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    Intervista a Giuseppe Pizzolante Leuzzi, enologo della Cupertinum

    “Ho sempre pensato che questo territorio abbia potenzialità enormi, è un territorio baciato dalla fortuna dal punto di vista naturale. Ho sempre cercato di fare dei vini che siano espressione del territorio da cui vengono, puliti al naso e senza difetti, ma con espressioni aromatiche molto importanti, piacevoli al palato, che valorizzino il Negroamaro, il Primitivo e gli altri vitigni – autoctoni o meno – presenti in Salento. Perché no, facendo anche attenzione al mercato, senza ovviamente stravolgere i vini”. È una dichiarazione che Giuseppe Pizzolante Leuzzi, enologo della Cupertinum, tratta da un’intervista del 2010, anno di inizio della sua conduzione enologica della storica Cantina di Copertino. Sono parole che denotano la competenza specifica e tecnica, da una parte e, dall’altra, la cognizione complessa del settore. Se sommiamo queste due componenti alla conoscenza del comparto vitivinicolo nei suoi aspetti economici, legislativi, internazionali, emerge la complessità dei tratti distintivi della sua professionalità. Pizzolante Leuzzi è cresciuto a pane e agricoltura, l’interesse per l’agricoltura è diventata poi una grande passione per il vino. Dalla gioventù passata nell’azienda di famiglia, arriva ai diplomi in agraria e successivamente della Scuola di specializzazione enologica. Ha fatto parte dei giovani di Confagricoltura, partecipando ai consigli nazionali. Ebbe un incarico al consiglio europeo dei giovani agricoltori e fu delegato per l’Italia dei prodotti mediterranei, in particolare del vino. Un’esperienza importantissima. Capì la complessità e la dimensione planetaria delle politiche agrarie ed economiche. Un’esperienza che lo portò nel ‘96 a lavorare in Argentina, con un progetto di collaborazione e formazione enologica. Grazie a questo impegno, fu contattato da Ettore Mancini (personalità di altissimo livello culturale e scientifico), allora presidente di Confagricoltura che lo volle nella sezione economica nazionale. In quel periodo relazionò su questi temi al Parlamento europeo davanti a tutti i ministri dell’agricoltura. È passato qualche decennio da quegli incarichi e Pizzolante Leuzzi con la Cupertinum – e con altre cantine – ha raggiunto molti obiettivi, ha ricevuto prestigiosi riconoscimenti personali e premi internazionali ai vini. A quindici anni dall’inizio della sua collaborazione con la storica Cantina di Copertino lo incontriamo per fare un bilancio e farci raccontare il suo progetto enologico.Sono passati quindici anni dall’inizio della tua collaborazione con la Cupertinum, è tempo di bilanci.
    Si spera in risultati sempre buoni ed io pretendo sempre di più da me stesso. I risultati della cantina ogni anno sono non un punto di arrivo ma di partenza, uno stimolo a far sempre meglio. L’obiettivo è anche di stare vicino alle esigenze dei mercati, che evolvono molto rapidamente. Soprattutto all’estero, i vini a Denominazione controllata sono apprezzati, ormai sono una sicurezza e quindi garantiscono credibilità anche ai vini a Indicazione geografica tipica. Al momento siamo molto centrati e ben impostati con i vini e con il loro rapporto qualità-prezzo. In questi quindici anni abbiamo reso famosi alcuni vini, come lo Spinello dei Falconi che è ormai un emblema del territorio. Abbiamo definito lo stile del Copertino Doc, nelle sue tre proposizioni: Rosso, Riserva e Settantacinque, e degli Igt Salento: il Negroamaro Poggiani, il Primitivo Aldieri, il Rosato Spinello dei Falconi, lo Chardonnay Cigliano e il Glykòs Passito, multipremiato dai Sommelier dell’AIS e da molte guide. Abbiamo creato lo Squarciafico Rosato e lo Squarciafico Bianco, sempre Igt, una linea fresca e vivace attento al consumo giovanile ed estivo, e anche il Giortì, spumante (da uve negroamaro vinificate in bianco) che sta riscuotendo grande interesse. Ogni passo che facciamo diventa sempre una partenza per migliorare ulteriormente. Mi piace che i vini siano perfetti al naso e morbidi. Di questo siamo soddisfatti sia per quello che riguarda le Riserve sia per i vini più giovani. Ci prefiggiamo di raggiungere in maniera più soddisfacente il mercato nazionale, sviluppando in contemporanea la strada intrapresa con i mercati esteri; e poi rendere visibili, eleganti, accattivanti le nuove annate. La definizione delle nuove etichette va in questa direzione.
    Recentemente, durante la manifestazione DolcePuglia, hai ricevuto un riconoscimento significativo dall’Associazione Italiana Sommelier. Sul diploma, i sommelier, scrivono: “All’enologo Giuseppe Pizzolante Leuzzi che con convinzione appassionata e riconosciuta maestria da anni contribuisce a forgiare passiti memorabili da vitigni cari alla tradizione pugliese”. I sommelier ti hanno dedicato delle serate di degustazione in cui hai presentato i tuoi risultati con il Negroamaro declinato in tutte le sue possibili declinazioni (Bianco fermo, Bianco spumante – Metodo Classico e Metodo Martinotti, Rosato, Rosso – Igt e Doc, Passito, e anche la Grappa Le Viole). Quando hai pensato di spumantizzare in bianco le uve di Negroamaro, producendo il Giortì, avevi già compreso la versatilità di quest’uva anche in questa declinazione?
