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    Vranken Pommery – risultati primo semestre 2023

    In attesa dei dati di Laurent Perrier, che chiude a settembre, analizziamo oggi i dati del primo semestre di Vranken Pommery. Sono buoni numeri, coerentemente con quanto visto durante il 2021. Anche se la crescita delle vendite rallenta (+5% nel primo semestre 2023, contro +7% nel secondo semestre 2022 e +20% nel primo semestre 2022), i margini sono in continuo miglioramento. Ciò che appare ancora più sorprendente è che Vranken Pommery ha mantenuto la sua indicazione su tutto l’anno di un +5% di fatturato. Alla luce della preoccupante evoluzione delle esportazioni di Champagne al rientro dalle vacanze, potrebbe esserci il rischio che l’obiettivo sia mancato. Ad ogni modo, per completare il quadro del primo semestre, purtroppo i progressi a livello operativo (quasi raddoppio dell’utile operativo) sono completamente vanificati dall’incremento degli oneri finanziari che alla fine portano a una perdita netta di 2 milioni, molto simile al 2022, anche se meglio che in passato. Il debito di “anno in anno” è stabile a 700 milioni, con un leggero calo del magazzino, altro segno che le cose potrebbero andare meglio. Passiamo a qualche dato e grafico in più nel resto del post.

    Le vendite di 118 milioni crescono del 5%, grazie a un +6% dello Champagne a 111 milioni e nonostante un calo del 10% dei vini delle sabbie a 7 milioni. Dal punto di vista geografico, sono le vendite fuori Europa a guidare il business, con una crescita del 22% a 30 milioni, mentre Francia (+3% a 42 milioni) e resto d’Europa (-3% a 45 milioni) si compensano.
    I margini sono in miglioramento soprattutto a livello industriale vista la stabilità dei costi esterni, mentre il costo del personale cresce in linea con le vendite. Ne risulta un margine operativo lordo (EBITDA) di 19 milioni, 16% delle vendite e +38% e un utile operativo di 11 milioni, contro 6 dello scorso anno. Purtroppo questi 5 milioni in più sono mangiati dagli oneri finanziari e dunque l’utile netto resta sottozero.
    A livello finanziario, pur non pagando dividendi, il debito non è sceso “di anno in anno”, quindi giugno contro giugno e resta sui 700 milioni. Il magazzino scende leggermente e quindi i rapporti di indebitamento restano piuttosto elevati (anche se in miglioramento in rapporto agli utili), a 1.7 volte debito su patrimonio (da 1.9) , 1.1 volte debito su magazzino (stabile) e 12 volte l’EBITDA degli ultimi 12 mesi (contro 14x).
    Vi lascio alle tabelle e ai grafici.

    Se siete arrivati fin qui……ho un piccolo favore da chiedervi. Sempre più persone leggono “I Numeri del Vino”, che pubblica da oltre dieci anni tre analisi ogni settimana sul mondo del vino senza limitazioni o abbonamenti. La pubblicità e le sponsorizzazioni servono per aiutare una missione laica in Perù. Per fare in modo che questo lavoro continui e resti integralmente accessibile, ti chiedo un piccolo aiuto, semplicemente prestando da dovuta attenzione con una visita alle inserzioni e alle sponsorizzazioni presenti nella testata e nella sezione laterale del blog. Grazie. Marco LEGGI TUTTO

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    Sul perché lo Champagne sarà sempre di più un vino da collezione

