monti Lessini doc: l’audacia visionaria di Gianni Tessari

    di Patrizia Vigolo

    Gianni Tessari è un visionario ma con radici ben solide nella tradizione del suo territorio e delle uve che esso genera.

    Per Gianni Tessari la tradizione è il territorio stesso, mentre la tecnologia in cantina è uno strumento che gli permette di migliorare costantemente, garantendo un prodotto che parla sempre di più di lui, della sua famiglia e del suo percorso.

    Gianni Tessari

    Quando Gianni racconta la sua storia, lo fa con autenticità e passione. E’ diretto e carismatico. Ciò che gli riesce meglio è interpretare il vino e il territorio a modo suo o, come dice lui con grande umilità “almeno ci provo a farlo”. Coniuga la conoscenza acquisita in anni di esperienza e un occhio sempre attento ai mutamenti del mercato e ai gusti dei consumatori.

    Questo spirito visionario si riflette perfettamente nel suo ultimo vino: l’AD 13.21 Monti Lessini Doc.

    AD 13.21 Monti Lessini DOC: Un Durello Metodo Classico in edizione limitata

    AD 13.21 Monti Lessini DOC è un Durello Metodo Classico Dosaggio Zero in edizione limitata. Ne sono stati prodotti solamente 200 esemplari in formato magnum disponibili su assegnazione e sarà proprio il vignaiolo a decidere a chi assegnare il prezioso vino.

    L’origine del nome

    Il nome AD sta per Annata Doppia, mentre 13.21 si riferisce ai due millesimi selezionati per dare vita a un’etichetta nella quale la dimensione affettiva del ricordo si fonde con la raffinatezza stilistica.

    La 2013, oltre ad essere un’annata eccellente per la durella, coincide con l’anno di fondazione dell’azienda e la sua prima vendemmia.

    La 2021, invece, è stata scelta per la sua straordinaria freschezza e verticalità. Il risultato è una cuvée che sorprende per l’ampiezza aromatica e la vivacità sensoriale, promettendo un’eccellente evoluzione del tempo.

    “AD 13.21 nasce da una serie di intuizioni e sperimentazioni che mettono al centro la ricerca emotiva dell’eccellenza, un gioco in cui desideriamo coinvolgere chi il vino lo degusterà. Ho scelto, infatti, di unire i due millesimi dopo la fase di spumantizzazione anziché prima, come da prassi, per esprimere con maggiore precisione e sicurezza la mia visione del Metodo Classico, pensato per coloro che ricercano l’emozione nell’essenza di un grande vino.”” dice Gianni Tessari.

    L’audacia della sperimentazione

    Ciò che colpisce di Gianni Tessari è il desiderio di evolvere e di sperimentare. Questo vino è solo l’ultimo esempio messo sul mercato con lo scopo di accompagnare i palati in evoluzione ma senza mai rinunciare alla tradizione.

    L’umiltà di Tessari come vignaiolo è emersa anche durante la presentazione di questo vino, quando ha affermato:

    “AD. 13.21 non sarebbe mai nato senza il lavoro di squadra, della famiglia e di tutto lo staff. E’ stao un progetto ambizioso e nessuno ne sapeva il risultato. Unire due vini, anzi, due spumanti, è stato come fondere due anime e il legame che le unisce è l’impegno e la visione condivisa di tutti coloro che hanno collaborato al progetto, senza esclusioni.”

    La cantina Gianni Tessari

    L’azienda vitivinicola Giannitessari nasce nel 2013 dalla volontà dell’omonimo vignaiolo di esprimere la propria concezione del fare vino attraverso il confronto con tre diversi territori: Monti Lessini, Soave e Colli Berici. I vigneti dell’azienda si distribuiscono nelle tre DOC per un totale 35 ettari complessivi, mentre la Cantina, che ha sede a Roncà (Verona), si estende per circa 7.000 m² e produce circa 350.000 bottiglie l’anno. La produzione di vini di alta qualità, rinomata e riconosciuta a livello internazionale, si concentra sulle varietà autoctone, spaziando dal Tai Rosso dei Colli Berici, all’eccellenza bianchista del Soave, fino al Durello Spumante Metodo Classico dei Lessini, che negli ultimi trent’anni è stato al centro di un processo di riscoperta e valorizzazione. Oggi Giannitessari si afferma come una delle migliori firme del Lessini Durello Spumante Metodo Classico. LEGGI TUTTO

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    Luigi Moio a Etna Days 2024: Il vino non è un liquido, è un vettore culturale

    Nel mio recente articolo su “La stanza del vino”, ho ricordato la bella edizione di “Blend Simmetrie enoiche 2024” e riflettuto sulla complessità che il comparto vitivinicolo si trova ad affrontare oggi. Tra le sfide principali, vi sono la contrazione dei consumi, un salutismo spesso esasperato e l’uso di un linguaggio astruso e iper-tecnico. Tuttavia, nonostante il futuro del vino sia spesso dipinto con toni cupi, c’è un aspetto fondamentale che continua a rendere questa bevanda unica e immortale: il suo profondo legame con la cultura.

    Flamini_Lunetta_Moio_Gauvrit_Cambria

    Il vino è una bevanda che va oltre la semplice degustazione; è un mezzo per esplorare luoghi e tempi diversi. I terroir di grande espressività possono imprimere un’impronta unica nel vino, la cui degustazione permette di viaggiare nello spazio (luogo) ma anche nel tempo quando si assaggiano vecchie annate, e questa magia di collegarsi ad un luogo attraversando il tempo, è solo prerogativa del vino.

    Un concetto simile è stato espresso da Luigi Moio, presidente dell’Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino (OIV), durante gli Etna Days, organizzati dal Consorzio Etna Doc che si stanno svolgendo in questi giorni a Castiglione di Sicilia. Il prof. Moio ha evidenziato come il settore del vino stia attraversando un momento difficile, anche a causa di una mancata trasmissione intergenerazionale del significato culturale del consumo di vino.

    Ha osservato che le nuove generazioni, attratte dalla mixology, si stanno allontanando dal vino pur assumendo più alcol rispetto alle generazioni precedenti. Paradossalmente, il vino è spesso penalizzato nel dibattito su alcol e salute, mentre altre bevande alcoliche sfuggono a questa critica.