    In merito al premio dell’AIS ci tengo a sottolineare che è stata una graditissima sorpresa. Ho ritirato sempre dei premi ai vini e ricevere un premio a me stesso mi ha imbarazzato e reso felice. L’AIS Puglia, con DolcePuglia, è stata perspicace trovare un modo per valorizzare i nostri passiti e trovo ammirevole la ricerca che ogni anno il dottor Giuseppe Baldassarre sviluppa individuando e motivando dei nuovi abbinamenti tra vini dolci e primi o secondi piatti, svincolandoli dai soli abbinamenti con i dolci o dalla codificazione quali vini da fine pasto.
    Per quanto riguarda la seconda parte della domanda, ero certo che le basi del vitigno erano importanti ed è un altro motivo di soddisfazione aver compreso che il Negroamaro poteva dare ottimi risultati anche negli spumanti. Siamo riusciti a centrare l’obiettivo di ottenere un ottimo prodotto sin dalla prima annata, in questo caso con una buona tecnica enologica si rendono utili anche le uve meno mature. Ora, dopo cinque anni di produzione, abbiamo un controllo pressocché perfetto della vinificazione.
    Nel 2013 hai prodotto la prima annata del Glykòs, in assoluto primo negroamaro passito vinificato in purezza.
    La tecnica di appassimento per produrre il Glykòs è completamente agli antipodi rispetto alla spumantizzazione. La prima annata del Glykòs è stata una felice novità, innanzitutto come risultato, ma anche come interesse e vendite.  Salento non c’era tradizione di passiti perché l’umidità – a causa dell’esposizione allo scirocco – nei mesi dopo la vendemmia era molto alta e non permetteva un appassimento perfetto. Negli ultimi vent’anni il cambiamento climatico, che a livello generale impensierisce tutti, ha cambiato un po’ le condizioni, la vendemmia è stata anticipata di quindici giorni (infatti la maturazione ottimale del negroamaro si è spostata a inizio settembre) e questo ci ha permesso di gestire meglio l’appassimento. Ho studiato molto per fare i passiti, tecniche e luoghi in cui vengono prodotti tradizionalmente (sia al sud: Sicilia, Spagna, che al nord: Veneto, Francia, Germania). Il mix di queste situazioni e informazioni ci ha portato a questo risultato: un vino composito, concentrato, sorprendentemente ricco di sentori di marasca e prugna e, nel finale, di mirto e radice di liquirizia. Che è diventato una delle bandiere della Cupertinum.
    Nella relazione tra tutti gli aspetti di produzione di un vino è più importante il terroir, il vitigno, il lavoro dell’uomo, l’annata?
    Direi in primo luogo l’annata, perché ci può essere il lavoro più bello e il terroir migliore, ma se l’annata è brutta si impone sugli altri aspetti. A parità di belle annate metterei prima il terroir e poi il lavoro dell’uomo, perché comunque le espressioni del territorio devono prevaricare il lavoro dell’uomo. L’enologia ha fatto in passato degli errori pensando di annullare il terroir, oggi invece il mercato ci chiede prodotti che siano espressione del territorio. Quando dico terroir intendo ovviamente la relazione tra vitigno e territorio.
    Tra logiche del mercato e qualità, qual è la tua posizione?
    Per essere realisti penso sia necessario un compromesso. A volte è bello fare poesia ma poi è il mercato che decide. Il mercato non è una figura astratta ma è tante persone che ogni giorno comprano una bottiglia di vino. Una delle attenzioni dei professionisti che lavorano in questo settore è conoscere i gusti delle persone. Oggi c’è una disaffezione verso i vini più strutturati e complessi e si sta andando verso vini di qualità che devono essere anche molto bevibili.
    Infine, sempre nel 2010 avevi dichiarato: “Se Lecce è stata designata dalla Lonely Planet come una delle dieci città più belle da visitare, è certo merito del Barocco leccese e di chi ha saputo valorizzarlo, ma è merito anche di chi cura il territorio in cui Lecce è inserita, di quei contadini che con sacrificio coltivano quella foresta di oliveti che fa della strada che arriva da Brindisi una entrata regale e maestosa”. Ora quell’entrata regale e maestosa – a causa della Xylella – non esiste quasi più, quali sono le tue considerazioni?
    Dopo la Xylella percorrere quella strada di olivi seccati era desolante, ora invece rifacendola ci sono molti positivi segni di ripresa, si possono notare nuovi impianti di olivi e nuove colture. È incoraggiante la forza di volontà e la bravura dei salentini. Credo che la futura entrata regale per Lecce sarà il simbolo dell’operosità dei salentini. LEGGI TUTTO

