I Monti Picentini il confine tra lo ying e yang dei vini Campani
La Campania è un mosaico di rara bellezza che si spiega tra mille scenari paesaggistici,tutti diversi tra loro, pur essendo geograficamente molto vicini. È proprio grazie a questa varietà orografica e climatica che la Campania ha sempre rappresentato una culla favorevole all’acclimatamento di tante varità viticole, figurando uno dei più importanti serbatoi di biodiversità mai concepiti.
Tra gli oltre duecento vitigni presenti in Campania, alcuni, grazie alla selezione dell’uomo, hanno trovato ‘terreno fertile’ alla propria colonizzazione essendo estremamente versatili ed adattabili a condizioni molto diverse tra loro. È il caso della Falanghina, il vitigno nostrano più alloctono in assoluto, presente a macchia di leopardo in tutta la regione, o del Fiano che dall’Irpinia è stato ‘importato’ nel Cilento, luogo in cui ha affermato caratteri autonomi rispetto al clone avellinese. Embematico è il caso della Coda di Volpe che tra Benevento, Vesuvio e Irpinia regala espressioni molto personali che sono lo specchio del territorio, ma senza mai perdere l’identità del vitigno.
Questa variabilità climatica e dell’assetto geologico è ascrivibile alla presenza dei Monti Picentini, propaggine della catena montuosa degli Appennini che valica la Campania, e che divide le province di Avellino e Salerno, creando una barriera naturale tra la regione continentale e quella costiera. Questa conformazione orgenetica dà origine a microclimi assai differenti che si riflettono nei profili sensoriali dei vini.
La fascia costiera, ad esempio, ha un clima prevalentemente meediterraneo: mite d’inverno, e caldo d’estate, ma mitigato dalla brezza marina. Le stagioni intermedie hanno un clima ideale, con umidità e sbalzi termici contenuti. Il Cilento regala temperature più fresche rispetto alla zona costiera anche grazie all’azione mitigante del Fiume Calore che favorisce le escursioni termiche, che in estate lambiscono i 20°. I terreni sono, per lo più, di origine alluvionale, più pesanti di quelli irpini, con presenza di limo e di minore argilla. Forte la presenza di scheletro rappresentato dalle tipiche rocce sedimentarie Flysch Cilentano, che hanno la caratteristica di sfaldarsi e di donare al terreno micro e macro elementi. I vini presentano grandi gradazioni alcoliche e ricchezza cromatica, acidità più contenute e profumi più evoluti rispetto ai vini irpini che godono di temperature più indulgenti e di una minore insolazione. Buona la mineralità.
Invece, nelle dorsali dell’Appennino campano, nelle conche e nelle valli interne, il clima è continentale, caratterizzato da inverni rigidi ed estati calde. In generale, i valori di temperatura sono più bassi rispetto alla zona costiera, e la presenza di piogge molto più preponderante. Il clima continentale porta innumerevoli vantaggi alla viticoltura irpina, grazie alla grande presenza d’acqua, accumulata durante l’autunno e l’inverno, che scongiura il pericolo di stress idrico. La natura collinare e la presenza di terreni argillosi, impreziositi da elementi vulcanici, dona ai vini eleganza e sorregge un’onnipresente mineralità e freschezza. Le forti escursioni termiche veicolano la formazione di profumi eleganti.
Il laboratorio BIANCO CAMPANIA, UN VIAGGIO TRA LE ECCELLENZE DI SALERNO E AVELLINO a cura d’Indivino e Onav vuole mettere in luce le differenze sesoriali che uno stesso vitigno esprime a partire da territori diversi.
Il percorso inizia dalla Coda di Volpe, il vino è Irpinia Coda di Volpe DOC 2017 , un cru a 700 metri sul livello del mare a Gesualdo. La degustazione è guidata dall’enologo Paolo Mastroberadino che ci porta indietro nel tempo raccontandoci la storia di questo vitigno. Fino a trent’anni fa la coda di volpe era utilizzata come uva da taglio, grazie alla sua capacità di riuscire a stemperare le asperità dei più vigorosi Fiano e Greco. Una caratteristica che il progresso enologico ha saputo non solo attenuare, ma esaltare, puntando sulla vinificazione in purezza di questo vitigno. La Coda di Volpe non ha caratteristiche marcate,infatti, la sua forza non risiede nell’esplosività delle sue forme ma nella discrezione dei suoi contenuti. È un vitigno che racconta sottovoce le proprie caratteristiche connotate da una delicata eleganza e da uno straordinario equilibrio. Il bouquet ha classe da vendere: fiori gialli, nespola, pesca, albicocca e agrumi. Un vino che stupisce per l’equilibrio gustativo, una delle caratteristiche più peculiari della Coda di Volpe è la mineralità. L’acidità è moderata.
I vigneti del vino VIGNA DELL’ASPIDE Falanghina Campania IGT 2017 – albergano in collina a 500 metri di altitudine, a ridosso del Fiume Calore, su terreni limoso-argillosi. Qui il sole si vede tutto facendosi largo nella trama dorata del vino, al naso, il respiro è caldo, dato che l’alcol raggiunge i 14% di gradazione. Il vino è proteso verso le morbidezze, con poca acidità. Il profilo aromatico regala le consuete note della Falanghina: ananas, banana e mango, sul finale un insolito profumo di fiori secchi e fieno, aromi che si discostano dal modello Sannito-centrico, essendo il Cilento, una zona molto calda.
