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    Lunelli (Ferrari)– risultati e analisi di bilancio 2022

    Lunelli ha passato la soglia di 150 milioni di fatturato nel 2022, mettendo a segno una crescita del 14%. Ciò è avvenuto sia grazie costante crescita degli spumanti Ferrari (+7%, soprattutto all’estero) ma, buona notizia, anche grazie al rinnovato vigore di Bisol dopo anni di lavoro (+26%) e agli ottimi risultati nel segmento delle bevande analcoliche (Tassoni è stata per la prima volta consolidata per tutti i 12 mesi). L’aumento dei costi (tra cui un +20% per il costo del personale dovuto al perimetro, immaginiamo) e l’assenza dei ricchi proventi finanziari registrati nel 2021 hanno determinato un utile netto inferiore a quello dello scorso anno (15 milioni contro 20). Se però “tirassimo fuori” le componenti finanziarie non operative (Lunelli investe in un portafoglio di aziende quotate), arriveremmo a un utile netto almeno corrispondente a quello del 2021. Dal punto di vista finanziario, l’indebitamento scende da 34 a 30 milioni circa, dopo aver però pagato 5 milioni di dividendi. Per quanto riguarda il 2023, il tono della relazione degli amministratori è prudente visto il contesto macroeconomico e le risultanze dei primi mesi del 2023, con un primo trimestre con fatturato in calo (non specificato quanto). Passiamo a un’analisi dei dati più approfondita.

    Ferrari ha chiuso il 2022 con un incremento delle vendite del 7% a 103 milioni, che sarebbe potuto essere più significativo se non fosse che… sono finite le bottiglie da vendere. Infatti i volumi sono cresciuti di meno del 3%, da 6.8 a 7 milioni di bottiglie. Come si dice nella relazione, il 2022 è stato l’anno di svolta nei mercati esteri con +34% di volume e +43% di fatturato, con gli USA mercato principale. In Italia sono andate bene le vendite nella ristorazione, mentre nel canale della GDO, pur mantenendo una posizione di leadership (7.1% quota di mercato), le vendite dovrebbero essere calate.
    Bisol ha chiuso il 2022 con un fatturato in crescita del 26% a circa 29 milioni di euro e ha ulteriormente migliorato l’EBITDA portandolo a 2.1 milioni di euro (1.5 nel 2021), il che ha consentito di chiudere il 2022 con un piccolo utile netto.
    Alcune delle altre divisioni del gruppo sono cresciute ancora più velocemente: per Surgiva il fatturato è cresciuto del 36%, per Tassoni +18% (ma con un contributo più importante per il periodo di consolidamento). In totale le “altre” attività chiudono a 22 milioni di fatturato per un incremento del 45%.
    Se guardiamo ai dati consolidati l’esposizione estera di Lunelli sale dal 17% al 19% delle vendite, per un valore di 30 milioni di euro.
    A livello operativo l’EBITDA è stabile a 29 milioni, dunque con una diluizione dal 22% al 19% del margine, anche se sono intervenute alcune poste straordinarie, senza le quali avrebbe raggiunto 31 milioni. Con la rivalutazione dei marchi e l’incrementato ammortamento l’utile operativo già dal 2021 rimane “più depresso” che in passato, stabile a circa 13 milioni. Abbiamo detto sopra dell’utile netto.
    Il bilancio resta molto solido. Ai 30 milioni di debito di cui sopra si contrappongono 104 milioni di euro in partecipazioni in imprese collegate, di cui 27 milioni sono in imprese perlopiù quotate in borsa. LEGGI TUTTO

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    I numeri della viticoltura biologica in Italia – aggiornamento 2022