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    Torna il Tollo Wine Festival: tre giorni di vino, gusto e musica nel cuore dell’Abruzzo

    Dopo il successo della prima edizione, il Tollo Wine Festival torna per la seconda volta ad animare il centro storico di Tollo (Chieti). Da venerdì 11 a domenica 13 luglio, la manifestazione organizzata dalla Pro Loco Tolle Me APS di Tollo insieme a Cantina Tollo, al Comune e al Consorzio Tullum Docg, trasformerà Piazza Caduti di Nassiriya in un vero e proprio polo del gusto, dove protagonista assoluto sarà il vino delle aziende del territorio, insieme alle migliori specialità gastronomiche abruzzesi.Durante i tre giorni sarà possibile degustare tutte le referenze di Cantina Tollo e Feudo Antico, oltre che di Vigneti Radica e della Cooperativa Agricola Coltivatori Diretti di Tollo. In assaggio anche le eccellenze della Tullum Docg, una delle denominazioni d’origine più piccole d’Italia, rappresentata dal relativo Consorzio di tutela.
    “Il Tollo Wine Festival non è solo una festa del vino: è un’occasione per raccontare l’identità di un territorio che Cantina Tollo, attraverso il suo lavoro, promuove e tutela da più di sessant’anni. Un luogo che ha saputo fare della qualità e della tradizione la sua forza – afferma il Presidente Gianluca Orsini –. Con questa seconda edizione vogliamo consolidare l’iniziativa e farne un appuntamento fisso per tutti gli appassionati del mondo enoico, della cultura e della convivialità”. ​
    “Ottimo vino e buon cibo della tradizione sono le attrazioni principali per tutti gli enoappassionati e i turisti che verranno coinvolti in un’atmosfera di festa, tra musica e gusto – continua Daniele Di Pillo, Presidente della Pro Loco –. Gli stand delle aziende e quelli dedicati alle specialità culinarie del luogo offriranno una ricca proposta di sapori locali curata dalla Pro Loco”.
    Oltre ai banchi d’assaggio e agli stand gastronomici, attivi a partire dalle ore 20.00, il programma del Tollo Wine Festival comprenderà appuntamenti con la musica dal vivo: venerdì 11 luglio il palco sarà tutto per i New Tones, trio romano rock ‘n’ roll ispirato ai suoni delle Doo Wop band degli anni ’50 e ’60, sabato sarà la volta dei Bicchierino, irriverente cover band dedicata a Rino Gaetano, mentre domenica l’evento sarà animato dalle coinvolgenti musiche di Dj Trapano. ​
    Domenica 13 luglio, alle ore 19.00, si terrà anche il convegno Viaggi diVini: il futuro del turismo passa dal calice: “Sarà un momento di approfondimento e confronto incentrato sull’enoturismo come importante motore della valorizzazione territoriale e dello sviluppo locale – comunica Angelo Radica, Presidente nazionale dell’associazione Città del Vino e Sindaco di Tollo – che vedrà la partecipazione di rappresentanti istituzionali, associazioni di categoria ed esperti del settore”. ​
    L’ingresso alla manifestazione ha un costo di 12 euro e comprende il carnet con tre degustazioni e il kit con tasca e calice. LEGGI TUTTO

