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    Castel Freres – risultati e analisi di bilancio 2023

    Si dice su Wikipedia in francese che il Gruppo Castel, attivo nel vino, birra, acqua e altre bevande alcoliche raggiunga 2.6 miliardi di euro di fatturato nel 2011. Purtroppo questa informazione è linkata a un documento scomparso. Oggi invece guardiamo (probabilmente) a una sottorappresentazione di questo gruppo, a Castel Freres, che è interamente focalizzata sul vino. Dal sito istituzionale si legge che commercializza (2022) 400 milioni di bottiglie (loro dicono con 720 milioni di fatturato, io leggo 663 nel bilancio, ma si tratta del bilancio della capogruppo e non del consolidato). Oggi cominciamo a seguirne il bilancio per capire come si muove un’azienda francese in qualche modo simile (anche se più grande) ad alcune realtà italiane che si sono costituite negli ultimi anni come IWB piuttosto che Argea.
    Guardando questi numeri nel tempo, soprattutto quelli del 2023, si trae una sensazione di “lenta decrescita” dove si mantengono dei margini industriali sani, intorno al 16-17% ma a causa di questo leggero costante calo non si riesce a tenere testa ai costi generali e quelli del personale, che invece mantengono un trend di leggera crescita. Alla fine, pur generando cassa, Castel Freres è passata da fare una ventina di milioni all’anno di utili a 17 milioni (che sarebbero 15 senza i proventi straordinari) nel 2022 e 3 nel 2023 (7 se normalizzati).
    Passiamo a una breve analisi dei numeri.

    Le vendite di 654 milioni sono calate dell’1% circa. Se aggiungessimo il fatturato di LIstel, posseduta e non consolidata arriveremmo molto vicino (713) a quei 720 milioni che dicevamo sopra. Ci sono poi altre controllate non consolidate che fatturano altri 130 milioni di euro circa ma sembrano tutte filiali distributive il cui fatturato verrebbe eliso in fase di consolidamento.
    Come dicevamo il margine industriale viaggia intorno al 16% ed è stato su quel livello abbastanza costantemente nel corso del tempo (salvo l’anomalia del Covid 2020-21 in cui è salito al 17%). Da ciò deriva un margine industriale di circa 105 milioni, cui vanno tolti 63 milioni di euro di costo del personale (questo costantemente in crescita) e 29 milioni di altri costi (idem), per arrivare a un utile operativo di 13 milioni nel 2023, in forte calo dai 19 del 2022 proprio per via della crescita dei costi sotto il margine industriale.
    L’utile netto è stato di soli 3 milioni (ma sarebbero 7 senza le componenti straordinarie). Se aggiungessimo i profitti delle controllate (questi da non elidere!) ci sarebbero altri 4-5 milioni di euro.
    Dal punto di vista finanziario, la struttura del capitale è molto solida, con un debito calato nel 2023 a 33 milioni di euro che corrisponde a 1.2 volte l’EBITDA (questo livello più o meno simile agli anni passati) e un patrimonio netto di 370 milioni di euro. Se poi consideriamo che ci sono 104 milioni di valore di libro di partecipazioni non consolidate, la struttura finanziaria appare particolarmente solida.

    Se siete arrivati fin qui……ho un piccolo favore da chiedervi. Sempre più persone leggono “I Numeri del Vino”, che pubblica da oltre dieci anni tre analisi ogni settimana sul mondo del vino senza limitazioni o abbonamenti. La pubblicità e le sponsorizzazioni servono per aiutare una missione laica in Perù. Per fare in modo che questo lavoro continui e resti integralmente accessibile, ti chiedo un piccolo aiuto, semplicemente prestando da dovuta attenzione con una visita alle inserzioni e alle sponsorizzazioni presenti nella testata e nella sezione laterale del blog. Grazie. Marco LEGGI TUTTO

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    Louis Jadot – risultati 2023

