Da un po’ ragionavo di cosa scrivere per iniziare l’anno nuovo. E la cosa migliore per offrirvi un bel racconto ed insieme un augurio vero, è quello di raccontarvi una piccola favola. Perché quando i sogni ci chiamano, dobbiamo seguirli.
Siamo terra di divertimento, di sole, di spiagge affollate anche se l’acqua è torbida di sabbia e non ci sono pesci colorati da ammirare. Ma ho scoperto una spiaggia davvero spettacolare, non bagnata dall’Adriatico (non più almeno in questa era geologica), ma posta sul pendio di una collina, nell’entroterra faentino, sulle prime colline, e da lì il mare già si vede, nelle giornate di cielo limpido. I quel posto nidificano i coloratissimi gruccioni, scavando i loro nidi nel terreno. Siamo sulle colline di Oriolo dei Fichi, terra di bravi viticoltori, dove due giovani hanno fatto qualcosa di grande e sovversivo. Seguire un sogno, che oggi si chiama Cantina San Biagio Vecchio.
E’ stato Andrea Balducci a dare inizio alla follia. Era il 2004 quando ormai prossimo alla laurea in giurisprudenza si guarda dentro e trova un richiamo viscerale che lo porta altrove. Il richiamo dei ricordi infantili a fianco del nonno, tra i primi enologi della Romagna, aveva evidentemente lasciato nella mente di Andrea una cicatrice inguaribile, che aveva l’odore di mosto e la consistenza croccante e appiccicosa dell’uva appena colta. Così Andrea si rivolse allo zio Giorgio, titolare della storica “Enologica Balducci” di Faenza, che ben addentro alla realtà vitivinicola della zona. E proprio lui fu il primo a tentare di scoraggiarlo, di ricordargli la fatica della campagna, le difficoltà e i rischi. Ma Andrea è un ragionatore, riflette molto sulle sue scelte, ma quando imbocca una strada non torna indietro.
Lo zio scopre così che il parroco di San Biagio Vecchio, Don Antonio, ormai avanti con l’età, cerca qualcuno cui affidare i suoi vigneti, dei quali da sempre si occupa con perizia e amore. Quando lo va a cercare la prima volta Andrea si reca alla parrocchia, ma non trovandolo chiede alle signore lì presenti. “Il parroco? Vedrà che è in vigna…sta più lì che in Chiesa”.
Quel giorno si conoscono e l’entusiasmo di Andrea apre le porte ad una immediata voglia di collaborare. Il parroco cede inizialmente 3 ettari, e affianca ad Andrea il veterano Mario, operaio di campagna (oggi purtroppo scomparso) che gli ha tramandato le tecniche di vigna e le storie che attorno a quelle vigne si sono dipanate.
Nel frattempo in azienda era entrata anche Lucia Ziniti, compagna di Andrea, lasciando il suo lavoro di maitre sommelier per condividere con Andrea questo progetto tanto folle quanto affascinante. Da allora il progetto è andato crescendo, affittando podere Terbato a maggio 2012, storico appezzamento che vide la conservazione e rinascita del vitigno centesimino, trapiantato dal parroco proprio da lì alla vicina San Biagio Vecchio, dove risiede il primo nucleo della cantina. Sempre in quell’anno scelsero di fare la prima semina di grano gentil rosso, varietà storica locale, a basso contenuto di glutine, s telo altissimo, insomma quelle varietà che l’industria ha dimenticato in favore delle selezioni a spiga grossa e stelo corto.
Ma tutta questa favola nasce attorno ad una morale di ritorno alla natura, alla semplicità e alle cose sane, senza dimenticare la tradizione, quando porta cose buone. Così da subito la scelta di eliminare la chimica in vigna, e così anche nel seminativo, solo trattamenti biologici.
Ed essendo in agricoltura anche qui i problemi non sono mancati, perché anche nelle favole non mancano le difficoltà, in particolare sulla vigna di sangiovese di San Biagio Vecchio, reimpiantata nel 2006 e subito decimata dalla torrida 2007, che non ha avuto pietà delle giovani piantine, ritardando così la rinascita del vigneto.
Nucleo portante dell’azienda per ora sono stati i filari di albana, con piante oltre i trent’anni, e nuovi reimpianti di dieci anni. Vedere quelle vigne è qualcosa di spettacolare, e se capitate in zona non perdetevi la scena dei grappoli con tutte le sfumature dell’oro e dell’ambra, appesi e magari parzialmente attaccati da botrytis, che qui stanno sulle piante per varie settimane da inizio autunno, finché le varie raccolte scalari fatte a mano da Lucia e Andrea non si sono compiute, completando le basi per il celebre SabbiaGialla, per l’Albana Killer (passito) o per il più raro Anforghettabol (passito in anfora).
Proprio SabbiaGialla è quel nome identitario che lega fortemente la Cantina San Biagio Vecchio alle colline di Oriolo, caratterizzate proprio da terreni prevalentemente argillosi con inserzioni di sabbie gialle, morbide e stupende, dove può venire voglia di rilassarsi al sole oltre che ammirare il paesaggio.