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    Marilena Barbera: il vino come scelta, come vita

    Seguo Marilena Barbera da quando ho iniziato a muovere i primi passi nel mondo del vino. Era il 2010 e i social erano ancora un luogo di scambio fertile, non una vetrina autoreferenziale. Su Facebook si trovavano pensieri liberi, profondi, a volte taglienti. E quelli di Marilena mi arrivavano sempre dritti. Leggevo ogni suo post, ogni commento — specialmente su Intravino — come si leggono le parole di chi sa osservare, di chi non si tira indietro, di chi ha qualcosa da dire. Ricordo di averle scritto un paio di volte, semplicemente per ringraziarla.

    Eppure, non ci eravamo mai incontrati. Ci avevamo quasi provato a Vinitaly nel 2017, ma poi un’intervista per la Rai la tenne lontana dal banco d’assaggio e io lasciai perdere. A volte le cose accadono quando devono accadere. E succede, con alcune persone, che si crea una connessione invisibile e immediata, ancora prima di scambiarsi un sorriso. Un po’ come succede con certi vini: sai che sono tuoi, anche se non li hai ancora bevuti.

    A giugno di quest’anno, grazie alla manifestazione Sicily on Wine, quell’incontro è finalmente avvenuto. E tutto si è confermato: la voce, i gesti, il vino. Ogni dettaglio parlava di lei. E parlava della Sicilia, di una Sicilia autentica, ruvida e luminosa, fatta di mare, vento e parole scelte con cura.

    Marilena è tornata a Menfi dopo anni altrove. La chiamava la vigna piantata da suo nonno e coltivata da suo padre. Un luogo, Belicello, che non è solo un’azienda agricola, ma un crocevia emotivo e simbolico. Quando racconta il suo percorso non lo fa mai con toni epici: non c’è retorica nel suo modo di stare al mondo. Solo una consapevolezza profonda e, forse, faticosa. Una scelta che ha il sapore delle cose definitive: fare il vino come atto politico ed etico, come gesto di restituzione verso la terra.

    “Il vino è uno dei migliori ambasciatori dell’Italia nel mondo” — dice. E in effetti lei, che sognava di diventare diplomatica, è riuscita a esserlo a modo suo. Una diplomazia del cuore e della testa, che passa dai bicchieri, dai racconti, dalla coerenza.

    I vini di Marilena non vogliono piacere a tutti, ma parlano chiaro. Sono figli di una viticoltura biodinamica e di una vinificazione naturale. Niente forzature, niente scorciatoie. Soltanto uva, territorio, tempo. E un approccio rispettoso, artigianale, capace di ascoltare ogni annata per ciò che è.

    Ogni vino è un racconto che prende forma dal paesaggio, dalle mani e da una visione profonda. C’è la freschezza luminosa del Tivitti 2024, un’Inzolia che sa di mare e agrumi e scorre lieve come un pensiero pulito. La Bambina 2020, rosato da Nero d’Avola (60%) e Frappato (40%), è un omaggio alle donne, alla loro forza gentile, alla capacità di scegliere, lottare e trasformare: un vino delicato ma deciso, capace di lasciare il segno. Arèmi 2023 è un Catarratto che porta con sé luce e memoria e racconta il tempo lento della terra. Ammàno 2023 è un gesto, prima ancora che un vino: uno Zibibbo salato e floreale, fatto solo con l’uva e con l’intenzione. Lu Còri 2023 è un Nero d’Avola generoso e succoso, che sa tenere insieme sole e vento, frutto e sale. Ciàtu 2021 (alito, respiro), da uve Alicante, ha l’anima calda e profonda: il respiro della vita che si fa vino. E poi c’è Coda della Foce 2016, un Nero d’Avola che arriva da lontano, si è trasformato nel tempo e oggi si presenta elegante e potente, con una voce tutta sua, capace di restare impressa.

    Non si nasconde, Marilena, dietro le etichette del “naturale” o del “biodinamico”. Anzi, le decostruisce con lucidità: “Per me è un problema soggettivo di gusto, e oggettivo di consapevolezza”. Una frase che potrebbe sintetizzare tutto il suo approccio.