La Falanghina è un vitigno eccezionale dotato di grande versalità e il vino dell’azienda Falanghina Campania IGT 2017 ce ne dà ampia dimostrazione. Siamo sempre ad ovest dei Monti Picentini, nella provincia di Salerno, la cantina è a Giungano a pochi kilometri dal mare. Il profilo marino del vino viene fuori in degustazione mostrando un’acidità più vigile e un tratto aromatico- gustativo riconducibile alla salsedine, il risultato dell’azione mitigante del mare e di terreni più ricchi di scheletro composto da Flysch Cilentano che donano al vino una marcata mineralità. Al naso è molto raffinato con un trend floreale e spiccato sentore di banana. Equilibrato nel complesso e dai forti tratti minerali, molto fresco grazie anche ad una minore presenza di alcol, estremamente persistente.
La Falanghina irpina è sicuramente più complessa e intensa e i descrittori vengono fuori con più decisione, essendo la matrice-alcol meno invasiva, com’è stato appurato nel vino Irpinia Falanghina DOC 2017 dell’azienda . I vigneti sorgono a San Mango sul Calore.
Nitide e chiare le note di banana, ananas e albicocca, come in ogni falanghina che si rispetti. Buona l’acidità e la freschezza. Le note cromatiche sono meno intense rispetto alle Falanghina del Cilento.
Dopo il bell’excursus sulla Falanghina tocca al raffinato e ricercato Fiano, siamo ad Agropoli con il vino SARACÈ Cilento Fiano DOC 2017 dell’azienda
Anche a ridosso del mare il Fiano si mostra in tutta la sua eleganza confermando la sua natura floreale, infatti, emergono evidenti note di mughetto, biancospino e talco. I terreni ricchi di scheletro donano un’arzilla mineralità. In bocca si sente il sale e il retrogusto è quasi iodato, leggermente metallico. L’Acidità è tagliente.
Dal mare finiamo in collina per valutare le fattezze del vino ISIDE Fiano di Avellino Docg 2017 . Come d’aspettativa, riscontriamo un Fiano di grande complessità, tipico dell’areale irpino, caratterizzato da terreni più poveri, che godono delle perfette escursioni termiche tipiche degli ambienti collinari. Floreale e ricco di clorofilla. L’alcol, più contenuto, permette di percepirne un’acidità stridente. Un vino di grande classe, struttura e dall’incredibile potenziale d’invecchiamento.
Siamo nel cuore dei Monti Picentini a Giffoni Valle Piana, dove sorge l’azienda , con uno dei vini più sui generis di tutto l’areale, il QUARTARA Fiano Colli di Salerno IGT 2015 .
I terreni sono meno compatti rispetto a quelli che lambiscono la litoranea, più scuri e friabili.
Il profilo aromatico non è quello tipico del Fiano dato che i sentori sono un po’ mascherati dall’azione dell’anfora. Stupefacente il colore, vivo e luminoso, nonostante i due anni d’invecchiamento, la macerazione sulle bucce e il passaggio in anfora che contribuisce a microssigenare il vino. Alla vista è integro, per niente ossidato. Al naso: miele di acacia e castagno, fiori di arancio, camomilla e mandorla. Al palato è elegante e molto minerale. Buon equilibrio tra morbidezza e freschezza, punto forte la spiccata mineralità tipica del Fiano.
È quasi assiomatico, dopo il Fiano non può mancare all’appello il Greco, il vino meno esterofilo in Campania, saldamente legato all’areale Greco di Tufo DOCG che annovera solo otto piccoli comuni. Eterno ultimo in batteria, non per demerito, ma per il vigore di ogni suo descrittore: acidità spiccatissima, stridente mineralità ed elevatissima ricchezza cromatica, che sovrasterebbe le peculiarità degli altri vitigni.
Il Colle Serrone Greco di Tufo Docg 2016 è un cru della storica azienda del vigneto chiamato Serrone, ubicato su una collina particolarmente esposta, con terreni di medio impasto ricchi di argilla e calcare, ma soprattutto di zolfo di origine fossile, tipico dell’areale di Tufo. Nonostante il vino abbia svolto la fermentazione malolattica in acciaio l’acidità è stridente, tipica dei vini di Cantine di Marzo, al naso è intimamente tufino: zolfo, pietra focaia e tanta frutta gialla. Il vino è di un dorato intenso. Al palato è tannico, una caratteristica inusuale per i bianchi, ma non per il Greco di Tufo. Una perfetta sintesi tra espressione del territorio e personale firma del produttore, riconducibile in ogni suo vino.
Ultimo in degustazione, un altro Greco di Tufo, sempre 2016, a dimostrazione che il Greco è un vitigno longevo e che come tutti i cavalli di razza si vedono alla distanza. Il vino SPHERA Cantine Cennerazzo Greco di Tufo Docg 2016 è disponibile sul mercato sempre ad un anno dalla vendemmia. Sphera è un cru di Torrioni, un sito che si trova a circa 500 mt di altezza. Come ama definire è un vino artigianale poco lavorato, non molto distante dal vino che produceva suo nonno. Un vino molto grasso che si mastica, buona acidità e mineralità. Profumo di zolfo e un corredo aromatico fortemente balsamico. Un vino equilibrato e molto persistente. Calzante il nome Sphera, giacché è un vino che ha trovato la quadratura del cerchio, in termini di equlibrio e di legame intimo al territorio.
Roberta Raja
ONAV