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Vini naturali: la passione non basta (più)

Il vino biologico non esiste”.

Luigi Veronelli la pensava così. Per lui il vino era materia viva (e quindi biologica per definizione): non poteva esserci un vino non biologico, sarebbe stata una contraddizione in termini. Erano i primi anni ‘90 e nella nicchia dei naturali c’era un sacco di fermento: si lottava sul fronte dei riconoscimenti legislativi, degli enti, delle certificazioni, dei progetti in chiave europea, ci si interrogava sulla produzione. C’erano entusiasmo, curiosità, voglia di crescere e capire. Ovviamente si fecero vagonate di errori, su tutti i fronti, soprattutto quello produttivo: biologici (o naturali) che fossero, i vini bevibili di quell’epoca erano pochi, quelli meravigliosi ancora meno. Però c’erano. E oggi…

Sono tornata dopo alcuni anni a VinNatur, la bella iniziativa di Angiolino Maule e del gruppo di produttori da lui fondato nel 2006. Quest’anno si teneva in uno spazio insolito (lo show room Margraf a Gambellara), ma del tutto in sintonia con lo spirito, diciamo così, artistico dei 180 produttori di vino naturale da tutta Europa. Dato il poco tempo a disposizione, abbiamo fatto la maggior parte degli assaggi alla tasting room allestita per i giornalisti.

Nota di merito per l’organizzazione: c’erano bottiglie d’acqua in abbondanza. L’acqua è un elemento d’importanza vitale in qualunque evento vinicolo, ma anche ignorato/sottovalutato nel 99,9% dei casi. Metterne a disposizione una bella scorta è stato un segno di attenzione nei confronti di chi veniva a degustare che è stata molto apprezzata.

Di alcuni vini ho ammirato la creatività delle etichette – non c’è dubbio che nella loro ansia di distinzione dalla massa i produttori naturalisti osino molto di più dei convenzionali – ma, a dispetto di quanto sostengono recenti ricerche, mi sono limitata a quello. All’ammirazione estetica. Quella gustativa infatti, è mancata quasi del tutto. Con poche eccezioni, perlaltro abbastanza scontate (come gli Champagne di Tarlant, per esempio)

Ahimè, ogni tanto capita: la maggior parte di quei vini non mi è piaciuta affatto. Colpa mia, probabilmente; concedo troppa importanza agli aspetti olfattivi (su quelli visivi, spesso altrettanto poco invitanti, posso anche sorvolare). E quando il mio naso viene respinto da quello che c’è nel bicchiere, non riesco ad andare oltre. So riconoscere quando il naso dice una cosa e la bocca ne racconta un’altra, e a volte questa specie di dis-accordo è la cifra stilistica di un vino fantastico, spiazzante ma emozionante. Purtroppo non era quello il caso. Il naso diceva “difetto”, e la bocca confermava. Al quinto vino mi sono fermata: ok, non è giornata, ho pensato – e infatti era un giorno “foglia”. Chissà, se fosse stato un giorno “fiore” o “frutto”, sicuramente quell’odore di feccia mi si sarebbe presentato come fruttato giallo maturo. O quel sentore da uovo marcio, come un soufflé. Devo riprovare. Ma forse non ne avrò la possibilità, e come me, chissà quanti. Cosa può esser andato storto in quei vini? Molte cose, forse per mancanza di esperienza. O per l’assenza voluta (spesso cocciuta) di una qualsiasi tecnologia di cantina. L’insufficiente confronto con qualche altro collega bravo? La fede cieca nella naturalità, ché tanto-il-vino-si-fa-da-solo-se-l’uva-è-buona? Forse tutte queste cose insieme. Quel che lascia perplessi però è l’ingenua (?) sicurezza di questi produttori che si sottopongono al giudizio dei consumatori, presentandosi con l’etichetta “vino naturale” come se fosse uno scudo protettivo. Peccato che non funzioni così. Mi consola sapere che Angiolino Maule, con il quale ci confrontiamo sempre volentieri, ha le idee molto chiare, e spinge sull’acceleratore della ricerca scientifica, collaborando attivamente con laboratori, Università, Centri per la sperimentazione. Workshop, convegni, corsi, incontri, degustazioni comparative, Angiolino è una macchina da guerra, le studia tutte per fare formazione ai soci del suo gruppo. E ha ragione: c’è di mezzo il futuro (anche commerciale) dei vini naturali. Perchè oggi, ormai, dovrebbe esser chiaro anche ai più irriducibili idealisti: per fare un vino naturale in grado di competere nell’arena mondiale la passione non basta più. “Oggi un vino naturale non dev’essere semplicemente più aderente al territorio di altri – mi dicevano nel lontano 1994 amici enologi esperti del settore – Dev’essere anche più sano degli altri.

Soprattutto, dev’essere più buono”.

P.s: un ricordo dolce di VinNatur 2019? Il Vino Cotto marchigiano di David Tiberi. Una scoperta golosa.

P.s 2: ok, non posso chiudere senza almeno citare gli assaggi che mi è piaciuto fare. A parte i floreali Champagne Tarlant, anche quelli targati Boulard si sono confermati (a distanza di tanti anni) dei vini eccellenti, affilati, marini come li ricordavo. E poi c’erano i grandi siciliani dell’azienda Marco de Bartoli, (il Vecchio Samperi, il Bukkuram) setosi, lunghi, elegantissimi come sempre, e l’umile, ritrovata Molinara in purezza di Terre di Pietra: un vino da scampagnate, allegro e sincero. Un vinino di cui fare scorta.


Fonte: https://vinopigro.it/blog/?format=rss


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