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L’aria limpida e dolce delle colline di Breganze

I vigneti di Contrà Soarda

L’essenza del viaggio stampa a Breganze per la Prima del Torcolato è racchiusa nel tinello della casa -cantina di Firmino Miotti. Sua moglie Pina ha preparato per cena una minestra di fagioli, cotechino e polenta, naturalmente prima di iniziare, come nella migliore tradizione vicentina, Franca, figlia di Firmino e cantiniera di famiglia, ha tirato fuori dal cilindro una sopressa con i fiocchi.  Ad accompagnare questo cibo antico, ma senza tempo, gli autoctoni dimenticati: groppello, gruaio, pedevendo, marzemina bianca. I vignaioli, a turno, con una sorta di timida fierezza parlano del loro vino, la storia della loro famiglia. Grazie anche ai racconti di Firmino veniamo proiettati in un mondo arcaico, che sembrerebbe rimasto intatto se non fosse per qualche sguardo a quel maledetto smartphone, feticcio ingombrante che ti riporta alla realtà. Quel paio di ore passate a casa di Firmino resteranno indimenticabili, proprio perché raccontano la storia di tutti, indigeni e forestieri, raccontano del nostro passato, di una cultura contadina con la sua sacralità, i suoi miti, che sono una sorta di patrimonio genetico che non dobbiamo disperdere mai, per nulla al mondo, pena l’estinzione. Certo il luogo Breganze aiuta a immedesimarsi, mantiene ancora intatto il suo paesaggio rurale, dolci colline e declivi e vigneti, dove il ritmo può essere ancora lento, un luogo dell’anima.

Il Territorio in breve

Breganze si estende in una striscia di terra collinare, venti chilometri in tutto, fra i fiumi Astico e Brenta. Un paesaggio che, nonostante l’urbanizzazione, ha salvato le splendide Ville Venete e incantevoli borghi come Bassano del Grappa, Schio, Thiene, Marostica. Breganze è famosa per le sue numerose Colombare (torri colombaie), costruzioni tipiche del paesaggio rurale fin dal medioevo, legate in particolare ai regimi feudali, che si servivano dell’allevamento dei columbidi per diversi scopi, dall’impiego in agricoltura alla difesa. Senza dimenticare, ovviamente, i prodotti dell’enogastronomia del territorio riconosciuti a livello europeo: il formaggio Asiago Dop, la sopressa vicentina Dop, l’asparago bianco di Bassano Dop, la ciliegia di Marostica Igp, il mais Marano e piatti prelibati come il bacalà alla vicentina, il toresan (colombo) allo spiedo o i bigoi co’ l’arna.

I produttori del consorzio Breganze Doc

Vespaiola, introduzione al vitigno autoctono di Breganze

Il vitigno autoctono per eccellenza di Breganze è la vespaiola, uva a bacca bianca coltivata esclusivamente nella zona D.O.C. Breganze. È una varietà di uva che ha un ciclo vegetativo molto lungo e che matura abbastanza tardi. Ha bisogno di una potatura lunga, poiché i germogli che escono dalle prime gemme non sono fertili e i grappoli sono piccoli.  Il nome vespaiola deriva dal fatto che l’uva esercita un’attrazione particolarissima sulle vespe, sedotte dal suo profumo e dall’alto contenuto in zuccheri del mosto. Alla fine di settembre quando i grappoli diventano gialli e dorati l’uva viene vendemmiata. Il Breganze D.O.C. Vespaiolo, almeno per quanto ho potuto assaggiare, non è vino da lasciare per troppo tempo in cantina, dà il meglio di se entro due anni dalla vendemmia, naturalmente qualche eccezione esiste.  Il disciplinare ne prevede anche la spumantizzazione secondo il metodo Charmat/Martinotti e ovviamente Metodo Classico ma è nella versione ferma che la vespaiola esprime in tutta la sua esuberanza mentre per la magnificenza dobbiamo cercarne la versione dolce o botritizzata del Torcolato. Grazie alla sua naturale spiccata acidità si sposa a meraviglia con i grandi piatti della cucina vicentina come il bacalà e l’asparago bianco di Bassano D.O.P. Nella pedemontana vicentina su un totale di 600 ha vitati 60 circa vengono coltivati a vespaiola. Nel 2016 sono state prodotte circa 310.000 bottiglie di Breganze D.O.C. Vespaiolo di cui 180.000 Vespaiolo fermo, 80.000 Vespaiolo Spumante e circa 50.000 di Torcolato. Ah, dimenticavo, i produttori di Breganze discendono direttamente da Gaetano Bresci, nel senso che sono votati all’anarchia, 12 versioni di Vespaiolo assaggiate e quasi tutte diverse, vitalità e libertà, bravi.