    C’è nei suoi racconti una costante tensione verso la verità: quella del vino, della terra, delle persone. Lo si avverte nel modo in cui parla di sé, di Menfi, del Belìce, dei piccoli produttori che resistono, nonostante tutto. “Sostenere il lavoro dei piccoli agricoltori è una scelta politica ed etica”, dice Marilena, non è solo vino: è una visione.

    L’ho riconosciuta in un bicchiere, quella visione. In una domenica infuocata  di giugno, nel silenzio severo e accogliente del Monastero seicentesco dei Padri Olivetani, a Chiusa Sclafani. Vini di grande personalità, ogni bottiglia è un gesto di cura, un atto di appartenenza. Una Sicilia che non si concede facilmente, ma che ti resta dentro.

    Ci sono vignaioli che si limitano a produrre buoni vini. E poi ci sono quelli che fanno un po’ più di rumore, che aprono discorsi, che scardinano abitudini. Marilena Barbera appartiene a questa seconda specie. È una donna del vino e una donna del pensiero. E il suo vino — come la sua voce — non si limita a raccontare un territorio: lo interroga, lo ridefinisce, lo tiene vivo. LEGGI TUTTO

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    Nero d’Avola, il progetto InnoNDA conclude la ricerca e presenta i risultati

    Si conclude oggi il progetto InnoNDA. Il progetto, acronimo di Innovazione delnero d’Avola, è stato lanciato nell’aprile 2024 e ha esplorato nuove strategie produttive per vini ottenuti da Nero d’Avola. Il progetto ha concluso la ricerca formalmente a giugno 2025.Stimolante la sfida: affrontare i cambiamenti climatici e il maggiore grado alcolico, così come dare una risposta alle richieste dei consumatori. Conseguentemente, proporre soluzioni innovative e sostenibili, senza mai perdere di vista l’identità territoriale e la personalità del nero d’Avola, il vitigno a bacca rossa più importante e diffuso sull’Isola.
    Il progetto, guidato da Assovini Sicilia con il supporto scientifico della Prof.ssa Daniela Fracassetti e della Prof.ssa Ileana Vigentini dell’Università degli Studi di Milano, dei laboratori di ISVEA e di quattro cantine – Tenuta Rapitalà, Feudi del Pisciotto, Dimore di Giurfo e Tenute Lombardo – è stato finanziato nell’ambito della Sottomisura 16.1 del PSR Sicilia 2014-2022, ed ha previsto due cosiddette Giornate di Campagna – svoltesi presso Feudi del Pisciotto e Tenuta Rapitalà – durante le quali gli esiti della ricerca sono stati presentati alle aziende siciliane.
    “InnoNDA è un progetto di ricerca complesso vitivinicolo – afferma Mariangela Cambria, presidente di Assovini Sicilia – ma anche un esempio concreto di come la collaborazione tra imprese e università possa generare innovazione a beneficio di tutto il settore. Il progetto accende un riflettore su alcune difficili problematiche che le aziende del vino siciliane potrebbero trovarsi ad affrontare in futuro. Al contempo, suggerisce alcune soluzioni nell’arena competitiva, senza tuttavia tradire l’identità del vitigno”.
    Quattro le aree di lavoro affrontate dal progetto:
    Strategie tecnologiche per la riduzione dell’alcol
    Sono state sperimentate tecniche fisiche e a membrana per la rimozione dell’etanolo, come l’evaporazione sotto vuoto, l’osmosi inversa e il contattore membrana, per ottenere Nero d’Avola con gradazioni più basse mantenendo qualità e identità sensoriale. La ricerca ha, tra l’altro, evidenziato come i vini affinati in legno mantengano meglio struttura e complessità rispetto ai vini affinati in acciaio. È stato valutato l’impiego delle tecnologie a membrana che consentono di poter limitare la perdita degli aromi fruttati e floreali, restituendo vini equilibrati e piacevoli.
    Strategie microbiologiche
    La ricerca ha indagato il comportamento dei lieviti non-Saccharomyces in combinazione con il ben noto Saccharomyces cerevisiae. Lo studio ha osservato come questi consorzi microbici permettano di ridurre il grado alcolico fino al 2%, migliorando l’intensità aromatica e le note fruttate e floreali, molto importanti per il Nero d’Avola. È stata avviata la ricerca utilizzando la tecnica di Evoluzione Adattativa in Laboratorio (ALE) che consentirà di selezionare ceppi di lievito (non OGM) capaci di produrre meno etanolo e più glicerolo, migliorando le sensazioni morbide e rotonde del vino.