    L’ascesa dei prezzi dei vini pregiati è probabilmente arrivata a un punto di stabilizzazione dopo gli eccessi degli ultimi anni. È però vero che alcune zone vinicole mondiali continuano a crescere nelle cantine dei collezionisti di vino. Il caso dello Champagne, che oggi analizziamo più in dettaglio, è uno di questi. Pur essendo un vino spumante (perdonate il sostantivo al limite del volgare), Champagne è un po’ una categoria a sé stante come lo è, come posso dire, Moncler nei piumini o Rolex negli orologi. E il valore nel tempo dello Champagne è stato a lungo sottostimato, per una combinazione di stereotipi, per esempio che i vini spumanti vanno bevuti giovani perché le “bollicine” si perdono nel tempo. Se invece provate a lasciare vent’anni una bottiglia di ottimo Champagne in cantina posso dirvi che avrete una buona probabilità di bere un grande vino. Forse la sottostima deriva anche dal fatto che si tratta di un vino storicamente molto legato alla celebrazione di eventi (si ricorda l’enorme picco di vendite registrato per festeggiare la fine del millennio, che qualcuno aveva anche scambiato per la fine del mondo). Invece oggi il discorso si è ribaltato. Un grande aperitivo ha nello Champagne probabilmente la sua espressione più elevata e l’evoluzione del gusto (e della cucina) ha portato gradualmente a un consumo più diffuso all’interno dei pasti. L’articolo continua…

    Fu così che il numero degli Champagne nella classifica del Liv-Ex crebbe cresciuto gradualmente ma costantemente nel corso degli anni, tanto da contarne nove nella classifica dei “100” nel 2022. E di questi nove, ben tre, Dom Perignon, Louis Roederer e Krug sono addirittura classificati nei primi 10 posti lo scorso anno. Alcuni di questi come Salon, Dom Perignon o Roederer sono addirittura sempre stati nella classifica del Liv-Ex da quando la guardiamo (2011), con una posizione media di tutto rispetto, all’interno dei primi 50 in media nel periodo.
    E i prezzi, sono cresciuti di conseguenza, anche se come sta capitando per tutti i vini pregiati, l’andamento nel corso del 2023 è stato negativo. Nel caso degli Champagne, dopo aver moltiplicato per quasi 8 volte i prezzi dal 2003 a ottobre 2022, i prezzi sono scesi del 20% circa negli ultimi 12 mesi. L’incremento è sempre molto importante rispetto allo storico (circa 7 volte a fine ottobre 2023 rispetto a gennaio 2023) ma il calo è più marcato di altre categorie, come i vini di Borgogna (-16%), Bordeaux (-12%) o i grandi vini italiani (-6%).
    Viene quindi da domandarsi se è il momento di comprare. Alcuni segnali il mercati “adiacenti” come il mercato azionario ci sono: l’inflazione rallenta, le banche centrali sono meno propense a ulteriori rialzi dei tassi di interesse (anzi qualcuno inizia a speculare che tra qualche mese si comincerà a ribassarli) e il mercato azionario riprende fiato dopo un fine estate difficile. Il mercato dei grandi vini potrebbe a un certo punto beneficiarne. E nel caso dello Champagne dobbiamo sempre ricordarci che i cinesi non sono ancora arrivati, e quando arrivano loro di solito fanno piazza pulita.
    Quindi, difficile dire se stiamo ancora afferrando un coltello mentre cade (come si dice nel gergo borsistico), ma certamente la categoria dello Champagne è destinata a ricoprire un ruolo importante nel panorama dei grandi vini da collezione.

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    Germania – mercato e consumi di vino – aggiornamento 2022

    Oggi guardiamo un po’ I dati dei consumi di vino e bevande alcoliche in Germania, sfruttando I dati puntualmente pubblicati dal German Wine Institute. La considerazione che in Germania si bevono sempre meno bevande alcoliche è valida anche nel 2022, anche se il ritmo di decrescita sembra essere meno accentuato che in passato. L’Istituto calcola che il calo sia di circa 1 litro, da 121 a 120 litri, questa volta però interamente concentrato nel segmento del vino fermo, stimato in calo da 20.7 a 19.9 litri pro capite. Il calo (che moltiplicato gli 80 milioni e più di tedeschi non è poco i valore assoluto, circa 0.5 milioni di ettolitri) è equamente distribuito tra vini locali e vini importati, che contano rispettivamente 9 e 11 litri pro capite circa. È invece curiosa questa tendenza verso il consumo di vini locali bianchi, a cui però non corrisponde un andamento simile per il totale del mercato, che invece resta stabile nella quota di vini rossi, mentre i vini rosati sembrano prendere qualche punto percentuale ai vini bianchi. Come dire che i tedeschi bevono sempre meno vini bianchi esteri e sempre più vini bianchi locali, e viceversa per i vini rossi. Torna poi il grafico sui canali di distribuzione del vino, che allego alla fine senza particolari commenti da fare: il mercato è dominato dalla grande distribuzione e discount, 64% del totale, con una quota di vendite online dell’11% circa e il resto distribuito tra enoteche e vendita diretta. Per ulteriori dettagli, proseguite nella lettura.