    Secondo il prof. Moio, c’è una grande responsabilità da attribuire alla comunicazione, che è troppo spesso confusionaria e contraddittoria. “Non possiamo dire che il vino fa bene perché c’è l’alcol”, ha spiegato, “ma ci sono altri argomenti che distinguono il nostro mondo e che accomunano il prodotto con i territori e la loro storia”. Il prof. Moio ha concluso sottolineando che il vino “non è un liquido, è un vettore culturale. Bere un calice di Etna è un atto culturale, e la forza della sua denominazione è data dall’identità costruita attorno al Vulcano”.

    Queste riflessioni mettono in luce come, nonostante le numerose sfide che il settore vitivinicolo si trova ad affrontare, il vino mantenga il suo ruolo di elemento culturale di grande valore. Non è solo una bevanda, ma un simbolo di identità territoriale, storia e tradizione. Ogni bottiglia racconta una storia unica: dai terroir che ne determinano le caratteristiche organolettiche, alle persone che con passione e dedizione ne curano la produzione, fino ai momenti conviviali che il vino accompagna, favorendo connessioni umane e sociali.

    In questo contesto, è fondamentale che il mondo del vino sia difeso e valorizzato non solo per le sue qualità intrinseche, ma anche per i significati profondi che porta con sé. Diventa necessario, quindi, ripensare il modo in cui il vino viene comunicato alle nuove generazioni. Serve un approccio che vada oltre il linguaggio tecnico e che riesca a trasmettere l’essenza del vino come esperienza sensoriale, culturale ed emotiva, capace di legare insieme storia, geografia, e tradizioni locali. LEGGI TUTTO

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    Annalisa Zorzettig: passione e condivisione

    di Patrizia Vigolo

    Quando si dice che un vino racchiude l’anima di chi lo produce, è vero e lo si prova quando si bevono i vini Zorzettig.

    Annalisa Zorzettig è una donna che ama la sua terra e la sa raccontare con enfasi ed eleganza allo stesso tempo.

    L’incontro con Annalisa avviene in una calda giornata di giugno a Verona per un pranzo, l’aria ricca di umidità dopo un temporale estivo.

    Un sorriso caldo e amichevole contorniato da capelli biondi e lunghi mi accoglie al ristorante Darì (https://www.ristorantedari.com/).

    Annalisa Zorgettig e la sua azienda

    Il pranzo inizia con il racconto di Annalisa della sua azienda, fondata nel 1874 a Cividale, in Friuli. Dal 2006 l’azienda è gestita proprio da lei seguendo il lavoro del padre Giuseppe Zorzettig.

    La cantina Zorzettig è portabandiera dei vitigni autoctoni friulani, con alcune piccole chicche come il Pignolo, lo Schioppettino e il Picolit.

    Delle 800.000 bottiglie provenienti dai 120 ettari di proprietà, il 45% è destinato ai mercati esteri, in primis Germania e Stati Uniti.

    Nel racconto di Annalisa emerge subito un grande rispetto verso l’ambiente. Orgogliosa sottolinea la certificazione SQNPI ottenuta nel 2016 che segna l’abbandono totale dell’utilizzo di diserbanti chimici.

    La sostenibilità secondo Annalisa Zorzettig

    Annalisa crede nella necessità di rispettare e di preservare l’ecosistema ma ciò che davvero punta ad ottenere è un equilibrio che possa favorire la prosperità di tutti coloro che lo abitano.

    Sostenibilità non è solo un termine legato all’ambiente ma un tema che Annalisa Zorzettig sente fortemente legato anche alla comunità Come esiste un ecosistema in natura e nel mondo, così nella sua azienda ne esiste uno altrettanto importante. Esso comprende tutti i lavoratori che contribuiscono all’azienda ma anche tutti coloro che si identificano come “custodi delle terre e delle tradizioni friulane.”

    In viaggio trai vitigni friulani

    Linea Myò “Pinot Bianco” – Friuli Colli Orientali Doc 2021

    Il Pinot Bianco è tra i vitigni che a mio parere sono maggiormente sottovalutati.

    Zorzettig racchiude in questo vino tutta l’eleganza e il carattere aristocratico di questo vitigno. Dopo 12 mesi di affinamento sulle fecce fini (50% in acciaio e 50% in barrique di rovere e acacia), ciò che ne risulta è un vino ammaliante: soave, mai invasivo, delicato e di grande freschezza.

    Sono di parte? Si, amo il Pinot Bianco e questo merita di essere degustato.

    Non amo solitamente l’uso del legno ma qui è stato usato con parsimonia e grande maestria: mai invasivo ed è stato utilizzato al servizio del vino e delle sue caratteristiche intrinseche con l’unico scopo di esaltarne il carattere.

    Linea Myò – Malvasia – Colli Orientali del Friuli Doc 2021

    Il vigneto di provenienza è del 1936, con vigne che vanno dai 30 ai 90 anni. Nasce per valorizzare le vigne più vecchie dell’azienda.

    Ad ogni sorso la Malvasia si va scoprire sempre più in profondità: al primo sorso l’immediatezza, la sua beva fresca, poi man mano che si procede si passa alla profondità. Un vino da bere con lentezza, da assaporare.

    Linea Myò “I Fiori di Leonie” – Friuli Colli Orientali Doc 2020

    Potrei raccontarvi di questo vino elencando i premi che ha vinto ma non renderebbero giustizia all’anima di questo prodotto. Porta il nome della nipotina di Annalisa, Leonie.

    Annalisa ne parla con un misto di dolcezza, fermezza e tantissimo orgoglio.

    Un uvaggio di Pinot Bianco, Sauvignon Blanc e Friulano:

    “È un vino che parla fortemente di Friuli, perché nasce da tre varietà bianche che ben si esprimono nel nostro territorio: il Sauvignon che dona il suo tratto aromatico, il Pinot Bianco con la sua eleganza e il Friulano, passato, presente e futuro della nostra famiglia, come Leonie”.

    Tutte le uve sono raccolte a mano da vigneti con terreno formato da argille e ponca.