    Uso delle anfore per macerazione e affinamento
    Il progetto ha verificato l’impatto della terracotta (anfore vinarie di varie gradazioni di porosità, tradizionalmente realizzate mediante cottura dell’argilla) nella vinificazione. Lo studio ha evidenziato l’efficacia nell’esaltare le note speziate, balsamiche e vegetali. Le macerazioni lunghe, inoltre, hanno condotto a profili particolarmente eleganti e meno amari. Per l’affinamento, l’uso di anfore con diversa porosità ha permesso di ottenere vini maggiormente persistenti, floreali e fruttati, soprattutto se messi a confronto con le produzioni in acciaio.
    Studio della biodiversità del Nero d’Avola
    Il progetto InnoNDA ha mostrato la ricchezza genetica e fenolica del Nero d’Avola siciliano. Le vigne vecchie, rispetto a quelle più giovani, sembrano mantenere un contenuto più alto di acidità e una migliore concentrazione di antociani e flavonoidi, tutti elementi decisivi per determinare colore e struttura, ma anche longevità in un vino. Le fermentazioni spontanee, poi, evidenziano un microbiota ricco, diversificato e legato al territorio. Elementi distintivi capaci di caratterizzare il profilo aromatico dei vini.
    “Il progetto InnoNDA ha dimostrato la possibilità concreta di ridurre l’alcol nei vini Nero D’avola, rispondendo così alla crescente richiesta di vini a bassa gradazione e offrendo una strategia efficace per contrastare gli effetti del cambiamento climatico – dice Daniela Fracassetti, responsabile scientifica del progetto – L’utilizzo delle anfore si è rivelato adatto alla vinificazione del Nero d’Avola, valorizzandone le caratteristiche sensoriali tipiche. Inoltre, le differenze osservate nella composizione dei mosti ottenuti da vigneti di età e provenienza diverse indicano l’importanza del terroir e dell’età delle viti sulla qualità finale del vino. La combinazione tra tecniche innovative, riduzione del tenore alcolico e valorizzazione delle peculiarità territoriali contribuisce ad arricchire la conoscenza sul Nero d’Avola e a rafforzare l’identità della viticoltura siciliana. Visti i risultati promettenti raggiunti in poco più di un anno di attività, è auspicabile proseguire la ricerca per consolidare e approfondire le evidenze ottenute.”
    Un modello per il futuro
    Il progetto InnoNDA muove un passo deciso verso modelli produttivi estesi, apportando innovazione, sostenibilità, e rispondendo ai cambiamenti climatici e alle mutevoli richieste dei consumatori, senza rinunciare all’identità del Nero d’Avola.
    Capofila del progetto InnoNDA: Assovini SiciliaPartner scientifici: Università degli Studi di Milano, ISVEACantine partner: Rapitalà, Feudi del Pisciotto, Dimore di Giurfo, Lombardo ViniFinanziato da PSR Sicilia 2014-2022 – Sottomisura 16.1
    Photogallery: https://innonda.org/photo-gallery/
    Per ulteriori informazioniUfficio Stampa InnoNDA, Francesco Pensovecchio – press@innonda.org LEGGI TUTTO

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    Collio da uve autoctone: la forza di un’identità condivisa e il tempo ritrovato del vino bianco

    C’è un progetto che, senza grandi proclami sta cambiando il modo in cui guardiamo al vino bianco italiano. Un progetto nato dal basso, tra strette di mano e confronti sinceri tra produttori che credono nella forza di un’identità territoriale autentica. “Collio da uve autoctone” non è solo un nome su un’etichetta: è la dichiarazione concreta di un’idea di vino che rimette al centro il luogo, la storia e soprattutto il tempo.

    In un mondo del vino che ha spesso insegnato a pensare il bianco come prodotto di pronta beva, il Collio Bianco da uve autoctone dimostra invece che eleganza, complessità e capacità evolutiva possono convivere in un calice che sa parlare anche a distanza di anni dalla vendemmia. Anzi, è proprio dopo qualche anno che questi vini riescono a raccontare la loro verità più profonda, con sfumature che emergono grazie a un affinamento naturale e rispettoso, in bottiglia e nel tempo.

