Tra gli scenari più o meno apocalittici da cui siamo investiti un giorno sì e l’altro pure, ce n’è uno che la maggior parte della gente continua negligentemente e ostinatamente a ignorare: la situazione dell’apicoltura italiana. Che non è affatto rosea, anzi.
Sono ormai anni che il settore lotta contro difficoltà e problemi di vario genere e gravità. Il cambiamento climatico in atto è solo l’ultimo (per ora) della serie. Secondo un’anagrafe istituita da oltre 10 anni, la Banca Dati Apistica, cui ogni apicoltore è tenuto per legge a registrarsi, al 31 dicembre 2018 c’erano più di 1 milione e 800 mila alveari e oltre 200 mila sciami, per un totale di più di 1.500.000 famiglie di api. Gli apicoltori sono oltre 55.800, e di questi più di 36 mila sono hobbisti (producono per autoconsumo) , mentre gli altri sono professionisti che producono per il mercato, e sono proprietari di circa 1 milione di alveari. Nonostante la produzione di miele italiano sia di elevata qualità, negli ultimi dieci anni ha subito delle grandi fluttuazioni, con numerosi momenti di flessione, cosa che fa sempre male: ai produttori, ai consumatori, al mercato in genere, perché apre spazi che vengono ancor più facilmente colmati da prodotti d’importazione, con prezzi molto più bassi e di qualità spesso dubbia. E’ il caso del miele cinese, che costa un quinto di quello italiano, forse perchè nei vasetti che si vedono al supermercato solo il 30% è vero miele. Il resto è sciroppo.
La denuncia arriva in particolare dalla Toscana, dove le associazioni di categorie reclamano regole più certe per combattere prodotti fasulli, o che hanno ben poco da spartire con quello che per la legge italiana ed europea viene definito “miele”.
Nel 2018, la produzione di miele nell’UE è stata di 283.000 tonnellate. Troppo poche per l’autosufficienza e questo costringe l’UE a importare circa il 40% del miele da paesi terzi, Cina ed Ucraina su tutte. Come spiega un recente rapporto del Copa-Cogeca, sul mercato interno cinese il miele viene venduto ad un prezzo compreso tra 9,02 e 36,09 €/kg, mentre il prezzo all’importazione del miele cinese destinato all’UE è compreso tra 0,90 e 2,71€/kg. Questa differenza di prezzo non può essere spiegata diversamente che da un’aggiunta massiccia di sciroppo di zucchero, che costa tra 0,45 e 0,54 €/kg. Gli esperti ritengono che il volume totale delle importazioni di “miele” cinese sia perciò costituito al 70% da sciroppo e al 30% da miele. Le miscele con un prezzo superiore a 0,99 €/kg (miele molto diluito con sciroppo) non possono essere rilevate attraverso tecniche ufficiali e quelle più sofisticate non rilevano le miscele con un prezzo superiore a 2,17 €/kg (miele poco diluito con sciroppo). Mentre a partire da 3,16 €/kg è molto probabile che nel miele non ci siano più tracce di sciroppo.
Se si sceglie di comprare il miele al supermercato – anziché da un apicoltore di fiducia, cosa sempre auspicabile – sarà perciò opportuno leggere con molta attenzione le scritte piccolissime sull’etichetta (spesso decifrandone la legenda: AB,C si riferiscono a provenienze diverse del prodotto). Si noterà come i vasetti più economici sono quasi sempre una “miscela di mieli UE ed extra UE”.
Problemi di qualità del prodotto (e di trasparenza commerciale) a parte, la situazione delle api dovrebbe stare a cuore anche al mondo del vino, ma finora sono soprattutto i produttori che praticano una viticoltura bio variamente intesa (biologica, biodinamica, sostenibile, ecc.) a cercare di conciliare le loro esigenze agronomiche con quelle delle api (per esempio, evitando lo sfalcio nel sottofila delle vigne quando ci sono le fioriture e le api bottinatrici sono nel bel mezzo del loro lavoro).
Per un produttore di vino, salvaguardare il benessere delle api significa garantire alle proprie viti (compatibilmente con l’annata) una migliore qualità di uva : le api sono fondamentali, non solo per l’impollinazione, ma anche quando i grappoli sono già maturi. Nel caso di qualche rottura di acino infatti, i succhi zuccherini che fuoriescono possono essere facilmente attaccati da microrganismi, con il rischio di estendere l’infezione anche agli acini sani, mentre se qualche ape è nei paraggi pensa lei ad asciugarli con la sua piccola ligula, aiutando a limitare le marcescenze. Forse Einstein non ha mai detto che “se le api scomparissero dalla faccia della terra, alla specie umana non resterebbero che quattro anni di vita”, ma a prescindere da chi ha pronunciato questa frase, chi ha il coraggio di dimostrare che si sbaglia?