    Le superfici bio certificate in Italia sono rimaste stabili nel 2022 a circa 104mila ettari, mentre sono scresciute significativamente quelle in conversione, da 25mila a 32 mila ettari. Questi sono i principali dati forniti bel rapporto “Sana” pubblicato da Sinab, e che trovate anche in prospettiva storica e scaricabile nella sezione Solonumeri del blog. Il potenziale e la domanda di questi prodotti resta alta, anche se il 2022 è il primo anno in cui non si assiste a una crescita. Ora, non abbiamo accesso ai dati spaccati per convertito/in conversione però è chiaro che il dato “fuori linea” è quello della Toscana dove il dato cala di 2400 ettari, -10% circa. Per quanto riguarda invece il resto d’Italia, con qualche eccezione (Lazio e Piemonte) i dati sono alla peggio stabii, ma per la maggior parte positivi. In termini relativi spicca il +19% del Friuli Venezia Giulia (che però resta una delle regioni con meno vitigno bio in termini relativi) e il +20/22 di Sicilia e Trentino Alto Adige. Proprio in Sicilia troviamo la maggior penetrazione del vitigno bio: il 49% circa della superficie vitata, contro il 23% per il totale italiano. Passiamo a un’analisi più dettagliata.

    La superficie totale bio è aumentata di 7540 ha tra il 2021 e il 2022, passando da 128127 ha a 135667 ha, ossia +6%. La superficie effettiva bio è invece rimasta pressoché invariata, con una lieve crescita di 268 ha (+0.3%). Quindi tutto l’incremento si deve alla superficie in conversione bio ha registrato un aumento di 7271 ha (+29.6%) riportantdosi sopra quota 30mila ettari dopo tre anni (2019-20-21) tra i 23-25mila ettari.
    Tra le regioni, la Sicilia ha avuto il più grande incremento assoluto, con 6332 ha in più rispetto al 2021 (+20%). La Sicilia è anche la regione con la maggiore superficie bio in valore assoluto, con 37650 ha nel 2022, pari al 28% del totale nazionale e a quasi il 50% della superficie regionale.
    Per rilevanza, le superfici bio sono poi dislocate in Toscana, 23mila ettari ma in calo del 9% sul 2021 (quando però fece un balzo molto importante). I vitigni bio sono comunque il 40% del totale regionale e a livello italiano rappresentano una quota del 17%.
    La terza regione per rilevanza è la Puglia con 19300 ettari, in crescita del 6% ma con una penetrazione decisamente più bassa delle due regioni precedenti, circa il 27%.

    Vi lascio ai grafici e tabelle.

    Se siete arrivati fin qui……ho un piccolo favore da chiedervi. Sempre più persone leggono “I Numeri del Vino”, che pubblica da oltre dieci anni tre analisi ogni settimana sul mondo del vino senza limitazioni o abbonamenti. La pubblicità e le sponsorizzazioni servono per aiutare una missione laica in Perù. Per fare in modo che questo lavoro continui e resti integralmente accessibile, ti chiedo un piccolo aiuto, semplicemente prestando da dovuta attenzione con una visita alle inserzioni e alle sponsorizzazioni presenti nella testata e nella sezione laterale del blog. Grazie. Marco LEGGI TUTTO

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    Investire in vino – analisi dei rendimenti del Sassicaia nel tempo

    Fonte: CellarTracker e CruWorldWine
    Articolo co-pubblicato sulla piattaforma Liquinvex
    Analizziamo oggi i dati relativi al Sassicaia degli ultimi anni utilizzando due fonti gratuite sul valore dei vini: Cellartracker, dove potete trovare il prezzo medio di acquisto e il valore delle aste delle varie annate, e quelli di Cru World Wine, che offre una fonte alternativa di valutazione (coerente ma non esattamente allineata a Cellartracker) e anche il giudizio delle annate dalle guide.
    Bene, da questi dati possiamo fare qualche analisi e trarre qualche conclusione. Innanzitutto, direi che quando consideriamo i giudizi delle guide, come per esempio “96” dovremmo probabilmente partire da 80, visto che sotto 80 si definisce di solito un vino che ha dei difetti e non vale nemmeno la pena di essere considerato. Quindi un 96 tradotto nei buoni vecchi voti della pagella è assimilabile a un 8, ossia (96-80)/2. Adottando questo metodo con i dati di CWW, troviamo la valutazione delle annate di Sassicaia come segue. Una annata insufficiente, il 2002, qualcuna poco sopra la sufficienza (2003, 2005, 2007, 2014) e poi tutte annate sopra il 7. Guardando il grafico viene da pensare che i giudizi delle guide siano stati con il tempo più benevoli, ma forse il secondo decennio del secolo è stato migliore del primo. Non ho bevuto abbastanza Sassicaia per dirlo (purtroppo).
    Proseguiamo nel resto del post…