    Annalisa Zorzettig con la figlia Veronica

    Cos’è la Ponca

    Ponca è un suolo caratterizzato da una combinazione marna e arenaria. E’ una formazione geologica distintiva legata alla coltivazione della vite esclusivamente nell’area compresa tra Friuli, Slovenia e Istria. LEGGI TUTTO

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    Blend simmetrie enoiche e culturali

    Per il comparto vino, innegabilmente, è un periodo complesso. Contrazione nei consumi, salutismo, a volte esasperato, uso di un linguaggio astruso e iper-tecnico nel raccontare il nettare di bacco, sembrano dipingere un futuro a tinte fosche. Ma è veramente così? Certo, già solo il calo delle vendite darebbe inevitabilmente ragione a questa visione che la stragrande maggioranza degli addetti ai lavori non esita a definire assolutamente realistica, io però sto con Fabio Piccoli di Winemeridian che nel suo articolo  “La solitudine dell’ottimismo”    racconta come  il vino abbia ancora importanti spazi di sviluppo e tante nuove opportunità che si affacciano all’orizzonte, invitando a guardare avanti con fiducia .

    C’è poi un altro aspetto, assolutamente non secondario, che rende unico e immortale il vino: il fatto che è una bevanda culturale. Il vino da secoli è emblema socioculturale ancor prima che un prodotto commerciale. Potremmo scomodare Polifemo che si inebria con il vino di Ulisse o addirittura la transustanziazione, ovvero sostanza del vino che si trasforma nel sangue di Cristo, tanto per fare qualche esempio.

    Eric Culon e Antonio Paolini

    Ed è anche vero che Terroir* di grande espressività, in grado di trasmettere la loro fedele impronta nel vino, consentono di ottenere vini irripetibili, la cui degustazione permette di viaggiare nello spazio (luogo) ma anche nel tempo quando si assaggiano vecchie annate, e questa magia di collegarsi ad un luogo attraversando il tempo, è prerogativa solo del vino. Certo, l’aspetto commerciale e il marketing sono fondamentali. Tuttavia, per avvicinare o riavvicinare il consumatore al vino, compresi i tanto agognati giovani, è altrettanto fondamentale la comunicazione.

    Giuseppe Carrus, Umberto Cosmo, Olga Verchenko

    Questa deve essere liberata da orpelli e ghirigori, più prosaicamente detti supercazzole, e non può prescindere dalla questione culturale. Cosa che i fratelli Cosmo (Bellenda) fanno da tempo in quel di Carpesica, con la rassegna enoculturale Blend simmetrie enoiche, giunta quest’anno alla sua quinta edizione. Bellenda, oltre a fare vini per proprio conto, è anche un piccolo importatore, che sceglie i produttori siano essi italiani, francesi, spagnoli, croati, per simbiosi, solo se c’è condivisione di filosofia e etica del lavoro.  

    Umberto Cosmo, Eric Culon, Antonio Paolini

    Il pensiero che c’è dietro ad ogni edizione di Blend, questa piccola manifestazione-gioiellino che naviga a vele spiegate nel mare magnum dei tanti eventi italici dedicati al vino, non è mai la mera degustazione, per altro di vini eccellenti, ma diventa luogo di incontro con l’obiettivo di scambiarsi idee, esplicitare proposte, approfondire la propria conoscenza, in poche parole fare cultura del vino.

    Il messaggio finale, perlomeno quello che arriva a me al termine di ogni edizione, è l’acquisizione di una nuova consapevolezza da trasmettere a tutti coloro che di vino si occupano a vario titolo, produttori, giornalisti, comunicatori, enotecari, agenti, ovvero che il fine ultimo per tutti debba essere l’inclusione.

    Diana D’Urso e Fosca Tortorelli

    Spesso invece, sono proprio gli addetti ai lavori ad avere nei confronti del consumatore un atteggiamento di esclusione che lo allontana dal mondo del vino invece che attrarlo; snaturando l’essenza del vino stesso che, per sua natura, dovrebbe portare alla convivialità, alla condivisione. Non saprei come altro definire, se non escludente, il ricorso esasperato a tecnicismi, il dogmatismo e lo snobismo di taluni.

    Visto pero che Blend simmetrie enoiche racconta di vino non solo parlato ma anche bevuto, questa quinta edizione  la ricorderò per gli champagne di Eric Culon (Roger Culon) e Jacques Oudart (Etienne Oudart), per i Cava di Pere Ventura per il Saussignac e il Sauvignon Gris di Isabelle e Thierry Daulhiac (Chateau Le Payral),

    i vini de Lo Jura di Patrick e Sophie Ligeron (Domaine des Carlines), il Magma Pouilly Fumé di Domaine de la Croisee, e poi la stupenda interpretazione del Verdejo in tutte le sue sfumature dei fratelli Sanz (Menade) e Marco Levis con i suoi espressivi  vini delle montagne dell’’Alpago.

    “Il mio interlocutore è la persona che assaggia e beve vino, il cittadino consumatore che appare, e spesso vuole sentirsi, l’anello debole della catena e che invece ha un potere eccezionale per cambiare le cose, cominciando a pretendere sempre più vini interessanti e che lasciano un senso di benessere”

    Sandro Sangiorgi, Il Vino capovolto, Porthos Edizioni, 2017.

    *Il terroir è uno spazio geografico delimitato, nel quale una comunità umana ha costruito, nel corso della sua storia, un sapere comune per la produzione, fondato su un sistema di interazioni tra un mezzo fisico e biologico e un insieme di fattori umani. Gli itinerari socio-tecnici messi così in gioco rivelano una originalità, conferiscono una tipicità e conducono a una reputazione per un bene originario di questo spazio geografico.

    INAO (Institut national de l’origine et de la qualité, ex Institut National des Appellations d’Origine), 1999 LEGGI TUTTO

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    Ca’ di Rajo, Aganis, Bellussera, Friulano, Tai e altre storie

    Non dovremmo mai dimenticare che la ricchezza del patrimonio ampelografico italiano è caratterizzato non solo dai sistemi di allevamento della vite più moderni, ma anche da antichi metodi che persistono ancora oggi, grazie alla dedizione di un gruppo di viticoltori appassionati, che definirei eroici per la loro straordinario impegno. Questi antichi sistemi di allevamento hanno attraversato i secoli e rappresentano una testimonianza concreta della capacità dell’umanità di modellare la natura e l’agricoltura in forme più adatte ai nostri ambienti di vita. Uno degli esempi più vividi in tal senso è la Bellussera, metodo di allevamento della vite basato su un sistema a raggi, messo a punto dai fratelli Bellussi alla fine dell’800.