    I consumi di vino in Germania sono calati da 20.7 a 19.9 litri pro capite secondo DWI, scendendo sotto la soglia dei 20 litri per la prima volta dal 2000. Sono invece stabili i consumi di vino spumante, 3.2 litri pro-capite.
    Ora se prendo i dati per come sono quest’anno e come erano l’anno scorso arrivo a un consumo di birra stabile, da 91.7 a 91.8 litri procapite. Però il documento di quest’anno mi propone una serie di dati passati sulla birra più bassi, talchè bisognerebbe dire che il 91.8 di quest’anno si confronta con 89.4… preferisco tenermi i dati che ho, sembrano più coerenti.
    Quindi in totale sono 23 litri di vino in totale a persona contro 24 dello scorso anno. Abbiamo la suddivisione per la quota dei vini fermi, che è 11.3 litri (da 11.8) per quello importato e 8.6 litri (da 8.9 per quello locale).
    Nel vino locale la le quote bianco/rose/rosso sono 59/11/30, con i bianchi al massimo storico e i rossi al minimo storico: chiaro trend. Per il mercato totale le quote sono 40/13/47, e qui la musica cambia: i bianchi addirittura calano leggermente, i rossi sono stabili e i vini rosati crescono.

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    Australia – produzione di vino 2023

    L’andamento della produzione vinicola australiana è stato negli ultimi due anni pesantemente influenzato da “la Nina”, ossia la variante fredda e piovosa contrapposta a quello che colpisce noi, ossia il “il Nino”. Bella coppia… . Senza divulgarci troppo in questioni meteo e per andare al punto, nel 2023 l’Australia produrrà circa 9.2 milioni di ettolitri di vino a fronte di 1.32 milioni di tonnellate di uva, con un calo fragoroso del 25% circa, sia contro il 2022 che contro la media storica. È questo il risultato del Vintage report pubblicato da Wine Australia che raccoglie i dati del 35% dei viticoltori circa, che però rappresentano il 91% della produzione di vino australiana. Benchè i dati siano ovviamente cattivi, si “saldano” con quello che osserviamo nei dati di consumo e di esportazione del vino australiano, in forte crisi per la proibizione delle esportazioni in Cina e assumono dunque, in un certo modo, un equilibrio. Bene, passiamo a una breve analisi dei dati.

    La produzione di uva da vino australiana per il 2023 è stimata in 1.3 milioni di tonnellate, inferiore del 24 per cento rispetto al 2022 e la più bassa dal 2000. La riduzione rispetto alla media decennale equivale a circa 325 milioni di litri di vino.
    La produzione di uve rosse è stata di 712 mila tonnellate, in calo del 26% anno su anno, mentre le varietà bianche sono scese del 22% per cento a 605 mila tonnellate. Lo Shiraz resta di gran lunga l’uva con la maggiore produzione, 346 mila tonnellate, ma in calo del 20%. Tra i vini bianchi è lo Chardonnay a dominare con 254 mila tonnellate, ma diminuzione del 29%.
    Diciamo che soltanto lo Shiraz (45% dei vini rossi e 26% del totale) e il Sauvignon Blanc (13% della categoria bianchi e 6.5% del totale) hanno aumentato la loro quota sulla produzione totale della produzione totale, mentre il Cabernet Sauvignon, lo Chardonnay e il Merlot hanno perso quota.
    Come vedete dal grafico, meno produzione e meno valore, anche se il prezzo unitario delle uve continua a seguire un percorso ascendente. Il valore stimato all’origine della produzione 2023 è stato di 983 milioni di dollari australiani, circa -20% sul 2022 e lontanissimo dal valore record del 2021 di 1.5 miliardi di dollari. Il prezzo medio di acquisto dell’uva da vino è stato, dividendo valore dichiarato per produzione, di 746 dollari a ettolitri, in crescita del 7% sul 2022.