    Allarghiamo oggi il fronte delle aziende che seguiamo sul blog con Louis Jadot, lo storico produttore di vino fondato nel 1859 in Borgogna di cui abbiamo scaricato i bilanci dalla camera di commercio francese (data.inpi.fr per chi volesse cimentarsi nell’impresa, in certi momenti eroica).
    Etichetta famosa con la testa di bacco, fatturato come vedremo a circa 100 milioni di euro e qualche acquisizione in passato, una di queste in Oregon, Jadot è nella zona vinicola francese più di moda, dove i prezzi delle bottiglie sono esplosi negli ultimi anni, facendo crescere a dismisura anche i profitti delle imprese locali (potete leggere qui di Armand Rousseau). Dobbiamo dire che per quanto i numeri siano di tutta eccellenza (con un salto deciso delle vendite dai 70-80 milioni pre-Covid ai 100 milioni d più odierni) non si vede un vero salto in alto degli utili, fatta eccezione per l’anno 2021. Probabilmente la ragione è che Jadot è più un imbottigliatore che un vero produttore e come spesso abbiamo potuto notare in questi anni, nel mondo del vino l’ ”ultimo di mano”, ossia quello che poi alla fine beneficia del forte incremento dei prezzi delle bottiglie molte volte è chi possiede la terra.
    Ad ogni modo, se vi interessa l’analisi prosegue con grafici e tabella riassuntiva dei dati.

    Jadot ha generato vendite per 105 milioni di euro nel 2023, in crescita del 3%, di cui 18 milioni in Francia (+10%) e 86 milioni all’export (+2%). Negli ultimi anni la quota delle esportazioni è stata abbastanza stabile tra l’82% e l’85% del fatturato. Nell’arco degli ultimi 5 anni le vendite sono cresciute del 6% annuo.
    L’evoluzione dei margini è stata meno positiva, essenzialmente a causa di una certa pressione sul margine “di produzione”, come potete vedere in tabella. Dopo gli acquisti esterni, il margine degli ultimi due anni si è ridotto al 26% circa, contro un livello medio del 30% degli anni prima del Covid (e con l’eccezione del 2021). Ciò ha determinato una certa pressione sui margini di profitto, che sono poi rimasti quasi stabili grazie al controllo degli altri costi (spese generali e costo del personale).
    L’EBITDA è di circa 12 milioni ed è stabile sul 2022, ma soprattutto non molto diverso da quello pre Covid, e lo stesso vale per l’utile operativo di 10 milioni circa. Dalla poca rilevanza degli ammortamenti potete capire che l’azienda è poco integrata verticalmente.
    Dal punto di vista finanziario, Jadot ha un magazzino molto rilevante (tutto di materie prime e quasi niente di prodotti finiti), pari quasi al fatturato (99 milioni nel 2023 contro vendite di 105), ma ha una struttura patrimoniale molto solida e non ha di fatto debiti, o meglio ha 5-6 milioni di debiti ma dall’altra parte ci sono oltre 20 milioni di cassa, il che determina una posizione finanziaria netta positiva di circa 16 milioni di euro.
    Quindi in conclusione: azienda molto solida con buoni margini che però non sembra essere riuscita a capitalizzare il momento d’oro dei vini locali.

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    Vino.com – risultati 2023

    Parola d’ordine, mettere i conti in ordine. Nel 2023 Vino.com si è messa a dieta e ha cambiato in qualche modo i suoi obiettivi da “diventare profittevoli vendendo sempre di più” a “diventare profittevoli guadagnando di più e vendendo di meno” (soprattutto prodotti di fascia bassa, aggiungerei), riuscendo così a operare con costi di struttura più contenuti. Tra le aziende di ecommerce che guardiamo è una di quelle che nel 2023 ha avuto un calo delle vendite più marcato (-22%), a dire il vero dopo un exploit clamoroso durante il Covid, e un margine lordo sulle vendite più elevato di tutti, quasi “fuori mercato” al 35% contro il 30% di Tannico e il 26% di Callmewine e Xtrawine. Questo ha  consentito all’azienda di tenere un livello assoluto di margine lordo stabile in euro e di ridurre le perdite in modo importante grazie al taglio dei costi. La struttura finanziaria resta molto solida, anche grazie a un ulteriore contributo di 4 milioni di euro venuto dai soci e al fatto che nel 2024 i soci hanno deciso di trasformare in capitale il prestito soci di oltre 5 milioni di euro di cui la società godeva.
    Passiamo a un commento dei dati con la tabella riassuntiva:

    Le vendite sono calate del 22% a 27 milioni di euro con una riduzione del 25% in Italia a 19 milioni e un calo del 15% a 8 milioni all’estero. La relazione sulla gestione sottolinea che la piattaforma opera ora in 13 paesi in totale e che la strategia di focalizzazione ha determinato un calo dei volumi di vendita del 22% (curiosamente simile al calo del fatturato, il che significherebbe nessun miglioramento del price-mix).
    I margini come vi dicevo migliorano a tutti i livelli. Il margine sul venduto passa dal 27% al 35% riassorbendo completamente il calo del fatturato per un margine lordo di 9.5 milioni contro 9.3 del 2022, i costi per servizi sono stati tagliati di oltre il 30%, con un risparmio in valore assoluto di 3.5 milioni di euro, i costi del personale sono stabili, gli ammortamenti calano del 20%. Si arriva quindi a una perdita operativa di 1.6 milioni, contro 5 del 2022 e a una perdita netta di 1.9 milioni contro i 6.6 milioni del 2022.
    A livello finanziario, la posizione finanziaria netta sale a 6.1 milioni oppure 0.7 milioni se considerate i prestiti soci come debito (non si dovrebbe, visto che sono stati poi convertiti in capitale a inizio 2024 e non sono quindi debito). Migliora dai 4.6 milioni del 2022 ma bisogna considerare che sono stati iniettati altri 4 milioni di euro dai soci (23 milioni in totale dal 2016 a questa parte). Mentre il magazzino scende, Vino.com ha drasticamente accelerato i pagamenti ai fornitori, presumibilmente per ottenere prezzi di acquisto migliori…

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    Il commercio mondiale di vini sfusi – aggiornamento 2023

    Eccoci all’appuntamento annuale con il post sul commercio mondiale dei vini sfusi. Cominciamo subito con le conclusioni. Se il mercato del vino è statico o in leggero calo, il mondo dei vini sfusi lo è certamente di più, sia nei volumi, che stimiamo essere intorno ai 32 milioni di ettolitri (oltre 40 preCovid), che nel valore, sceso dai 3.2-3.3 miliardi di euro degli anni immediatamente precedenti al Covid agli attuali 2.4 circa. I protagonisti di questo mercato sono gli spagnoli, con quote di mercato crescenti, al di sopra del 20% negli ultimi due anni, seguiti da Italia, Australia e Nuova Zelanda con il 12% circa ciascuno. Questi 4 paesi fanno dunque oltre la metà del totale e per arrivare ai due terzi basta aggiungere il 10% del Cile.
    Passiamo a un commento più in dettaglio con tabelle e grafici, tratti dai dati di UN Comtrade.

    In base ai dati di 93 nazioni, le esportazioni mondiali di vino sfuso sono state circa 2.4 miliardi di euro, in calo del 10% a valore rispetto al 2022 e del 7% annuo dal 2018 a questa parte.
    In volume i calcoli sono più difficili per la mancanza dei dati corretti di alcune nazioni importanti per questo prodotto, come il Cile. Se facciamo una somma dei dati presenti arriviamo a 30 milioni di ettolitri. Con un dato più sensato del Cile, siamo intorno ai 32 milioni. Ugualmente il 2022 mancava dei dati di Francia e Sud Africa, insieme intorno 3.5 milioni di ettolitri, oltre a qualcosa del Portogallo. Se quindi prendiamo un dato 2022 “completo”, saremmo arrivati a circa 34 milioni di ettolitri contro 37 del 2021 e circa 41-42 del 2019. Quindi il 2023 dovrebbe essere stato in calo del 6-7% circa, 32 contro 34.
    Dominatore assoluto è la Spagna, con 514 milioni di euro nel 2023, ossia il 21.5% del totale e 11.4 milioni di ettolitri, quindi circa il 35-36% del volume totale. Anche gli spagnoli sono in calo, del 4-5% annuo in valore e del 3% in volume.
    Ci sono poi Italiani e australiani con circa 4 milioni di ettolitri, dato stabile negli anni per l’Italia, in calo per l’Australia. I valori sono simili, 300 milioni per l’Italia (stabile sul 2022, -6% annuo sul 2018) e 280 per l’Australia (-8% sul 2022 e -6% annuo).
    Insieme c’è la Nuova Zelanda che è un po’ l’esportatore di vini sfusi di lusso, nel senso che i 296 milioni di euro di export (-13% sul 2022, ma in crescita rispetto al 2018) si confrontano con un volume di soltanto 1.1 milioni di ettolitri, il che indica un prezzo medio di esportazione quadruplo rispetto a quello italiano, che corrisponde a precise strategie di imbottigliamento nei luoghi di consumo, consentiti dai loro disciplinari.