    Allevamento a Bellussera

    A San Polo di Piave, in provincia di Treviso, c’è chi non solo preserva, ma addirittura rilancia con nuovi progetti questa forma di allevamento storica per la viticoltura italiana che è la Bellussera. Si tratta dell’azienda Ca’ di Rajo, guidata dalla famiglia Cecchetto. Nonostante l’impossibilità di meccanizzarne le operazioni di potatura e vendemmia, Simone, Alessio e Fabio Cecchetto, non hanno mai nemmeno lontanamente pensato di estirpare i 15 ettari di viti di oltre 70 anni, anzi, hanno difeso a spada tratta un metodo di allevamento tipico di quest’area di risorgiva che si snoda lungo le terre del fiume Piave.

    Simone, Fabio e Alessio Cecchetto

    La viticoltura in questo vigneto si può condurre esclusivamente a mano: la vendemmia si compie a circa 3 metri da terra, sotto le viti disposte a raggiera e lo stesso vale per la potatura. Le operazioni di raccolta delle uve si svolgono grazie a un rimorchio e a un pianale che consentono di raggiungere l’altezza necessaria. La Bellussera, infatti, prevede un sesto di impianto ampio dove pali in legno di circa 4 metri di altezza sono tra loro collegati da fili di ferro disposti a raggi. Ogni palo sostiene 4 viti, alzate circa m. 2.50 da terra, da ciascuna delle quali si formano dei cordoni permanenti che vengono fatti sviluppare inclinati verso l’alto e in diagonale rispetto all’interfilare, formando una raggiera.

    Nei 15 ettari a Bellussera Ca’ di Rajo coltiva le varietà raboso, glera, chardonnay, pinot bianco, sauvignon, verduzzo, merlot. A queste si aggiungono il manzoni rosa, autoctono ormai raro. Ma è grazie alla famiglia Paladin di San Polo di Piave, loro conferitore e proprietaria del vigneto, che i Cecchetto sono venuti a conoscenza dell’esistenza di una Bellussera coltivata a tai (tocai friulano). Ovviamente, visto l’impegno per la salvaguardia del patrimonio vitivinicolo del territorio del Piave, i Cecchetto hanno adottato il vigneto con l’intento di dare il via a un progetto di vino davvero unico: Iconema, un Tai da Bellussere centenarie.

    i vigneti di Aganis circondati dalle Alpi Giulie

    Muoversi su vecchi percorsi, magari tracciati dai propri antenati, nonostante le difficoltà, è di sicuro confortevole ma alla lunga potrebbe diventare poco stimolante. Simone, Alessio e Fabio Cecchetto, decidono così nel 2012, ma con un progetto che si concretizza nel 2021, di reiventarsi da capo su strade nuove, nasce così Aganis, cantina nata dalle ceneri di una realtà dismessa da tempo nei pressi di Borgo Salariis a Treppo Grande in provincia di Udine, siamo nella punta estrema dei Colli Orientali del Friuli. Le Agane (Lis Aganis) sono antichi spiriti dei fiumi friulani che prendono spesso le sembianze di giovani donne. Il mito le considera protettrici dei pescatori e degli agricoltori.

    vigneti di Aganis nei Colli Orientali del Friuli

    Nella proprietà friulana dei Cecchetto c’è grande attenzione per gli autoctoni, ribolla gialla, malvasia, refosco dal peduncolo rosso e, least but not last, l’autoctono per eccellenza, il friulano (ex tocai). Nasce da qui l’idea di mettere confronto in un viaggio/testing, tra Veneto e Friuli, il friulano e il tai, non solo due territori diversi ma anche due metodi di allevamento della vite diversi: da un lato La Bellussera centenaria per Iconema, il Tai Doc Piave di Ca’ di Rajo e dall’altro il guyot per Incjant Friulano DOC. Visto che poi il progetto Aganis è fortemente incentrato anche sulla produzione di tre spumanti, ottenuti da uve malvasia, ribolla gialla e pinot nero, la degustazione ha allargato i suoi orizzonti al Balsim, uno charmat lungo ottenuto da uve 100% malvasia istriana. Vediamo com’è andata.

    La degustazione

    Balsim Malvasia Millesimato 2021 Brut

    È dalle bottiglie che apri senza grandi aspettative che spesso arrivano le sorprese. Da uve 100% malvasia istriana. Charmat lungo, che sosta in autoclave 10/12 mesi, davvero notevole, anzi mi sbilancio, per tipologia sicuramente uno dei più intriganti assaggiati negli ultimi anni. Balsim, che in friulano significa toccasana per l’appunto, è spumante di grande freschezza con un olfatto di frutta matura/candita di grande impatto. Vino di bella piacevolezza per chi è in cerca di una bollicina diversa.

    Incjant Friulano 2022

    Mi immagino la trepidazione dei Cecchetto nel misurarsi con uno dei vini simbolo del Friuli, diciamo subito che la sfida è vinta, bravi, ottimo tocai, sapido e profondo con una leggera nota fumé che ne amplifica l’eleganza. Aganis sta lavorando a delle riserve, le attendo con grandi aspettative.

    Iconema Tai Doc Piave 2020 (Bottiglia 21 di 1200)

    Tai ottenuto da uve di un vigneto, allevato a Bellussera, che risale ai primi anni del Novecento. Un vigneto di proprietà della famiglia Paladin di San Polo di Piave che la cantina ha “adottato” sostenendone la salvaguardia.  Le uve, vendemmiate a mano, vengono adagiate su graticci e selezionate per un appassimento di circa 25 giorni. Il 30-40% del mosto fermenta in tonneaux. Per l’affinamento successivo una parte sosta in acciaio, una parte in ceramica e una parte in barrique per poi arrivare al blend e uscire in bottiglia, almeno dopo un ulteriore anno, in edizione limitata e numerata. Un Tai davvero unico, ancora una volta capace di confermare tutta la grandezza delle uve tocai friulano che in questo vigneto allevato a Bellussera si esprimono con caratteristiche davvero uniche, soprattutto in quanto a sapidità. Un vino da consigliare a tutti i bianchisti incalliti alla ricerca di novità.  LEGGI TUTTO

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    Il  vino rosa secondo Matilde Poggi

    di Patrizia Vigolo

    Matilde Poggi sperimenta, studia e testa per dar voce al suo territorio. In ogni vino mette la sua filosofia, il suo amore e la sua visione di “fare vino”.

    Il suo studio si focalizza sui vini rosa, vini spesso sottovalutati ma che in realtà portano con sé una personalità esplosiva, soprattutto quelli della cantina Le Fraghe.

