Conosciamo meglio la signora Nadia, che si occupa delle relazioni esterne e dell’ambito commerciale dell’attività, è laureata in giurisprudenza e ha sempre avuto la passione per il vino. E’ anche Vicepresidente Nazionale dell’Associazione Italiana Le Donne del Vino; è Presidente Nazionale di YPO (Young Presidents’ Organization), un network internazionale che nasce negli USA nel 1950 e raggruppa in 125 paesi oltre 22000 imprenditori e manager con l’obiettivo di condividere idee ed esperienze e di raggiungere più alti obiettivi di crescita sia umana che professionale.
Dicono che Lei sia una eclettica per natura, desiderosa di affrontare sempre nuove sfide e di mettersi in gioco: si riconosce in queste definizioni?
“La vita è bella”. Tutto ciò che faccio, lo vivo sempre con grande entusiasmo. Amo le sfide e cerco sempre nuovi stimoli, che nascono dalla passione, dalla convinzione di non dare mai niente per scontato, dalla volontà di guardare sempre avanti, pur mantenendo i piedi ben piantati nelle nostre radici. Cerco di mantenere un costruttivo equilibrio fra le cose che faccio e quelle, molto più numerose, che penso! Il mio impegno è sempre stato quello di promuovere la cultura del vino, di comunicarla e diffonderla in un modo diverso, con quel particolare spirito di squadra e quel tocco femminile che ci accomuna, con quella passione ed attenzione al dettaglio che sa trasferire ad un prodotto anche tutto un mondo fatto di valori ed emozioni. Oggi sono soddisfatta ed orgogliosa di quello che abbiamo creato. E tutto ciò è di stimolo per fare sempre meglio e per rendere Zenato sempre più un marchio d’eccellenza del Made in Italy.
Qual è il ricordo più bello di suo padre Sergio?
Per me mio padre è stato un grande maestro di vita e sono fiera di essere “figlia d’arte”. Mio padre è sempre stato un visionario, attento a ciò che la natura vuole esprimere con i suoi frutti, la sua terra e il suo grande territorio, quello della Lugana, dove sono nata, e della Valpolicella, dove un sogno è diventato realtà! Ho tanti ricordi belli di mio padre, prima di tutto quando mi interrogava mentre preparavo le mie lezioni per la scuola. Crescendo, ciò che ancora vive nei miei ricordi è di quando passeggiavamo nei filari della vigna e c’era sempre un racconto nuovo, di come si confrontava nell’assaggiare e preparare i nuovi blend dei vini.
Avete da poco festeggiato i cinquant’anni della DOC Trebbiano di Lugana: come si è evoluta in questi anni e quali sono le prospettive future?
Oggi viviamo in un periodo d’oro per il Lugana, ma nei primissimi anni ’60 il Trebbiano di Lugana era un vitigno usato per lo più per produrre un vino da tavola. Mio padre Sergio comprese fin da subito le straordinarie potenzialità di questo vino, ci ha creduto e investito, contribuendo alla creazione della DOC nel 1967 (una tra le prime DOC in Italia) e rendendolo un grande bianco conosciuto in tutto il mondo. Con orgoglio possiamo dire di aver contribuito a costruire e valorizzare questa denominazione e a promuoverla nel mondo, da Centro e Nord Europa, agli Stati Uniti e Canada, dalla Russia (dove nonostante la crisi che ha investito il Paese, il Lugana è sempre stato un vino di successo e in crescita), alla Cina dove, trainati dai nostri rossi stiamo inserendo anche il Lugana, in particolare il Lugana Riserva Sergio Zenato.
Cura maniacale delle fasi della produzione con particolare attenzione ai vitigni autoctoni. Quali vitigni avete rivalutato in questi ultimi anni?