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    Indebitamento e leva delle principali aziende vinicole – dati Mediobanca 2023

    Dati in formato testo disponibili nella sezione Solonumeri.

    Ultima puntata del lavoro sul rapporto Mediobanca. Parliamo oggi di debiti e di leva finanziaria delle principali aziende vinicole italiane. La prima cosa da dire è che i debiti di queste 24 aziende analizzate sono cresciuti del 23% nel 2023, diciamo pure il ritmo più sostenuto “di sempre”. La ragione è semplice: siamo di fronte a un processo di consolidamento del settore dove si stanno creando alcuni poli (IWB, Argea per esempio) in alcuni casi guidati dal private equity, e nel 2023 in particolare, Antinori si è portata a casa una grande azienda vinicola americana (Stag’s Leap Wine Cellar), facendo crescere in modo importante il suo debito (e a conti fatti, il 90% dell’incremento del debito del campione è proprio da associare ad Antinori). Questo non significa un peggioramento degli indici di bilancio, in quanto il maggiore debito è stato parzialmente compensato dal maggior patrimonio e dai maggiori utili operativi. Certamente nel 2023 questo maggiore debito si è combinato a tassi di interesse più elevati e ha quindi determinato un impatto negativo sugli utili che abbiamo potuto apprezzare nei dati commentati nelle scorse settimane. Bene, nel ricordarvi che le tabelle incluse nel post si riferiscono esclusivamente alle aziende con oltre 100 milioni di euro di fatturato, vi invito a proseguire nella lettura.

    Le 24 aziende analizzate hanno visto crescere il loro debito da circa 2.1 a 2.5 miliardi di euro nel 2023, a fronte di diverse operazioni di consolidamento.
    I debiti come riportati dal rapporto Mediobanca di Antinori sono cresciuti da 209 a 630 milioni di euro (per intenderci l’indebitamento finanziario netto da bilancio è pari a circa 400 milioni, ma l’ordine di grandezza è corretto) per l’acquisizione di cui sopra e Argea segna anch’essa un incremento.
    Per quanto riguarda tutte le altre aziende notiamo debiti sostanzialmente stabili o in leggero calo.
    In termini di rapporto con il patrimonio, la cooperativa La Marca mostra il rapporto più elevato a 3.3 volte, seguita da Mack & Schuhle a 2.1 e Schenk a 1.6.
    Se lo rapportiamo al valore aggiunto troviamo di nuovo le cooperative in cima alla classifica, ma questo è ovviamente relativo al loro modello. Se escludiamo le cooperative, Zonin ha il rapporto più elevato a 3.2, seguita da Argea a 3 e IWB a 2.9. Casualmente sono proprio queste tre aziende che hanno iniziato un percorso di consolidamento con l’ingresso di capitale non familiare (quotazione in borsa o private equity). Pur realizzando l’importante acquisizione, Antinori ha mantenuto un rapporto di 2.2 volte il valore aggiunto.

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    Settore vino contro settore bevande – dati Mediobanca 2022/23

    Riprendiamo oggi una analisi a mio parere piuttosto interessante che si basa sui dati pubblicati da Area Studi Mediobanca, ossia il confronto tra il settore del vino e quello delle bevande (alcoliche e non) italiane, per quanto riguarda tutta una serie di indicatori economico-finanziari.
    Avvertenze: l’analisi arriva al 2023 per le bevande e ancora al 2022 per il vino (salvo per che per le vendite) e andiamo indietro di circa 10 anni (anche se potremmo raddoppiare!). Secondo, l’analisi include tutto il settore vino e quello senza le cooperative, che è secondo il mio parere quello da guardare.
    Bene, cosa si ricava dal post? Direi quanto segue. Primo, che la crescita del settore del vino e di quello delle bevande è stata equivalente nei 10 anni, anche se il settore del vino è stato meno influenzato nel periodo del Covid. Nel periodo più recente, le aziende vinicole sono cresciute meno di quelle delle bevande, probabilmente per la loro maggiore esposizione alle esportazioni, che sono rallentate in modo importante. Secondo, i margini di profitto delle aziende vinicole sono migliorati rispetto al passato, sia in valore assoluto sia rispetto a quelli del settore delle bevande. Il valore dell’eccellenza del vino italiano comincia a filtrare nei dati economici. Dall’altro lato, fare vino richiede più investimenti che fare bevande e dunque quando si passa dai margini di profitto (quanto si guadagna rispetto a quanto si vende) al ritorno sul capitale (quanto si guadagna rispetto a quanto si investe) il confronto diventa più sottile, anche se lo svantaggio storico delle aziende vinicole sembra non vedersi più. Infine, la struttura finanziaria delle aziende vinicole è migliorata in proporzione a quello del settore delle bevande nel corso degli anni.
    Bene passiamo a una analisi dei dati corredata da grafici e tabella riassuntiva.