    Una degustazione verticale di Chiaretto di Bardolino è una grande gioia e quando la degustazione diventa una doppia verticale, allora le cose si fanno serie, ve lo assicuro.

    Il vino “rosa” spesso visto come vino estivo, molto “instagrammabile” in questi ultimi anni, ma mai considerato come vino alla pari di un bianco o di un rosso. Anche in questo aspetto Matilde Poggi è una pioniera: parlare da sempre di un vino così discusso, sottovalutato ma considerarlo così importante da crearci un’azienda e farne anche una doppia degustazione verticale. Chapeau Matilde Poggi!

    Due vini, Ròdon Chiaretto di Bardolino, il vino più fresco, con vinificazione in acciaio e Traccia di Rosa, con affinamento in cemento.

    Matilde Poggi con Federico Giotto

    Chi è Malde Poggi?

    Nata e cresciuta sentendo parlare di vino, vedendo il padre produrlo e poi lei stessa inizia lo stesso percorso. Il 1994 è l’anno di inizio della sua carriera di vignaiola che oggi segna la sua 40esima vendemmia.

    La cantina si trova nel cuore della DOC Bardolino, a Cavaion Veronese, un territorio abbracciato dal lago di Garda, dal Monte Baldo e dalla Valdadige.

    Il nome dell’azienda, “Le Fraghe”, ha una dubbia origine ma sembra derivi dal vigneto di fronte alla cantina. Proprio in quel vigneto crescono moltissime fragole selvagge e proprio da questo arriva probabilmente il nome.

    Le Fraghe

    Matilde fin da subito si sente libera di esplorare e di valorizzare il proprio territorio. Converte tutta l’azienda a biologico nel 2009, non segue le mode ma si concentra sull’esaltare al massimo le peculiarità dei vitigni della Bardolino DOC.

    Matilde e tutta l’azienda parlano di “vini rosa” e ne parla con il cuore in mano.

    Cosa ci è particolarmente piaciuto? La coerenza dell’azienda: dalla narrazione legata al territorio, alla sostenibilità, fino ad arrivare alla bottiglia (borgognotta leggera da 400 grammi) rigorosamente con tappo a vite. Matilde racconta poco di sé, non c’è nessuna autocelebrazione e tutta l’attenzione è sui suoi vini, essi parlano per lei.

    Ròdon Chiaretto di Bardolino Dop

    Ròdon è prodotto con Corvina (80%) e Rondinella (20%) vinificate separatamente. La macerazione del mosto viene effettuata a bassa temperatura ed ha una durata di circa 6-8 ore, affinché il colore estratto sia il più possibile vivace e giustamente intenso. Il mosto ottenuto viene fatto fermentare in bianco e a fine fermentazione il vino viene posto in serbatoi di acciaio da 50 HL mantenendolo sulle fecce fini fino a primavera, quando viene messo in bottiglia.

    Vigna Montalto

    La scelta dell’acciaio è dettata dalla volontà di far evolvere il vino e lasciarlo fare un percorso evolutivo che più si adatta.

    Per tipologia, la zona dove questo vino viene prodotto è di vini molto delicati, quindi il must di questo vino è quello di rispettare il vino nella sua essenza. Ecco perché si è preferito usare l’acciaio e successivamente la terracotta. La parola d’ordine in questo vino è “rispetto”

    Imbottigliato in bottiglia di vetro bianco.

    Chiaretto Bardolino Ròdon 2023 – Le Fraghe

    Vino estremamente espressivo. Sentori fruttati che spaziano dalla frutta tropicale, alla pesca e all’albicocca. Un tocco di floreale che richiama la ginestra, la rosa canina e il mughetto. In bocca è estremamente fresco e sapido con un’ottima persistenza. E’ un vino che darà grandi soddisfazioni e che, secondo me, saprà evolvere meravigliosamente. Nel suo essere giovane gli si addice la definizione di “croccante e brioso”.

    Vigna Fraghe

    Chiaretto Bardolino Ròdon 2022 – Le Fraghe

    Annata molto calda, con temperature massime sopra la media sin dal mese di giugno. Nonostante tutto i sentori sono ancora freschi ma tendono maggiormente verso le spezie. Un vino che sta iniziando adesso la sua fase di terziarizzazione. Inizialmente, appena messo nel bicchiere, si è presentato un po’ chiuso, come ci aspetta in questa fase evolutiva. Grande freschezza e profondità.

    Chiaretto Bardolino Ròdon 2020 – Le Fraghe

    Questo vino è stato lo “spartiacque” della batteria. Qui inizia l’evoluzione del Chiaretto. Vino caratterizzato dalla freschezza e dalla salinità, tutto in equilibrio, un elegantissimo equilibrio. A differenza di altri vini in evoluzione, qui la nota di terziarizzazione non si sostituisce agli aromi della gioventù ma si aggiunge ad essi, donando maggior complessità e profondità.

    Chiaretto Bardolino Ròdon 2016 – Le Fraghe

    Si è abituati a riconoscere nel Chiaretto Bardolino il colore rosa. In questo calice invece il rosa tende all’aranciato, brillante e affascinante. Note di erbe aromatiche ma una freschezza ancora da giovincello. Un vino che sa stupire. Meraviglioso.

    Chiaretto Bardolino Ròdon 2016 – Le Fraghe

    Sapete quei vini dei quali si dice “tienilo in cantina che sarà un grande vino?”. Questo è il vino che merita di stare nelle migliori cantine. Fiori di campo secchi, buccia di arancia amara, albicocca secca. Al primo impatto un po’ timido, poi si è esteso al massimo. Questo è il potenziale del Chiaretto Bardolino: 9 anni di evoluzione e dimostrare ancora questo carattere fresco, brioso e profondo.

    Traccia di Rosa

    Il vino si ottiene con uve Corvina (90%) e Rondinella (10%), selezionate e raccolte a mano. All’arrivo in cantina l’uva viene raffreddata a 6°/7° e il giorno successivo diraspata e messa in pressa per circa 20 ore.

    Il mosto rosa fermenta in serbatoio di cemento. La scelta di Matilde a questo materiale è condivisa e pienamente sostenuta da Federico Giotto, della Giotto Consulting. A fermentazione ultimata il vino rimane in serbatoi di cemento sulle proprie fecce fini per dodici mesi e non viene filtrato.

    Imbottigliato in bottiglia di vetro verde scuro.