    Possiamo poi cercare di capire se si sono mai persi soldi a comprare il Sassicaia. Secondo i dati di Cellartracker non esiste un singolo anno in cui il valore attuale della bottiglia è sotto il prezzo medio di acquisto. Ora, anche qui bisogna fare due considerazioni: più passa il tempo più il vino dovrebbe valere, almeno fino a un certo punto. Secondo: il prezzo medio di acquisto delle bottiglie non riflette quello di quando il vino è stato rilasciato ma è una media degli acquisti nel tempo. Quindi, risultato: come vedete dalla tabella (che parte da molto lontano, 1985) il “guadagno” in valore assoluto tende ad essere maggiore nelle annate passate che in quelle attuali. Giusto direi. Però se ho comprato un 1986 al prezzo medio di acquisto, diciamo due anni dopo l’annata di produzione, e l’ho tenuto per 35 anni… fare +32% significa annualizzato fare circa l’1% annuo. Quindi se “annualizziamo” tutti questi dati, abbiamo un quadro dove i rendimenti sugli anni passati sono nell’ordine del 3% (medio), mentre salgono nelle annate recenti in quanto a fronte di buoni guadagni rispetto al prezzo medio di acquisto.

    Terza analisi: esiste una correlazione tra il valore e il giudizio delle guide? Beh, mettendo a confronto questi rendimenti annui una piccola correlazione si trova anche se gli esperti mi metterebbero a tacere, perché “non statisticamente significativa”. Ad ogni modo vero è che le due annate migliori di sempre (2016 e 2019) sono quelle con il rendimento annuo più elevato, anche per le ragioni di cui sopra. Se però invece del rendimento ponderato per il tempo mettete semplicemente la differenza tra i valori di acquisto e di mercato, allora il grafico cambia direzione e questo vi dice che il valore del tempo è importante almeno tanto quanto l’annata.
    Quale è dunque la lezione che traiamo da tutti questi dati? Prima lezione. Se i prezzi di acquisto sono quelli di Cellartracker (e sono medie), a comprare il Sassicaia nessuno ha buttato via i soldi (men che meno se lo ha bevuto probabilmente!!!). Seconda lezione. Esiste un valore “del tempo” nella rivalutazione dei vini ma non sembra più forte di quello del giudizio dell’annata. Quindi comprare grandi annate e tenerle per qualche anno sembrerebbe la ricetta giusta. Terza lezione… che cosa posso dirvi, secondo me i vini restano delle bevande, quindi da bere…

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    Esportazioni di spumante Italia – aggiornamento primo semestre 2023

    I dati semestrali delle esportazioni di spumante restano positivi, anche se in graduale rallentamento. Come abbiamo già visto nel post precedente sul dato totale, le fonti di questo rallentamento sono chiaramente localizzate nel mercato nordamericano (qui rappresentato dagli Stati Uniti). Il Prosecco continua a guidare la categoria, anche se non la “spinge più”, a fronte di un deciso calo dei volumi esportati (-6% nel semestre) compensato da un incremento del 10% circa del prezzo medio di esportazione.
    Nel post trovate anche i dati relativi all’Asti, sempre più legato ai paesi dell’Europa dell’Est e alla Russia e degli spumanti DOP, che non mostrano segni di sviluppo. Ovviamente per gli spumanti il primo semestre è un periodo interlocutorio, nell’attesa della stagione “chiave” dell’autunno. Per darvi un’idea, il secondo semestre è il 55% delle esportazioni annue, vale a dire che vale il 20-25% in più del primo semestre. Passiamo a una breve analisi dei dati.