Abbiamo da sempre dedicato una grande attenzione sia al lavoro in vigna sia a quello in cantina, e, consapevoli delle potenzialità del nostro terroir, siamo fortemente convinti dell’importanza di investire in ricerca e innovazione. Dallo studio commissionato alla Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige è emerso per esempio che il Trebbiamo di Lugana possiede alla maturazione un contenuto elevato di glutatione, un importante antiossidante naturale, e ha indicato il miglior processo per valorizzarlo e portarlo intatto al vino. Quest’anno abbiamo raccolto i primi risultati di un secondo studio, anch’esso triennale e sempre svolto dalla Fondazione Mach, sulle uve Corvina della Tenuta Costalunga. Uno studio che ha dimostrato il valore fondamentale della comunità microbica nella definizione della qualità e tipicità dell’Amarone, dimostrando che i microrganismi che ritroviamo nel vino appartengono a un luogo, geograficamente e climaticamente ben determinato. Un risultato che porta alla nuova consapevolezza che difendere il microbiota delle uve diviene la prossima frontiera dell’appartenenza di un prodotto a un territorio”. Nella tenuta Costalunga, 35 ettari di terreno a 300 metri sul livello del mare, coltiviamo infatti le varietà Corvina, Rondinella e Oseleta, alla base di un vino di grande tradizione e notorietà come l’Amarone. E in particolare, alla Corvina, vinificata in purezza, abbiamo dedicato un’etichetta, il Cresasso.
Quale vino è più legato ai ricordi della sua infanzia?
Io sono donna di “vino rosso” e il mio vino è il Ripassa, un Valpolicella Superiore ripassato sulla vinacce dell’Amarone, che nella nostra azienda ha un nome al femminile.
La Sansonina è un’azienda che lei ha voluto fortemente far nascere, in cosa si differenzia dall’azienda Zenato?
La Sansonina è il progetto al femminile di noi donne Zenato, mamma e figlia. Se con Zenato abbiamo valorizzato i vitigni autoctoni, con La Sansonina la sfida è sui vitigni internazionali, dove abbiamo creato un vino rosso in terra di bianchi. E’ nato così il Sansonina, un vino rosso del Garda, prodotto riportando in vita, attraverso un accurato intervento, un antico vigneto di merlot. Hanno preso, poi, vita il Lugana e due nuove etichette, di cui andiamo molto fiere: Evaluna, un Garda DOC Cabernet, e Vigna del Moraro Verde, un Lugana a fermentazione spontanea.In Sansonina ci abbiamo messo tutte noi stesse: un vino che ci rappresenta, con radici ben piantate nel territorio e nelle conoscenze consolidate, ma con la spinta a osare, a sperimentare; un luogo che richiama e sollecita il bello, il senso estetico e l’arte.
Come vive il periodo della vendemmia? Partecipa alla raccolta, ha dei suoi riti scaramantici?
La vite rappresenta le nostre radici, l’origine da cui tutto prende vita. Il lavoro in vigna è legato ad un rituale antico, familiare, fatto di passeggiate sull’erba, profumi, colori, emozioni. E’ rispetto nei confronti dei tempi della natura, ascolto, contatto diretto con la terra che alimenta la passione e infonde energia. E la vendemmia è il vero momento magico, quando la vite è nel massimo splendore, quando ti sta donando i suoi frutti e tu devi capire che quello è il momento giusto per accoglierli. E così mi ritrovo a passeggiare per la vigna, parlando alle viti!
Un’altra sua passione, oltre al vino, è quella per i gioielli, ha infatti creato la Nadia Zenato Jewelry. Ci sveli come riesce a gestire queste attività, quali doti sono necessarie?
Il vino è sempre stato nel mio DNA ed è ciò che tutti i giorni mi dà l’energia per intraprendere sempre nuove sfide. I gioielli sono stati una mia passione fin da bambina e non vi ho rinunciato! Così è nata la mia collezione di gioielli ispirati al mondo del vino, Nadia Zenato Jewelry. Ma i gioielli sono anche diventati una sorta di comunicazione, sui generis, dello stesso vino, sono diventati parte di una visione strategica aziendale.
Cosa vuole che le auguri?
Di non smettere mai di sognare e di prefissarmi sempre nuovi obbiettivi!