    Chiaretto Bardolino Traccia di Rosa 2022 – Le Fraghe

    Non ancora in commercio, quindi dovrete credermi sulla parola. Ancora in affinamento e uscirà sul mercato la prossima primavera.

    La rosa è il sentore che descrive questo vino. Una bellissima rosa che si mescola a sentori fruttati di pesca che ritornano al palato con una coerenza pazzesca. Un vino da tenere d’occhio, prenderne qualche bottiglia e vederne l’evoluzione. Ci farà sognare..

    Chiaretto Bardolino Traccia di Rosa 2021 – Le Fraghe

    Il fratello maggiore del 2022. Un’esplosione di eleganza e una complessità infinita: inutile parlare dei vari sentori quando ci si trova di fronte ad un vino così. La sua evoluzione è piena, armoniosa la sua freschezza che riesce a sorreggere una complessità e una profondità al palato da far invidia.

    E’ ancora un giovanotto, potrà evolversi ancora bene. Sarà sotto osservazione.

    Insignita con i “Tre Bicchieri della Guida Vini d’Italia del Gambero Rosso” (prima volta che un Chiaretto di Bardolino si aggiudica questo premio).

    Chiaretto Bardolino Traccia di Rosa 2020 – Le Fraghe

    Nel calice una grande evoluzione caratterizzata da sentori di arancia amara, albicocca candita con un tocco di vegetale che richiama la macchia mediterranea. Ottima beva.

    Chiaretto Bardolino Traccia di Rosa 2019 – Le Fraghe

    Proprio nel 2019 Matilde Poggi iniziò il suo progetto di “Traccia di rosa”.

    Dopo pochi mesi dalla vendemmia sarebbe scoppiato il Covid e in quell’anno, come dice Matilde Poggi, “si imbottigliava con autocertificazione, senza gli enti di verifica. E’ venuto fuori così, e a noi piace, piace molto.” Il suo colore ricorda più un vino bianco che un vino rosa ma il carattere c’è tutto. Un vino minerale, di grande personalità, con una grande longevità.

    Matilde Poggi

    Riflessioni finali

    Al termine di questa degustazione mi sono domandata il motivo di questa mancanza di dignità dei vini rosa. Non mi so dare una risposta univoca, credo che molto sia da ricondurre alla mancanza di conoscenza di questo prodotto “rosa” che spesso viene identificato come un prodotto “mordi e fuggi”, facile, leggero e immediato.

    Questi vini hanno poco o nulla da spartire con questo immaginario: sono vini profondi, di grande carattere e parlano di aria, cielo e brezza del Garda Veronese. Un connubio che si sente in ogni vino, con sfumature diverse ma allo stesso tempo tutti legati da un fil rouge: la leggerezza, la briosità e la vivacità della profondità.

    “I vini rosa nel mondo stanno calando” dice Federico Giotto “rimangono i vini rosa di territorio”. E Matilde Poggi sa far parlare di territorio. LEGGI TUTTO

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    Tesori caseari del Friuli Venezia Giulia: il Montasio DOP

    di Patrizia Vigolo

    Se sei un appassionato di viaggi enogastronomici, il Friuli Venezia Giulia e il suo formaggio Montasio DOP è assolutamente una destinazione da non perdere. Questo tesoro caseario nasce nelle verdi vallate del Friuli Venezia Giulia e del Veneto, due regioni che, se ancora non hai visitato, meritano sicuramente un posto nella tua lista dei desideri.

    Storia e Origini

    Il Montasio deve il suo nome alla catena montuosa delle Alpi Giulie, un’area che ti incanterà con i suoi panorami mozzafiato. La storia di questo formaggio affonda le sue radici nel XIII secolo, quando i monaci del monastero di Moggio Udinese iniziarono a produrlo seguendo antiche ricette. Pensaci: ogni volta che assaggi un pezzetto di Montasio, stai gustando secoli di tradizione!

    Nel 1996, il Montasio ha ottenuto il prestigioso riconoscimento della Denominazione di Origine Protetta (DOP), a testimonianza della sua autenticità e qualità. Questo significa che ogni forma di Montasio che trovi sul mercato è stata prodotta secondo rigidi standard, garantendo un sapore unico e inconfondibile.

    Area di Produzione

    Il Montasio DOP viene prodotto in specifiche zone montane e pedemontane del Friuli Venezia Giulia e del Veneto. Immagina di passeggiare tra le colline friulane, magari dopo aver visitato la splendida città di Udine. Con il suo centro storico affascinante, i caffè all’aperto e le piazze pittoresche, Udine è il punto di partenza ideale per esplorare le regioni circostanti e immergersi nella cultura locale.

    Caratteristiche del Montasio DOP

    Parliamo un po’ del Montasio stesso. Questo formaggio si presenta con una crosta liscia e sottile, di colore paglierino. La pasta è compatta e varia dal bianco al giallo paglierino a seconda della stagionatura. E a proposito di stagionatura, il Montasio offre una gamma di sapori per ogni palato:

    Fresco: delicato e morbido, perfetto per chi ama i sapori più leggeri. La stagionatura va da 60 a 120 giorni.

    Mezzano: più corposo e saporito, ideale per chi cerca un gusto equilibrato. La stagionatura va da 5 a 10 mesi

    Stagionato: deciso e complesso, con una leggera nota piccante che fa venire l’acquolina in bocca. La stagionatura va oltre i 10 mesi.

    Stravecchio: un’esperienza intensa e ricca, perfetta per i veri intenditori. La stagionatura supera i 18 mesi.

    Produzione e Lavorazione

    Per essere definito Montasio Dop, il formaggio deve rispettare queste caratteristiche:

    prodotto solo nelle province del Friuli Venezia Giulia e nelle province confinanti del Veneto Orientale

    latte viene lavorato crudo o termizzato, mai pastorizzato.

    Il Montasio viene prodotto attraverso un processo che preserva la flora microbica originale. Questa tecnologia delicata favorisce una lenta maturazione del formaggio, contribuendo a definirne le caratteristiche nutrizionali.

    La caratteristica scritta “Montasio” impressa sulle forme

    La produzione del Montasio è un’arte che si tramanda di generazione in generazione. Tutto inizia con il latte delle mucche allevate nelle regioni montane, che conferisce al formaggio una qualità unica. Il latte viene poi lavorato seguendo metodi tradizionali, con grande attenzione alla cura e alla precisione. La stagionatura avviene in ambienti controllati, dove le forme di formaggio riposano e maturano, sviluppando quei sapori che parlano di territorio e qualità.