 Il Torcolato

Indubbiamente il vino più famoso di Breganze. Il dolce non dolce di Veronelli, celebrato fin dal seicento da letterati, storici e appassionati di enogastronomia, è un vino che è sintesi di modernità e tradizione, che ha saputo conquistare un’importante nicchia di mercato nazionale e internazionale, donando lustro e prestigio alla Denominazione d’Origine Controllata “Breganze”. I grappoli di vespaiola più belli, sani e spargoli vengono vendemmiati separatamente e riposti, attorcigliati (“torcolati”, nel dialetto locale) a una corda, appesi a travi di legno, nelle soffitte ben aerate delle case contadine nelle colline breganzesi, in modo da scongiurare la possibilità che possano ammuffire, dove rimangono ad appassire per circa quattro mesi fino al gennaio successivo. Durante questo periodo gli acini perdono gran parte dell’acqua contenuta, favorendo un’elevata concentrazione degli zuccheri. È il momento di torchiarli, ed è proprio questa pratica a dare nome al vino: Torcolato significa, infatti, torchiato. Ciò non implica, però, che l’uva venga strizzata sino all’ultima goccia di succo, come il termine torchiatura può lasciare intendere. Vuol dire, meno drammaticamente, separare, ma sofficemente, il mosto dalle bucce e dai vinaccioli, in modo che questi non trasmettano sostanze tanniche al vino. Dopo una lenta fermentazione il vino riposa in piccole botti anche per più di due anni e, comunque, non può essere immesso al consumo prima del 31 dicembre dell’anno successivo alla vendemmia. Fausto Maculan, protagonista del lancio di Breganze nel mondo e protagonista del “Rinascimento” del vino italiano negli anni Ottanta del secolo scorso, assieme alle figlie Angela e Maria Vittoria, solo nelle annate che lo consentono, ne fa anche una straordinaria versione muffata, l’Acininobili. La scelta degli acini attaccati da Botritis cinerea è maniacale, due anni di affinamento in barriques nuova di Allier e sei mesi in bottiglia.