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    Francia – esportazioni di vino – dati primi 9 mesi 2023

    Non arriva un buon segnale dalle esportazioni francesi di vino di settembre, che ho quasi guardato per caso. Se I dati sono corretti (ho un piccolo dubbio sul fatto che siano completi), dopo un agosto “bruttino” a -8%, il dato di settembre segnala un tonfo del 21% (e comunque intorno al -17/18% anche rimontando un paio di dati regionali mancanti nella rilevazione di settembre). Ciò ovviamente va messo nel contesto di un andamento fino a luglio decisamente migliore di quanto ha fatto l’Italia ma rappresenta anche un segnale non positivo per quanto riguarda il nostro export (che già sta soffrendo, -1.4% nei primi 8 mesi dell’anno). Tornando alla Francia con questi due mesi terribili le esportazioni nei primi 9 mesi calano dell’1.7% a 8.9 miliardi di euro, con un forte deterioramento dal dato semestrale che segnava ancora +3%. Il rallentamento più forte è quello dello Champagne che passa da un +8% a un dato stabile (3 miliardi di euro) con i volumi che passano da -5% a -10% tra il semestre e i 9 mesi. Il “resto della Francia” che come mix è il più simile alla tipologia di export italiana è invece quello che ha subito il rallentamento minore, da -2% a -5%. Passiamo ad analizzare qualche numero insieme. I dati completi sono alla fine del post.

    Le esportazioni dei primi 9 mesi del 2023 della Francia calano dell’1.7% a 8.85 miliardi di euro, con un volume esportato di 9.5 milioni di ettolitri (-9%) e un prezzo mix di 9.33 euro al litro, positivo per il 9%.
    Il dato per lo Champagne è 3 miliardi di euro, composto da 877mila ettolitri, -10%, e un prezzo medio di export di 34.6 euro al litro, +12%. Il dato puntuale di settembre per lo Champagne è -24% per 347 milioni di euro.
    Bordeaux e Borgogna a settembre sono invece in calo del 20% e del 14% rispettivamente. Nei 9 mesi, per Bordeaux il dato è -1.4% e 1.7 miliardi di euro, con un calo del volume dell’11% e un prezzo mix in crescita dell’11% a 15 euro al litro. Per la Borgogna i dati sono ancora leggermente positivi, con un export di 1.05 miliardi di euro e +2.3%, fatto da -8% in volume e +12% in prezzo, che tocca il rimarchevole livello di 24.5 euro al litro.
    Tutto il resto cuba 3.1 miliardi di euro e cala del 5%, con una diminuzione del volume del 9% a 7.1 milioni di ettolitri e un incremento del prezzo medio del 4.6% a 4.35 euro al litro.
    Buona consultazione.

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    Utili, margini e ritorno sul capitale delle principali aziende vinicole – dati Mediobanca – aggiornamento 2022

    Dopo esserci occupati di chi fattura di più e di chi ha un maggior valore aggiunto continuiamo oggi la nostra analisi dei dati di Mediobanca Research scendendo nel conto economico. Analizziamo cioè chi fa più soldi, sia rispetto a quanto è il fatturato, sia rispetto a quanto è stato investito nell’azienda, almeno da un punto di vista contabile (talvolta le poste di bilancio derivano da rivalutazioni e non veri investimenti). Ad ogni modo, in queste classifiche ovviamente dovremmo escludere le cooperative, che sono in una posizione diversa, avendo come scopo la massimizzazione del ritorno per i soci attraverso il costo del venduto. Come vedete dal grafico qui sotto, chi “vince” dal punto di vista del rapporto tra utile (operativo) e vendite sono Antinori, Frescobaldi e Santa Margherita, mentre chi vince dal punto di vista del ritorno sul capitale sono Bottega, Santa Margherita di nuovo e Mionetto. Più in generale le aziende (30) che analizziamo nel rapporto hanno avuto un fatturato di 5.6 miliardi di euro, un valore aggiunto di 1.2 miliardi (il 21.8% delle vendite contro il 22.4% del 2021) e un utile operativo di 421 milioni, pari al 7.5% del fatturato, di nuovo leggermente sotto il 7.8% dell’anno scorso. Passiamo a una breve analisi dei dati, ricordandovi che nella sezione Solonumeri trovate i dati azienda per azienda degli ultimi anni.