    Le esportazioni di spumante toccano quota 1009 milioni nel primo semestre 2023, +3.3%, nonostante un calo dei volumi esportati del 4% circa a 3 milioni di ettolitri.
    Grazie al forte incremento registrato nel secondo semestre 2022 (che sarà un problema probabilmente nei mesi a venire…), il ritmo di crescita annuo è ancora piuttosto positivo a +9% per un valore, nei 12 mesi terminati a giugno 2023, di 2200 milioni di euro.
    Guardando alle categorie, il Prosecco è ormai il 75% circa del totale. È quindi ovvio che i tassi di crescita del Prosecco siano molto vicini a quelli totali, visto che ne rappresentano la maggior parte.
    Il primo semestre 2023 si caratterizza per il forte indebolimento del mercato americano, -9% nei 6 mesi, e di un certo indebolimento del Regno Unito, -4%, che però era stato un problema già prima del 2023. Sono da notare l’andamento ancora positivo del mercato tedesco, in crescita del 9% nel semestre e di quello francese, +22%, ormai diventato il quarto mercato di esportazione per gli spumanti italiani.
    Anche per i vini spumanti, vi invito a seguire con attenzione lo sviluppo nei mercati dell’Est Europeo. La Polonia e la Lettonia compaiono ormai nella “top 10” dei mercati, oltre alla Russia che è tornata in forte crescita nonostante i problemi geopolitici.
    Nel post trovate anche i dati sull’Asti spumante, che ha registrato un buon semestre a +8% per 67 milioni (quindi meno di un decimo rispetto al Prosecco), mentre sono in calo del 7% circa gli altri spumanti DOP, che fanno obiettivamente fatica a imporsi sui mercati internazionali, vivendo più da vicino della concorrenza dei prodotti di qualità francesi. LEGGI TUTTO

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    Esportazioni di vino Italia – aggiornamento primo semestre 2023

    Il primo semestre ha dunque chiuso in pari: le esportazioni di vino di 3.7 miliardi sono solo qualche milione sotto l’anno scorso. Il dato si può abbastanza agevolmente spaccare in due sotto diversi aspetti. Il primo trimestre è stato “buono”, con un incremento del 3.5-4%, il secondo trimestre ha specchiato al contrario il primo, con un calo molto vicino al 4%. Se guardiamo ai mercati, troviamo la medesima divaricazione: Nord America molto male, con gli USA a -7% e il Canada a -16%, contro l’Europa che è stata leggermente positiva con qualche bagliore (Francia e Russia sono molto evidenti nella tabella). Se guardiamo infine ai prodotti, senza particolari sorprese abbiamo una leggera crescita dei vini spumanti (+3%) e un leggero calo dei vini fermi in bottiglia (-2%), anche se i dati degli spumanti sono in graduale deterioramento (-3% in giugno preso singolarmente). Sebbene i dati non siano positivi, non per questo il quadro è negativo. L’export di vino italiano viene da un “post Covid” eccellente, dove i nostri prodotti hanno guadagnato quote di mercato globalmente. Volendosi lamentare, forse si potrebbe dire che, sempre in termini relativi, la Francia ha fatto meglio di noi, ma tutti questi confronti sono sempre influenzati da dove si comincia l’analisi. Guardiamo dunque i dati insieme, ricordandovi che tra un paio di giorni ci sarà l’approfondimento sui vini spumanti.

    3767 milioni di euro e 10.39 milioni di ettolitri, -0.4% e -1.5% sono i grandi numeri dell’export italiano del primo semestre 2023.
    Per categoria i vini in bottiglia calano dell’1.9% a 2530 milioni, i vini sfusi sono stabili (+0.8%) a 227 milioni e i vini spumanti sono in crescita del 3.3% a 1009 milioni di euro.
    Per quanto riguarda i volumi, i vini fermi calano del 4% a 5.86 milioni di ettolitri, gli sfusi crescono del 9% a 2.23 milioni di ettolitri, mentre gli spumanti scendono del 4.1% a 2.29 milioni di ettolitri.
    Le tabelle che trovate nel resto del post dettagliano l’andamento per mercato delle diverse categorie e un tabellone finale dove potete vedere l’andamento per mercato degli “ultimi 12 mesi terminanti a giugno”. Da questa tabella si evince ancora di più quello che vedete nel grafico qui sopra, cioè lo “stallo” dei grandi mercati e lo sviluppo che nel complesso sta avvenendo nei mercati minori. Fuori dalla top 5 trovate subito la Francia, ormai una realtà da oltre 300 milioni annui e in crescita del 19%, il recupero della Russia che ormai sfiora 200 milioni di euro e l’interessante andamento nei paesi dell’Europa dell’Est, con la Polonia (116 milioni) per dirne una che è superiore alla Cina, sempre al centro dell’attenzione.
    Vi lascio alla consultazione dei dati.