    Il settore delle bevande analizzato da Mediobanca ha chiuso il 2023 con un fatturato del 27% superiore a quello del 2019, quindi “pre-Covid” rispetto a un incremento del 21% delle vendite delle aziende vinicole, sempre recensite dal rapporto di Area Studi Mediobanca. Tale differenza si è creata da un’uscita più veloce dal Covid per le bevande (che avevano peraltro subito un impatto negativo più marcato). Per il 2023 le bevande sono cresciute del 4% contro un dato stabile per il settore vinicolo.
    I margini sono in miglioramento per il settore vinicolo, anche se mancano i dati 2023. Prima del Covid le aziende vinicole (ex cooperative) avevano un margine del 9.2%, erano al 9% nel 2022, quando invece il settore bevande era passato dal 7.2% al 6.2% (prima di recuperare al 7.2% nel 2023).
    Il ritorno sul capitale vede ancora il settore bevande avvantaggiato, in un contesto di ritorni calanti durante il periodo del Covid. Le bevande erano al 7.5% nel 2022 contro il 7.2% delle aziende vinicole e hanno recuperato 1 punto nel 2023. Riteniamo lo stesso non sia capitato alla aziende vinicole.
    Infine, il rapporto di indebitamento, debito su EBITDA (o MOL). Qui il trend è più chiaro: le aziende vinicole erano più indebitate (circa 2x contro 1.5x per le bevande) nel 2019, il rapporto è perfettamente allineato a 1.6x nel 2022.

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    Utili, margini e ritorno sul capitale delle principali aziende vinicole – dati Mediobanca – aggiornamento 2023

    Dati in formato testo disponibili nella sezione Solonumeri.

    Seconda puntata dell’elaborazione dei dati del rapporto Mediobanca sulle principali aziende italiane, che include le aziende con oltre 100 milioni di fatturato. Oggi ci concentriamo su qualche indicatore più particolare, come il capitale investito, i margini e il ritorno sul capitale. Nel 2023 si sono realizzate alcune aggregazione aziendali che hanno spostato un po’ l’asticella per alcune aziende, come Antinori e Argea. Nei dati aggregati a fronte di una crescita delle vendite del 5%, il valore aggiunto è cresciuto dell’8%, l’utile operativo del 6%, mentre l’utile netto è calato del 15%. Vari fattori sono da considerare, quali acquisizioni non completamente consolidate, aumento del costo del debito (e maggiore debito, +23%), ammortamenti delle differenze di consolidamento e via dicendo, per spiegare il calo degli utili.
    Non è sicuramente la fotografia del settore (quella invece la dà il rapporto Mediobanca di aprile), ma di quella parte del settore in cima alla piramide che sta portando avanti le aggregazioni aziendali. Antinori resta il punto di riferimento in quanto a margini di profitto e entità del capitale investito, mentre perde qualche punto in termini di ritorno sul capitale, dove continua ad eccellere Santa Margherita.
    Passiamo ai dati di dettaglio, inclusi grafici e il grafico animato dell’evoluzione del capitale investito.

