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Poggio Levante, vignaioli ai piedi del Monte Amiata

Dice Bill Gates che se va a letto non avendo fatto niente di nuovo rispetto a ieri, un giorno è stato sprecato. Sinceramente è difficile dargli torto.

Per chi ama il vino, per chi ne scrive, è linfa vitale non sprecare i giorni, che concretamente vuol dire assaggiare vini di cui si ignorava l’esistenza, scoprire cantine, conoscere facce nuove tra produttori, soprattutto tra quelli che si sono affacciati da poco nel grande mare magnum del mondo del vino e, proprio per questo motivo, sono animati da grande entusiasmo.

Vivaddio, non è stato un giorno sprecato incrociare i vini di Poggio Levante.

La cantina è situata nel cuore della Maremma di Grosseto, ai piedi del Monte Amiata e a circa 40 km dal Mar Tirreno e lavora circa tre ettari di vigneto tra i 300/350 metris.l.m. Titolare è il veneto e giovanissimo Alberto Facco, che alla precisa domanda di cosa ci fa un veneto e perché fa vino in Maremma risponde così: Io, come la mia famiglia, sono veneto al 100%. Mio padre ha un’azienda dedita alla vendita di trattori e attrezzature agricole. Nel 2002/2003 mio padre vendette una fornitura ad un cliente di origine padovana che si trasferì a Monticello Amiata, un paese poco distante da Cinigiano. Mio padre non rimase indifferente al fascino e alla bellezza delle colline toscane e decise di acquistare un terreno, sul quale poi venne piantato il vigneto qualche anno dopo. Per i primi anni di produzione, cedemmo l’uva in cambio dei lavori agricoli necessari al corretto mantenimento del terreno. Solo dal 2018 siamo partiti con il progetto Poggio Levante, il quale unisce il territorio toscano con l’invettiva veneta per creare vini dai tratti moderni e distintivi.

Alberto Facco

“Il nostro obiettivo è una produzione di nicchia, in cui la ricerca della massima qualità ed espressione del binomio vitigno/terroir sia la nostra stella polare. Assieme all’enologo Guido Busatto, che ha una grande esperienza nella viticoltura biologica, Poggio Levante sta lavorando per ottenere un prodotto sempre più distinguibile. Siamo consapevoli che la riconoscibilità di un vino sia un processo lungo, ma ci stiamo impegnando per vincere questa sfida e far sì che un consumatore, quando degusta il nostro Vermentino come il Sangiovese, possa associarli al nome Poggio Levante”.

Per Poggio Levante il vino è un’esperienza a 360°: per questo anche il packaging ha la sua importanza perché permette di comunicare un messaggio di eccellenza. La scelta di bottiglie più leggere porta a un’impronta carbonica più bassa e l’etichetta esprime personalità in coerenza con la mission aziendale: offrire prodotti nuovi ma mai snaturati dal territorio e dai varietali.

Il ragazzo ha le idee chiare non c’è che dire, ma alla fine a parlare è sempre la bottiglia, da qui non si scappa.

Diciamo subito che i vini di Poggio Levante sono una gran bella sorpresa. Attualmente Poggio Levante produce circa 13.000 bottiglie declinate su due tipologie di vini: il Vermentino e il Sangiovese.

Il vino di punta è Unnè, un Vermentino non convenzionale che prende il nome proprio dall’esclamazione toscana “Unnè”, ovvero “non è quello che sembra”. Quello di Poggio Levante, infatti, vuole essere un Vermentino che sorprende per qualità, proprietà organolettiche e per l’immagine con cui si presenta, in una bottiglia renana con tappo a vite. Immesso in commercio non prima di 3 anni dopo la vendemmia come DOC Maremma Toscana, ho degustato l’annata 2019 che presenta all’olfatto decisamente intenso, di fiori e agrumi, pietra focaia, al palato è sapido e cangiante, entra di diritto nella top ten dei bianchi degustati nel 2023.

Poi c’è Il Sangiovese Ovvìa che nasce da un vigneto situato all’interno della Denominazione Montecucco e viene imbottigliato come DOC Maremma Toscana. Il terreno è marnoso e galestroso con una buona componente argillosa. Il vigneto, gestito in regime biologico, ha un’età di 10 anni con orientamento a nord, con circa 4500 piante per ettaro e resa 50 q.li per ettaro. Ovvìa è un vino che matura in botti ovali di rovere francese da 15 hl e in vasche di cemento non vetrificato da 20 hl. Qui l’affinamento dura circa 18 mesi, più un’ulteriore sosta di minimo 5 mesi in bottiglia. La prima annata prodotta, 2018, mentre io degustato quella attualmente è in commercio ovvero l’annata 2019. Nitido e intrigante l’olfatto con note di frutta rossa, ciliegia e una delicata speziatura. Al palato è dotato di notevole balsamicità e profondità, mi tocca usa il termine “di grande bevibilità” ma non saprei come altro definirlo.

Completa la gamma aziendale una piccola chicca, il Vermut artigianale Sergio. Il Vermut Sergio, dedicato al nonno di Alberto, porta con sé l’idea di valorizzare la qualità del Sangiovese, vino usato come base, per creare un prodotto autentico, con una forte identità territoriale. La lavorazione delle botaniche rispetta fedelmente  le caratteristiche delle piante usate, estraendo le loro note aromatiche tipiche. Tra le estrazioni alcoliche utilizzate ci sono infusi e tinture a diverse gradazioni.

Di Poggio Levante ne sentiremo parlare, eccome se ne sentiremo parlare.


Fonte: http://www.lastanzadelvino.it/feed/


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