I vini della degustazione Autoctoni dimenticati

 Gli assaggi migliori

La mia, davvero, non vuole essere captatio benevolentiae ma tutti i vignaioli breganzesi hanno presentato in questo viaggio stampa, chi per un motivo, chi per un altro, vini importanti, in alcuni casi delle vere e proprie perle enologiche. Le sessioni di degustazione sono state divise in aree tematiche. Per la Vespaiola, introduzione al vitigno autoctono di Breganze, ricordo con grande piacere il Vespaiolo 2016 di Azienda Agricola Cà Biasi di Innocente Dalla Valle, il Vespaio 2016 di IoMazzucato e il Vespaiolo Soarda 2016 di Vignaioli Contrà Soarda di Mirco Gottardi. Più immediati i primi due, più ricercato il Soarda, due modi diversi di intendere la vespaiola ma altrettanto efficaci. La DOC Breganze ha un’enclave nelle colline a ridosso di Bassano del Grappa, ai piedi dell’Altopiano di Asiago. Parliamo di veri e propri cru, dove, più degli autoctoni, sono i vitigni internazionali a esprimersi in maniera sublime. Per la degustazione Passaggio A Nordest le colline del cru Bassano, cito l’Angarano Bianco 2016 di Villa Angarano e il Vignasilan 2013 di Contrà Soarda, entrambi da vespaiola in purezza, entrambi vini di assoluta classe e profondità.  Come dimenticare poi Il Cavallare 2012 di Vigneto Due Santi di Stefano e Adriano Zonta (in questa annata da un blend 50% merlot e 50% cabernet franc). Ho scambiato quattro chiacchere a fine degustazione con Stefano, vignaiolo di grande umiltà e sensibilità, non è enologo, né agronomo, un giorno è stato folgorato dai profumi della vendemmia, una vocazione laica improvvisa. Per la serie ragazzi guardate che qui non siamo in Borgogna ma a Bassano, due perle assolute, il Vignacorejo 2008 pinot nero di Vignaioli Contrà Soarda e il Cà Michiel 2012 da uve chardonnay in purezza di Villa Angarano. Poiché non siamo nemmeno a Bordeaux, Villa Angarano tira fuori un Quare di Angarano 2008, 100% cabernet sauvignon, giusto per mettere in difficoltà chi degusta. Per non variare sul tema la degustazione I Bordolesi a Breganze, storia di un’acclimatizzazione, ha messo a confronto in un’interessante verticale il cabernet Breganze Doc riserva “Kilò” di Cantina Beato Bartolomeo nelle annate 2013, 2008, 2003 e 1998 e il Crosara di Maculan 100% merlot nelle annate 2013, 2007, 2005 e 2004. Naturalmente parliamo di due vini dal peso specifico diverso, il Crosara è un grande merlot italiano che ha trovato nell’assaggio dell’annata 2004 il suo stato di grazia. Sorprendente ancora per potenza, visto che parliamo di un vino di vent’anni, è stato il Kilò 1998, considerando poi il prezzo base da cui parte, c’è da rimanere scioccati in senso positivo ovviamente. La degustazione Autoctoni dimenticati è stata l’apoteosi proprio perché ha presentato vini inaspettati e buonissimi: il Pedevendo 2015 da uve pedevenda in purezza e il Fondo 53 (31% pedevenda, 31% marzemina bianca, 31% vespaiola e 7% gruaja) di Firmino Miotti, due rifermentati in bottiglia tra i più buoni che abbia mai assaggiato. Il Groppello 2016 di Col Dovigo da uve 100% groppello, un vino da avere sempre in cantina per berlo in ogni momento della giornata, e poi la Sampagna di Emilio Vitacchio da uve marzemina bianca in purezza. Uno Charmat talmente sbarazzino e piacevole da perderci la testa a un prezzo incredibile che mette in fila, senza fare nomi, bollicine identiche per tipologia molto più blasonate. Dulcis in fundo l’ (Ante) Prima del Torcolato. Anche qui tanti begli assaggi ma su tutti mi hanno colpito il Torcolato: Col Dovigo 2015, Firmino Miotti 2010 e Emilio Vitacchio 2014 dove il dolce non dolce di Veronelliana memoria ha trovato il suo equilibrio perfetto. In realtà non è finita qui, perché all’appello mancano Roberto Benazzoli (Le Vigne di Roberto) e il suo Prime Rose Metodo Classico, 90% pinot nero e 10% vespaiola, 36 mesi sui lieviti, il giusto modo per iniziare o per finire e allora  prosit dolci colline di Breganze.

Crediti:

  • Chiara Pigato – Tesi di Laurea Magistrale in Filologia Moderna Anno Accademico 2016/2017 “Virgilio Scapin e la “vicentinità” romanzi e altre storie.
  • Maurizio Veladiano, “Magnasoète”, testimoni di un mondo ormai lontano, “Il giornale di Vicenza”, 20 ottobre 1996 per il titolo dell’articolo.

Spirito guida: Virgilio Scapin, scrittore, attore e libraio.


Fonte: http://www.lastanzadelvino.it/feed/


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