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    Trentino Alto Adige – produzione di vino 2022 – dati ISTAT

    Oggi analizziamo la produzione di vino del Trentino Alto Adige, confrontandola con i dati nazionali. Come ben sapete, si tratta di una regione che si distingue per la forte esposizione ai vini di qualità, che anche nel 2022 ha rappresentato quasi l’85% dei 1.3 milioni di ettolitri di vino prodotti, uno dei dati più elevati degli ultimi anni, secondo la rilevazione ISTAT. Tale dato è molto vicino al dato riportato dal MIPAAF di 1.29 milioni di ettolitri. (come forse sapete abbiamo due enti che pubblicano la produzione di vino italiana, ISTAT e MIPAAF, che nonostante diversi inviti da parte mia non si parlano. MIPAAF non pubblica dati di dettaglio). Passiamo ad analizzare i dettagli.

    La produzione di vino è stata di 1.32 milioni di ettolitri nel 2022, con un aumento del 18% rispetto al 2021. Questa crescita è stata superiore alla media nazionale, che è stata del 6%. Ugualmente, la produzione regionale è stata del 12% superiore alla media del periodo 2012-2021 (1.18 milioni di ettolitri).
    La produzione di vino bianco ha rappresentato il 73% della produzione (leggermente sopra il dato decennale del 70%) per un volume di quasi 1 milione di ettolitri, a sua volta circa il 3% di tutto il vino bianco italiano. In prospettiva storica è il vino bianco a rappresentare la maggior produzione, essendo sopra del 17% rispetto al 2012-21, mentre per i vini rossi si riscontra un dato stabile contro la media, per un volume di 355mila ettolitri.
    La produzione di vino DOC nel Trentino Alto Adige ha costituito l’84% della produzione totale nel 2022 (contro il 45% in Italia), mentre quella di vino IGT il 15% (26% in Italia). Entrambe le qualità hanno avuto un incremento rispetto al 2021, ma il vino DOC ha avuto una crescita maggiore del vino IGT (18% contro 16%). I vini da tavola sono essenzialmente “assenti” in regione, rappresentando soltanto l’1% della produzione.
    La regione ha una superficie vitata stabile intorno a 15300mila ettari, suddivisa tra le province di Trento (9600) e Bolzano (5700). Applicata alla produzione di uva di circa 1.8 milioni di quintali arriviamo a una resa di 122 quintali per ettaro, leggermente superiore al dato italiano.
    Vi lascio alla consultazione delle tabelle.

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    Toscana – produzione di vino e superfici vitate 2022 – dati ISTAT

    Mentre si rincorrono le stime sulla produzione vinicola 2023, prevista in significativo calo (da livelli molto elevati degli ultimi anni), continuiamo il nostro viaggio tra le regioni italiane più significative (e per le quali i dati ISTAT e MIPAAF sono compatibili) parlando della Toscana. Come per il Piemonte, la Toscana rappresenta soltanto il 4-5% della produzione di vino italiana, ma ha una forte connotazione alla qualità (65% circa DOC, 25% IGT e solo 10% vino comune) e ai vini rossi (85% circa), questi ultimi da molti considerati un posto “dove non stare” nei prossimi anni. I dati 2022 mostrano un recupero della produzione rispetto al 2021 (+12%), con un dato comunque leggermente inferiore alla media decennale. A livello provinciale nel 2022 si rileva un andamento migliore per la provincia di Firenze che non per la provincia di Siena (+14% contro +5% rispettivamente). A titolo informativo, il dato rilevato dal MIPAAF è di 2.34 milioni di ettolitri, quindi del 4% circa inferiore a quello ISTAT, e la variazione sul 2021 è del 14% secondo MIPAAF rispetto al +12% rilevato da ISTAT. Passiamo a un’analisi più dettagliata.

    La produzione di vino in Toscana è aumentata del 12% tra il 2021 e il 2022, passando da 2.19 a 2.44 milioni di ettolitri. Questa crescita è stata superiore alla media nazionale, che è stata del 6%. Tuttavia, la produzione toscana è rimasta inferiore alla media del decennio precedente (2,529 mila ettolitri, -4%).