    Uso in Cucina

    Il Montasio è un formaggio estremamente versatile in cucina. Puoi usarlo per preparare piatti tradizionali come il frico, una specialità friulana a base di patate e Montasio fuso, o la polenta con Montasio, un comfort food che scalda il cuore. E se ami il vino, non perdere l’occasione di abbinarlo ai vini bianchi del Friuli Venezia Giulia.

    Vuoi la ricetta del Frico? Eccola qui:

    Ricetta frico

    Rosolare in una padella la pancetta tagliataa dadini con la cipolla affettata sottile. Aggiungere le patate pelate e tagliate a pezzi, un pizzico di sale e un po’ di pepe nero macinato. Quando le patate sono tenere, aggiungere il formaggio Montasio tagliato o grattugiato grosso e mescolare.

    Schiacciare con una forchetta.Rosolare il frico da entrambi i lati,fino alla formazione di una crosticina dorata

    Il Montasio non è solo un formaggio: è un simbolo della cultura e dell’economia locale. Ogni anno, sagre ed eventi celebrano questo prodotto d’eccellenza, come la famosa Sagra del Montasio a Enemonzo, dove puoi assaggiare il formaggio in tutte le sue varianti e vivere un’autentica festa popolare.

    Il Consorzio

    Una curiosità: vi siete mai domandati quanti litri di latte servono per produrre una forma di formaggio? Nel caso del Montasio, una forma che pesa circa 6/7 kg, necessita di approssimativamente 60 litri di latte. LEGGI TUTTO

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    Garda Doc: una doc con il vento in poppa che parla di turismo e territorio

    di Patrizia Vigolo

    Le acque del Garda Doc sono tornate limpide dopo un 2023 che ha vissuto un calo importante nei volumi.

    Il “Garda Wine Stories”, evento tenutosi il 6 giugno 2024 presso la splendida Dogana Veneta di Lazise è stata l’occasione per discutere il dinamismo, la qualità e il legame con il territorio che caratterizzano questa denominazione.

    Speaker di grande importanza si sono rivolti al pubblico fatto di giornalisti italiani e internazionali esponendo studi e riflessioni sullo sviluppo della Doc Garda che sta vivendo una ripresa dopo un calo dei volumi del 8% accusato nel 2023.

    Garda DOC, la forza di un sistema

    Durante il convegno, uno dei momenti più rilevanti è stato l’intervento di Eugenio Pomarici, esperto del Centro per la Ricerca in Viticoltura ed Enologia dell’Università di Padova. Il suo studio ha offerto una panoramica sul dinamismo e la crescita della denominazione Garda DOC, mettendo in luce l’evoluzione significativa del settore vitivinicolo gardesano.

    Negli ultimi anni, l’area coltivata e il numero di viticoltori del Garda DOC hanno registrato una crescita straordinaria. Dal 2017, l’area vitata è aumentata del 46%, e la produzione di uva ha superato i 410.000 quintali nel 2023. Questo incremento testimonia la capacità del territorio di rispondere alla domanda crescente sia sul mercato nazionale che internazionale.

    Pomarici ha poi sottolineato la capacità del Garda DOC di innovare e diversificare la propria offerta, adattandosi alle esigenze del consumatore moderno. La produzione di bottiglie è passata da 6,1 milioni nel 2017 a 18,6 milioni nel 2023, evidenziando una crescita impressionante e una risposta positiva del mercato ai vini della denominazione.

    Un aspetto cruciale emerso dallo studio è la forza del brand “Garda”. Questo nome evoca immediatamente le bellezze e le caratteristiche uniche del lago di Garda, conferendo ai vini un’immagine positiva e attrattiva, particolarmente apprezzata in Europa centrale. Tuttavia, Pomarici ha anche evidenziato la necessità di una maggiore specificità distintiva per la denominazione, suggerendo un focus su varietà come Chardonnay e Pinot Grigio per posizionarsi più in alto nel mercato.

    Garda Doc e Google

    Nel secondo intervento della giornata, Angelo Zago, Dipartimento di Economia dell’Università di Verona, ha presentato un’analisi approfondita sull’attività di ricerca online relativa ai vini della denominazione Garda DOC.

    Il progetto di ricerca, finanziato dal consorzio territoriale Garda Doc, esamina il comportamento degli utenti europei e di alcune aree italiane su Google, concentrando l’attenzione sui termini associati ai vini veronesi, in particolare quelli della denominazione Garda DOC. I risultati indicano che il termine “Garda” risulta essere il più ricercato tra le principali denominazioni veronesi, con un significativo interesse proveniente principalmente da Germania, Austria, Olanda, Trentino Alto-Adige e Lombardia.

    L’analisi rileva inoltre un marcato interesse per i vini Garda DOC nelle categorie specifiche delle bevande alcoliche, con Austria, Germania e Inghilterra sempre evidenziate come i Paesi con maggiore interesse. Questo interesse è altrettanto forte nelle regioni italiane già menzionate, dove i vini Garda DOC superano altre denominazioni come Valpolicella e Lugana. Il progetto continuerà ad esplorare il ruolo del turismo nel potenziare ulteriormente l’interesse per questi vini e valutare lo sviluppo di modelli predittivi che possano ottimizzare le attività promozionali nelle aree di maggiore interesse.

    Strategie Future e Visione del Consorzio Garda Doc

    Nonostante il successo e il prestigio raggiunto, i vini Garda DOC si trovano di fronte a diverse sfide nel contesto del mercato globale. La crescente concorrenza e l’evoluzione delle preferenze dei consumatori richiedono un costante adattamento e innovazione da parte del Consorzio e soprattutto dei suoi produttori stessi.

    Una delle principali sfide è quella di mantenere e rafforzare l’identità distintiva dei vini Garda DOC. Sebbene il marchio “Garda” evochi immediatamente bellezza e qualità, è fondamentale consolidare questa percezione attraverso strategie di marketing mirate e una comunicazione efficace.

    Un’altra sfida importante è rappresentata dalla sostenibilità ambientale e sociale. Il Consorzio Garda DOC si è posto l’obiettivo di ridurre l’impatto ambientale della produzione vitivinicola, adottando pratiche agricole sostenibili e riducendo l’uso di pesticidi e fertilizzanti chimici. Inoltre, si impegna a promuovere la responsabilità sociale d’impresa, sostenendo progetti locali e iniziative volte a migliorare la qualità della vita nelle comunità circostanti.