    Se guardiamo ai margini, le aziende più verticalmente integrate ovviamente hanno i risultati migliori. Antinori guida con un valore aggiunto su vendite del 64% e un margine operativo del 33%, entrambi superiori al 2021 quando le rivalutazioni e l’impatto COVID (validi entrambi un po’ per tutti) avevamo determinato una diluuzione. Seguono Frescobaldi e Santa Margherita, con un margine operativo del 31% e 26% rispettivamente, poi si scende all’11% di Masi e qui troviamo tutti gli altri.
    Dal punto del ritorno sul capitale investito, non è più Antinori a guidare la classifica ma bensì Santa Margherita, che combina una forza commerciale importante con un livello di integrazione verticale inferiore, il che limita l’ammontare del capitale investito. Il suo ritorno sul capitale, salvo il 2020 è stato nell’intorno del 16-18% negli ultimi anni. Su un livello simile troviamo Bottega, che però ha dei numeri in valore assoluto piuttosto esigui. Ad ogni modo, nel 2022 è riuscita a generare 6.5 milioni di utile operativo con 41 milioni di capitale investito e quindi sta intorno al 16%. In doppia cifra in termini di capitale investito troviamo poi Mionetto, Frescobaldi, Pasqua, Villa Sandi e Schenk Italia.
    Vi lascio ai numerosi grafici e tabelle.

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    Lanson BCC – risultati primo semestre 2023

    Il rilancio di Lanson continua nel primo trimestre sulla medesima traccia già vista nel secondo semestre 2022, ossia un deciso miglioramento dei margini di profitto derivante dalla nuova strategia di  “développement en valeur” rispetto ai volumi. Nello specifico del primo semestre 2023 il mercato dello Champagne è chiaramente peggiorato (-5% in volume di spedizioni) e l’impatto sulle vendite di Lanson si vede, ma i margini sono letteralmente esplosi con un margine industriale passato dal 45% al 53% che ha consentito di più che compensare gli effetti inflazionistici. Risultato finale è un utile netto di oltre 11 milioni di euro, un debito non in calo anno su anno ma che si confronta con un magazzino cresciuto in modo significativo (e quindi è indice di una migliore “salute finanziaria”) e azionisti contenti perché oltre al fatto che le azioni quest’anno sono andate bene (+14% al 15 ottobre 2023), hanno anche ricevuto un dividendo più ricco dello scorso anno (di poco superiore al 2% in termini di rendimento). Le prospettive restano positive in termini di strategia anche se ovviamente l’azienda fa notare che il secondo semestre è più importante del primo, mentre noi facciamo notare che la base di confronto resta sempre facile, nel senso che se il margine industriale del 53% tiene i dati possono essere ancora molto interessanti (margine secondo semestre 2022 = 46%). Passiamo a una breve analisi dei dati.