Lucia mi ha accompagnato su Monte Tarbato in un tardo pomeriggio d’estate, con il sole che illuminava la torre di Oriolo davanti a noi e proiettava sulle nostre teste le ombre delle grosse querce che dominano il vigneto, dove Andrea stava completando la cimatura. Sì, Andrea era nel campo, perché in questa favola non ci sono capitali di famiglia o sfizi di un imprenditore, c’è il lavoro quotidiano di una famiglia, che in due, con tutti gli sforzi e il continuo entusiasmo del caso, continuano a lavorare questi vigneti, e a vinificare, con quanto appreso nel loro percorso. Una vera azienda familiare, con tanto di una figlia (Livia, di 4 anni) e un altro pargolo in arrivo. Per ricordare che una famiglia non deve essere scusa od ostacolo ai sogni. Basta volere tutto, e avere amore per quel che si fa. E negli occhi di Lucia ed Andrea è proprio questo il messaggio che passa. Andrea è apparentemente timido, ma quando inizia a parlarti del lavoro arriva il momento in cui ti racconta le soddisfazioni dei grappoli, o del vino finalmente pronto, o un aneddoto particolare, e vedi brillargli gli occhi di quella luce speciale di chi ha trovato la felicità. Allo stesso modo Lucia, sempre con un grande sorriso, sempre pronta a mettere in dubbio i propri prodotti, ti regala sempre un momento di gioia. Ed anche se oramai conosco bene i loro vini ad ogni occasione cerco di berli nuovamente, perché ogni volta svelano una sorpresa, una novità.
Parliamo infine dei vini, partendo proprio dal SabbiaGialla 2016, un’annata che a San Biagio ha portato grande siccità e caldo, vendemmia anticipata rispetto al solito, da fine agosto a metà settembre, con tre passaggi, ed un solo giorno di macerazione sulle bucce. Il risultato era per me strepitoso, più snello di altre annate, ma di grande succo agrumato, l’accenno tattile del tannino, florealità ed erbe balsamiche in sottofondo. Bevuta davvero dissetante. Come gioioso e dissetante è il Vino Bianco (2015), da uve trebbiano e malvasia di candia, con due giorni di macerazione, svela profumi intriganti di resine e fiori di erbe aromatiche, con sorso fresco e saporito. Un passpartout per l’allegria.
Prima di passare al sangiovese non si può non citare il centesimino, che proprio sui terreni oggi in mano a questi ragazzi ha visto perpetuarsi le sue sorti. Il Centesimino 2016 è vivo nel fiore e nei profumi netti di lampone, con begli accenti di liquirizia, che tornano soprattutto in chiusura di bocca, dove il tannino fitto toglie qualsiasi illusione di un vino piacione. Il centesimino è ingannevole, coi suoi profumi suadenti, ma poi al palato è asciutto e verace, tra note di resine e frutto, ricco e pronto anche a darsi da fare con piatti di cacciagione.
Il Porcaloca 2016 è stato il loro vino che l’anno scorso mi colpì di più fin dal primo assaggio. Non è un vino immediato, perché si presenta dietro a un velo di riduzione, qualche “puzzetta” che i puristi potrebbero allontanare subito. Ma i puristi farebbero un torto a se stessi e alla propria intelligenza, negandosi la dinamica di bocca impagabile di questo vino. L’anima del sangiovese esce nitida, sanguigno e vibrante, dal tannino vivo ma fine, dal frutto di melograno e rosa canina, tutto un gioco di fiori e frutti rossi.
Per aggiungere colore e dettaglio alla storia, la prima vendemmia di sangiovese in azienda è del 2013, e nel 2014 l’annata fu subito disastrosa, e si salvò solo la parte alta di podere Terbato, che divenne il Porcaloca 2014, con un’etichetta che era un’esclamazione liberatoria per essere riusciti a ottenere comunque un po’ di sangiovese, ed una dedica alle due oche “di famiglia”, che vigilano sul vigneto. Dal 2015 il Porcaloca nasce invece dal vigneto di Podere San Biagio Vecchio, posto tra due boschi, su terreni di argille rosse e sabbie, che affronta meglio le annate calde.
L’ultimo progetto della cantina è proprio la valorizzazione del sangiovese, e ci provano con Oriolo 2015, dalle vigne di Monte Tarbato, (del 2000), che con 15 giorni di macerazione acquisisce già una grande complessità e stratificazione di materia. Ha tannino fitto, saporito, tanti fiori viola e sensazioni di frutti rossi maturi, ciliegia e fragolina su tutti. Gli eventi hanno intralciato l’esperienza sul sangiovese, ma sembra proprio che Lucia ed Andrea stiano prendendo la strada giusta. E finché continueranno a mettere la loro passione ed il loro sorriso dietro a quel che fanno, staremo sicuri di bere cose buone. Buone per la bocca e buone per il cuore.
Buon anno! Per Lucia e Andrea lo sarà di certo, in ogni caso!