    La digitalizzazione e l’innovazione tecnologica rappresentano un’altra area di sviluppo cruciale. Il Consorzio intende sfruttare appieno le opportunità offerte dalla tecnologia per migliorare la tracciabilità del prodotto, ottimizzare i processi di produzione e distribuzione, e rafforzare l’engagement dei consumatori attraverso piattaforme digitali e social media.

    Infine, il Consorzio mira a rafforzare la coesione tra i produttori locali, promuovendo una maggiore collaborazione e condivisione delle best practices. Questo spirito di comunità è visto come un elemento chiave per affrontare le sfide future e consolidare la posizione dei vini Garda DOC nel panorama enologico globale.

    “I vini della DOC Garda nascono in un’area geografica senza uguali, un luogo unico avvolto dalle Alpi e illuminato da una luce travolgente che si specchia nell’acqua del lago. Qui, le colline, disseminate da vigne, raccontano un paesaggio ricco di “iconemi” la cui storia si intreccia imprescindibilmente a quella della viticoltura”. Paolo Fiorini, Presidente del Consorzio Garda DOC.

    Storia della denominazione Garda Doc

    La Denominazione Garda DOC è stata fondata nel 1996 e ufficialmente riconosciuta nel 2015. I suoi 250 produttori, impegnati in ogni fase della produzione “dall’uva alla bottiglia”, incarnano l’autenticità e l’eccellenza enologica del territorio.

    Le speciali caratteristiche dell’area del Garda si traducono in una straordinaria varietà e ricchezza dal punto di vista enologico. Esaminando da vicino le zone di coltivazione della vite nel territorio gardesano, emerge un’enografia diversificata, suddivisibile in quattro grandi aree geografiche: la sponda est, la sponda sud, la sponda ovest e l’ala orientale del territorio.

    Il terroir del Garda DOC è definito da aspetti unici di questa area geografica, influenzati sia dal clima favorevole dovuto alla vicinanza del lago, sia dai numerosi eventi geologici che nel corso dei millenni hanno modellato il territorio. La viticoltura del Garda si sviluppa su suoli di agglomerati morenici, formatisi dai detriti di rocce, sabbia e argilla depositati nel tempo dal ghiacciaio che ha originato il lago di Garda. Questi elementi, combinati con il tempo, l’acqua e la vegetazione, hanno trasformato l’area nelle odierne colline che caratterizzano il paesaggio gardesano.

    I terreni del Garda si distinguono per una bassa differenziazione del profilo pedologico; sono generalmente pietrosi, ricchi di scheletro e fortemente calcarei, ma con bassi livelli di calcare attivo. Nella maggior parte dei casi, questi suoli sono moderatamente profondi e presentano una scarsa capacità di trattenere l’acqua a causa della tessitura grossolana e della debole strutturazione.

    È in questo terroir dalle caratteristiche così peculiari, plasmato dal tempo e favorito da un clima ideale, che nascono i vini della DOC Garda, noti per la loro morbidezza, freschezza e mineralità. Queste caratteristiche distintive rendono i vini Garda DOC unici e rappresentativi del loro territorio d’origine, offrendo ai consumatori un’esperienza enologica che riflette la ricchezza e la diversità del paesaggio gardesano.

    Numeri e notizie del Garda Doc:

    1986: anno in cui viene utilizzato per la prima volta il termine geografico “Garda” per etichettare i vini prodotti in questo territorio

    1996: riconoscimento della DOC e la nascita del Consorzio Volontario

    Il Consorzio Garda Doc rappresenta oggi 250 produttori

    area gardesana, tra le province di Verona, Mantova e Brescia

    10 zone storiche di produzione dell’area gardesana: Valtenesi, San Martino della Battaglia, Lugana, Colli Mantovani, Custoza, Bardolino, Valpolicella, Valdadige, Durello, Soave

    31.000 ettari totali idonei

    371.000 quintali di uva rivendicata nel 2022

    18.753.867 di bottiglie nel 2023

    Il territorio

    Territorio caratterizzato da colline moreniche dalla tipica forma a semicerchio, formatisi dai detriti di moto, rocce, sabbia e argilla depositati nel corso dei millenni dallo stesso ghiacciaio che avrebbe poi originato il lago di Garda

    In genere i terreni sono pietrosi, ricchi di scheletro, fortemente calcarei, ma con bassi livelli di calcare attivo. Nella maggior parte dei casi sono moderatamente profondi e presentano una scarsa trattenuta dell’acqua a causa della tessitura grossolana e della debole strutturazione.

    clima temperato subcontinentale

    vegetazione ricca di olivi, capperi, limoni, cedri e agavi

    quattro grandi aree geografiche: la sponda est, la sponda sud, la sponda ovest e infine l’ala orientale del territorio.

    I vini:

    caratterizzati da morbidezza, freschezza e mineralità

    vitigni principali: in totale sono otto, quattro a bacca bianca “Garganega”, “Trebbiano” (“Trebbiano di Soave” e/o “Trebbiano di Lugana”), “Chardonnay”, “Pinot grigio” e quattro a bacca nera “Corvina”, “Marzemino”, “Merlot”, “Cabernet Sauvignon”

    Tipologie di vino

    Vini fermi varietaliPinot bianco, Pinot grigio, Chardonnay, Riesling b., Sauvignon, Cortese, Cabernet Sauvignon, Merlot, Corvina, Pinot nero, Marzemino.

    Vini fermi in uvaggio e/o taglio a freddoBianco (garganega, chardonnay, pinot grigio e trebbiano) Rosso (merlot, cabernet, corvina, marzemino, rebo)

    Vini Spumanti “metodo italiano” principalmente varietali

    Bianco (garganega, trebbiano di lugana, pinot grigio)

    Vini Spumanti “metodo classico” principalmente in cuvée

    Bianco (chardonnay, pinot nero, corvina)Rosè (marzemino, corvina, pinot nero)

    “Un clima temperato che sembra ricordare quello mediterraneo, ma che gode, inoltre, della brezza del lago di Garda, di una luminosità senza pari e di un’esposizione al sole che garantisce una maturazione delle uve eccezionale”. Paolo Fiorini, Presidente del Consorzio Garda DOC. LEGGI TUTTO