    Le 24 aziende vinicole incluse nel campione di quest’anno (oltre 100 milioni di fatturato) hanno generato un utile operativo di circa 400 milioni di euro, che corrisponde a un margine del 7% sul fatturato (le cooperative sono comprese nel calcolo). Il capitale investito è invece cresciuto del 10% a 7.2 miliardi di euro il che determina un ritorno del 5.6% circa.
    Come dicevamo sopra Antinori primeggia sia per utile operativo in valore assoluto, che per margine sulle vendite e capitale investito mentre viene penalizzata quando si guarda al ritorno sul capitale, dove aziende meno integrate verticalmente, come Santa Margherita, sono meglio posizionate.
    Se guardiamo alla dinamica dell’utile operativo su un orizzonte di 5 anni e restringiamo il campo alle grandi aziende, IWB a +22% annuo e Argea a +12% sono certamente da evidenziare, mentre in valore assoluto Antinori, Santa Margherita e Frescobaldi (che tra l’altro cresce dell’11% annuo dal 2018…) restano in vetta.
    In termini di capitale investito, Antinori è arrivata a una scala completamente diversa rispetto alle altre aziende. La somma del capitale proprio e dei debiti finanziari del rapporto Mediobanca dice 2.1 miliardi circa 4 volte il livello delle altre aziende che arrivano intorno a 500 milioni di euro.
    Questo elevato capitale investito (da legare alle recenti acquisizioni, quella americana in particolare) ha però un impatto negativo sul ritorno sul capitale, che per Antinori “torna nella media” tra il 5% e 6%, quando Frescobaldi resta intorno al 10% e Santa Margherita viaggia sul 14%.

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    Fantini Group – dati di bilancio 2023

    Nel 2023 Fantini Group ha subito un leggero calo delle vendite (-4% a 86 milioni) che però è stato completamente assorbito dalla riduzione dei costi, anche grazie all’allentamento dei prezzi delle materie prime. Il contenimento degli investimenti su livelli particolarmente bassi ha invece consentito di ridurre ulteriormente il livello dell’indebitamento da 60 a 50 milioni di euro, quindi da 3 a 2.6 volte l’EBITDA, che vi ricordo nel caso di Fantini era cresciuto nel 2020 quando l’azienda era passata di mano con l’ingresso del private equity (4 volte l’EBITDA alla fine del 2020), attraverso una manovra di leverage buy-out. Dopo il 2023 non particolarmente positivo dal punto di vista commerciale, gli amministratori hanno fornito una visione più positiva per il 2024, dove a un consolidamento dei volumi della GDO (tradotto: sono in leggero calo…) si combina un andamento invece positivo del canale Ho.Re.Ca.
    Passiamo a una breve analisi dei dati con ulteriori grafici e la tabella riassuntiva.

    Le vendite sono calate del 4% a 86 milioni di euro. Dobbiamo evidenziare che l’azienda nel bilancio parla di “Ricavi delle vendite e delle prestazioni” che includono anche 3 milioni di altri ricavi relativi a servizi, vendita di materie prime (presumibilmente uva o vino non imbottigliato), oltre a 1 milione di contributi pubblici.
    Dal punto di vista geografico, le vendite in Italia sono calate del 5% a 3 milioni, restando marginali, quelle in Europa sono cresciute del 2% a 63 milioni, mentre calano pesantemente sia il fatturato americano (-12% a 12 milioni) che quello asiatico (-29% a 7 milioni).
    Come vedete dalla tabella i profitti operativi (EBITDA e utile operativo) sono mostrati in versione rettificata e non rettificata, per tenere conto di oneri non ricorrenti e dell’ammortamento del goodwill dell’operazione di private equity. Ad ogni modo, il forte controllo dei costi (costo del personale addirittura calato) e delle altre spese operative hanno più che compensato una certa pressione sul costo del venduto (ossia il costo di produzione) passato dal 52.7% al 53.8% del fatturato. L’EBITDA rettificato e l’utile operativo sono quindi calati del 3% circa, rispettivamente a 19.2 e 17 milioni di euro.
    L’utile netto dichiarato scende invece da 6.3 a 4.5 milioni di euro (questo non aggiustato per le componenti non ricorrenti), anche a causa dell’incremento degli oneri finanziari nel 2023.
    A livello finanziario, il debito scende da 60 a 50 milioni come dicevamo, forte di un eccellente lavoro sul livello del magazzino (che ha liberato 5 milioni di euro) e di un livello di investimenti piuttosto contenuto, meno di 2 milioni di euro (rispetto a 2.2 milioni di euro di ammortamenti) che ha consentito di scaricare praticamente tutto l’utile generato a riduzione del debito.

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