Il piano di rilancio di Sartori dopo il riassestamento azionario e strategico di un paio di anni fa comincia a dare i suoi frutti e lo si vede nei dati 2021: le vendite sono tornate a crescere (+3%) a fronte di una riduzione piuttosto corposa dei volumi (da 21.4 a 19.9 milioni di bottiglie) destinata a continuare nel 2022 più che compensata dal mix delle vendite che si sposta verso vini più pregiati (soprattutto rossi della Valpolicella). L’obiettivo del piano delineato nel bilancio 2020 di tornare ai picchi di fatturato del passato (con margini migliori) è scritto nel bilancio quando si parla di budget (a proposito: complimenti, una delle poche aziende vinicole italiane che ha una relazione degli amministratori come si deve): 51.7 milioni di fatturato previsti, +4% sul 2021 con -6% in volume e +11% in prezzo-mix. Il dato è molto vicino al livello del 2018 di 52.6 milioni di euro.
Tornando ai numeri del 2021 e al piano di rilancio, il “buono” sta nell’andamento molto positivo delle vendite domestiche, +18% a 18 milioni di euro (GDO +13%), mentre le vendite estere stentano ancora, in calo del 4% a 30 milioni di euro. A determinare parte del calo è la decisione dell’azienda di abbandonare alcuni contratti private lable nel mercato inglese (-14% 2021), ma anche la fase di transizione del mercato americano (-4%) dopo il cambio di distribuzione e alcuni altri mercati in calo marcato (Belgio -18% e Irlanda -8%). Secondo gli amministratori, le vendite a marchio proprio rappresentano circa 30 milioni dei 49 milioni totali.
Il cambio di pelle di Sartori si vede bene nel conto economico, dove lo sforzo sul miglioramento del mix e sul rilancio dell’azienda si vedono rispettivamente nella minore incidenza degli acquisti, tornati al 70% del fatturato, e del balzo dei costi del personale, +16% passando dal 7% all’8% del fatturato. Mettendo tutto insieme, l’EBITDA sale dal 4.3% al 5.7% del fatturato, da 2 a 2.8 milioni, mentre l’utile operativo subisce l’effetto degli ammortamenti derivati dalle rivalutazioni di bilancio del 2020 e quindi perde un po’ di slancio rispetto all’EBITDA, passando da 1.5 a 1.8 milioni di euro. L’utile netto di 1.1 milioni di euro contro 0.9 milioni del 2020 vede poi un leggero incremento degli oneri finanziari e dell’aliquota fiscale.
La parte finanziaria vede un marcato miglioramento, con un debito che scende da 18 a 15 milioni di euro circa, dopo la spinta causata dal riassetto azionario del 2020. A contribuire a tale miglioramento sono certamente il controllo del capitale circolante (grafico allegato) e il taglio degli investimenti (solo 200mila euro contro 1 milione del 2020). Gli azionisti hanno prelevato 0.8 milioni di euro di dividendi.
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