No, non è il nome di un nuovo amaro, ma la sensazione che lascia la lettura di un recente studio. Il mercato britannico è sempre stato uno dei più esigenti nei confronti del vino, italiano e non, una piazza difficile da accontentare, ma anche una delle più importanti. Ora, causa Brexit, la strada per approcciarlo, già in salita, si rivela ancora più ostica e irta di ostacoli. Lo rivela l’analisi del centro studi Divulga sulla base dei dati ISTAT: nel primo mese del 2021 l’export vinicolo italiano ha già registrato un crollo del 36% . Brutta notizia per il mondo del vino italiano, per il quale il Regno Unito genera un volume d’affari di circa 3,7 miliardi di euro, classificandosi terzo buyer mondiale dopo Stati Uniti e Germania. Le cause? Il groviglio normativo con cui devono fare i conti importatori e produttori.
Riceviamo e pubblichiamo:
“Dalla fine del periodo di transizione, il regime di circolazione dei prodotti dall’Europa al Regno Unito e viceversa è divenuto rispettivamente esportazione e importazione, subendo il conseguente rallentamento dei relativi sistemi logistici. In questo contesto, diviene importante per le aziende considerare eventuali modifiche dei propri accordi commerciali in ragione dell’impatto economico causato da dilatamenti temporali e spese aggiuntive.
Gli esportatori italiani interessati al commercio extra-UE, tra i molteplici oneri introdotti, devono effettuare l’identificazione fiscale presso l’Agenzia dell’Entrate britannica e la registrazione IVA, oltre che provvedere alla richiesta di un codice alfanumerico EORI. In particolare anche la sola mancanza del codice EORI potrebbe comportare importanti perdite economiche all’imprenditore negligente, in quanto vi è il rischio di un blocco della merce, una multa e/o il sequestro dell’intero carico”.
Come bisognerà comportarsi a proposito di dazi e accise, cosa succederà al biologico, come cambierò l’etichettatura e che futuro avranno in UK le nostre indicazioni geografiche è spiegato nel documento che si può scaricare qui.