    La produzione di vino rosso ha rappresentato il 78% del totale nel 2022 e l’andamento rispetto ai dati storici è coerente con il -4% di sopra. Entrambe le tipologie hanno registrato un aumento rispetto al 2021, ma il vino bianco ha avuto una crescita maggiore (18% contro 11%).
    La produzione di vino DOC in Toscana è nel 2022 il 64% del totale a 1.56 milioni di ettolitri, con un incremento del 6% sul 2021 ma del 6% circa sotto il dato decennale. Il vino IGT è stato il 26% del totale (+21% a 642mila ettolitri), in linea con il dato decennale. ISTAT dunque calcola che sia stato il vino comune a crescere di più nel 2022, +27% e +8% sulla media decennale, per un totale di 240mila ettolitri.
    Un occhio alle sottocategorie colore/categoria ci fornisce un’indicazione aggiuntiva: sono stati i vini bianchi DOC (-5%) a frenare la categoria, mentre i DOC rossi, ben più rappresentativi, sono cresciuti del 7% e sono stati soltanto il 2% sotto la media storica. Il contrario succede nella categoria degli IGT dove i bianchi sono cresciuti molto di più sia sul 2021 (+29% contro +19%) che in prospettiva storica (+42% contro -7%), forse a indicare uno spostamento dei bianchi da DOC a IGT.
    Infine, trovate i dati provinciali, dominati dalle province di Firenze e Siena, che insieme rappresentano il 60% della superficie vitata toscana.
    Buona consultazione!

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    Concha y Toro – risultati primo semestre 2023

    La combinazione del mercato americano in rallentamento e dell’aumento dei costi delle materie prime e dell’inflazione in generale ha avuto un impatto eccezionalmente negativo sui dati di Concha y Toro del primo semestre 2023, anche perché gli investimenti in marketing non si sono fermati. Le vendite sono scese del 9% a 365 miliardi di peso ma sono soprattutto gli utili ad avere sofferto, tornati a un livello tanto basso che non si vedeva da 10 anni a questa parte. Un numero su tutti: l’utile netto è passato da 41 miliardi dello scorso anno a 9.5 miliardi dei primi 6 mesi 2023. A soffrirne è poi la struttura finanziaria, con il debito che risale a 3.6 volte l’EBITDA da 2.4 di fine 2022. C’era da prevederlo, anche perché un andamento simile (anche se meno negativo) si era già visto nel secondo semestre 2022, quando l’utile netto era calato del 25% circa. L’azienda ha continuato a investire e nei suoi commenti scrive che si attende una “significativa accelerazione” nelle vendite durante il secondo semestre, supportata dagli investimenti nel marchio e nella capacità distributiva, che non sono mai stati tagliati. E proprio questa dichiarazione ha aiutato le azioni in borsa, salite di oltre il 10% nei giorni dell’annuncio. Il 26-08, data in cui scrivo, il valore in borsa di Concha y Toro è di circa 900 milioni di euro. Passiamo a qualche numero.

    Le vendite semestrali di 365 miliardi sono calate del 9%, soprattutto a causa del -17% nel mercato americano (53 miliardi) ma anche della debolezza delle esportazioni (-9.4% a 240 miliardi), mentre le vendite in Cile sono rimaste stabili.
    I margini hanno sofferto molto, come vedete dai grafici. A livello industriale il gross margin è sceso dal 39% al 36%, e il gap si è allargato in modo ancora più evidente sotto, a livello operativo, visto l’impatto dei costi fissi (ammortamenti, spese generali – queste ultime in crescita del 5% con il costo del personale a +9%) e degli investimenti in marketing (+10% nonostante il calo delle vendite). L’utile operativo scende da 49 a 19 miliardi, per un margine che passa dal 12% al 5% del fatturato. Come abbiamo già commentato sopra l’utile netto scende ancora di più colpito anche dai maggiori oneri finanziari sul maggiore debito e con tassi di interesse più elevati.
    A livello finanziario assistiamo a un incremento del debito sia a livello assoluto (da 322 a 375 miliardi di peso) che relativo (da 2.4 a 3.6 volte le vendite).

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