    Lanson BCC ha registrato una diminuzione del fatturato del 5.2% rispetto al primo semestre 2022, passando da 115 milioni di euro a 109 milioni di euro. La riduzione è stata generata da un forte calo nel mercato americano (-49% a 4 milioni), che resta comunque marginale e a una leggera riduzione in quello europeo, -4% a 49 milioni, mentre l’Asia è rimasta in leggera crescita e la Francia (48 milioni) stabile rispetto allo scorso anno.
    La redditività operativa è fortemente migliorata essenzialmente grazie al margine “industriale”, ossia quello calcolato dopo i consumi di materie prime, che balza dal 45% al 53% e dunque assorbe l’inefficienza determinata dai maggiori costi del personale (+5%) e dai maggiori ammortamenti. Risultato finale, l’EBITDA sale dal 15% al 21% a 23 milioni e l’EBIT passa dall’11% al 18% prima delle componenti non ricorrenti che l’anno scorso erano state positive.
    Nonostante tasse e oneri finanziari in crescita, oltre all’assenza di proventi straordinari dello scorso anno, l’utile netto è cresciuto del 14.6%, passando da 10.1 milioni di euro a 11.6 milioni di euro.
    Lanson BCC ha anche rafforzato la sua situazione finanziaria, non tanto in termini assoluti ma quanto relativi. Il debito netto è aumentato leggermente passando da 485 milioni di euro di giugno 2022 a 495 milioni di euro di giugno 2023, ma in un contesto di un incremento del magazzino da 491 a 524 milioni di euro (rapporto che scende da 1 a 0.94) e dopo aver pagato migliori di dividendi agli azionisti (6.6 milioni contro 4.9 dello scorso anno) oltre a un paio di milioni di acquisti di azioni proprie.

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    Il commercio mondiale di vini sfusi – aggiornamento 2022

    Il grafico qui sopra credo fornisca un quadro piuttosto chiaro dell’evoluzione del mercato mondiale dei vini sfusi, almeno dal punto di vista dei volumi: declino strutturale. Le ragioni possono essere diverse. La più evidente è forse quella della qualità, meno vino ma più buono, e questo va in bottiglia. Però la spiegazione non può fermarsi qui. Per esempio, la Nuova Zelanda esporta vino sfuso a un prezzo molto più alto della media, il che significa che lo spediscono per l’imbottigliamento locale vino sfuso. Penso che questo sia possibile grazie alla scala rilevante (tanti volumi) delle operazioni delle aziende locali, oltre che dalla mancanza di regole (sempre locali) che obblighino all’imbottigliamento locale del prodotto. I numeri del 2022 di UN Comtrade danno un valore esportato di 2.66 miliardi di euro, +6% sul 2021 ma molto meno dei 3 miliardi e più degli anni pre-Covid e un volume scambiato di 35 milioni di ettolitri, -6%, in calo da ormai qualche anno. La Spagna domina, la Nuova Zelanda cresce, l’Italia recupera nel 2022 ma resta ben sotto i livelli del passato. Passiamo a un breve commento dei principali dati.

    Con una quota di mercato del 20% del valore scambiato e del 33% del volume totale, la Spagna domina il trade mondiale di vini sfusi. Nel 2022 sono stati esportati 11.5 milioni di ettolitri per un valore di 534 milioni di euro (+11%, ma -2% annuo su 5 anni). Il prezzo medio risultante 46 euro a ettolitro contro la media di 76 vi può dare l’idea del “tipo” di leadership della Spagna, basato sull’esportazione massiccia di volumi di prodotto di qualità medio bassa.
    La Nuova Zelanda invece sta in questo post “per sbaglio”, nel senso che esportando a una media di 283 euro per ettolitro, ovviamente non sta vendendo prodotto da usare per produrre altri vini, ma sta semplicemente (immaginiamo) spedendo cisterne di vino nei mercati di destinazione per l’imbottigliamento in loco. Con 341 milioni di euro è la seconda nazione in questo segmento, con una quota di mercato del 13% e un incremento del 19% (+8% annuo dal 2017).
    L’Italia torna a essere il terzo player, con 304 milioni di vendite e 3.74 milioni di ettolitri di esportazione, al pari dell’Australia in volume che lo scorso anno l’aveva superata. I dati sono migliori del 2021 (+13% a valore) ma si inseriscono in un trend discendente (-5% annuo su 5 anni).
    Gli altri esportatori di vino sfuso sono l’Australia, con 303 milioni, ossia uguale all’Italia, il Cile con 286 milioni di euro e la Francia, più distante, con 186 milioni di euro. Nessuno di questi esportatori ha una variazione positiva sul quinquennio.

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