    Voci diverse, un solo territorio

    L’idea alla base del progetto è semplice e al tempo stesso dirompente: realizzare un vino bianco Collio DOC utilizzando esclusivamente le tre varietà storiche del territorio – tocai Friulano, ribolla gialla e malvasia istriana – le stesse che per decenni hanno modellato il paesaggio agricolo e la cultura contadina di queste colline. Un uvaggio tradizionale, certo, ma riscoperto con spirito contemporaneo, per dare vita a una tipologia chiara, riconoscibile e profondamente legata al luogo.

    A differenza di molte versioni di Collio Bianco realizzate con varietà internazionali (che il disciplinare pure ammette), qui si è scelto di fare un passo indietro come azienda per farne uno in avanti come collettività. Un vino corale, insomma, dove il territorio viene prima del brand, l’identità prima del marketing.

    Coltivare insieme un’idea

    Il seme del progetto è stato piantato tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020 da Kristian Keber (Edi Keber), Andrea Drius (Terre del Faet), Fabijan Muzic (Muzic) e Alessandro Dal Zovo (Cantina Produttori di Cormòns). A loro si sono presto uniti Buzzinelli e Korsic, seguiti poi da La Rajade, Ronco Blanchis, Marcuzzi, Vigne della Cerva, Manià, con nuove adesioni già in arrivo. Insieme hanno dato vita a una vera e propria “linea” di Collio Bianco da uve autoctone, ciascuno con la propria interpretazione, ma tutti sotto un unico messaggio: riportare il Collio al centro della scena, non più come somma di stili aziendali, ma come espressione univoca di territorio.

    In questo senso, l’etichetta è tutt’altro che un dettaglio grafico: è un manifesto. Il nome “Collio” torna ben visibile, scritto grande, come si usava un tempo, quando bastava quella parola per evocare eleganza, longevità e personalità.

    Ma è nel calice che il progetto trova la sua massima forza espressiva: qui, più che altrove, si coglie come il bianco friulano possa – e debba – essere pensato su una scala temporale più lunga, abbandonando l’idea che solo il rosso meriti l’attesa.

    Sarebbe il caso che i produttori, soprattutto nei territori storicamente vocati ai bianchi, iniziassero a interrogarsi più seriamente su questo tema: nessuno mette in discussione la necessità di uscire con dei vini bianchi d’annata e di pronta beva, ma quando ci si trova di fronte a un bianco con un reale potenziale di invecchiamento, ha davvero senso immetterlo sul mercato dopo appena cinque mesi dalla vendemmia? I Collio Bianco da uve autoctone dimostrano che la risposta è no. Che il tempo è un ingrediente essenziale, non un ostacolo logistico. E che la longevità, oggi, può diventare un valore comunicabile anche per i bianchi. In questo, ristoratori e comunicatori hanno un ruolo fondamentale

    i quattro produttori che hanno dato vita al progetto

    Un messaggio che matura nel tempo

    Dietro al progetto non c’è un’associazione formale, né un disciplinare alternativo. Ma c’è una visione comune, forse ancora più forte. Un’idea di vino che si nutre di ascolto, dialogo e rispetto per la storia. Come ha detto Andrea Drius: «Avremo vinto quando si dirà “beviamo un Collio” e nessuno chiederà di che uva si tratta, ma tutti sapranno cosa aspettarsi».

    Non è solo una questione di stile. È un messaggio che va oltre la bottiglia, parla di coerenza, di scelte agronomiche consapevoli (le uve piantate dove rendono meglio, come si faceva un tempo), di valorizzazione del paesaggio, di orgoglio locale.

    E se oggi il Collio Bianco da uve autoctone può contare su annate invecchiate capaci di raccontare il potenziale espressivo di questi vini nel tempo, è anche perché qualcuno ha avuto il coraggio di investire sulla permanenza in cantina, sulla costruzione di memoria liquida, sull’educazione del palato. LEGGI TUTTO

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    -346m – Nel blu più profondo del lago: Cantine di Verona presenta la Summer Edition di Cantina Colli Morenici

    Cantine di Verona prosegue il racconto dei territori scaligeri con -346m – Nel blu più profondo del lago, la nuova Summer Edition di Cantina Colli Morenici. Dopo la versione invernale dedicata alla Lessinia, altopiano che si estende tra le province di Verona, Vicenza e Trento, il Garda DOC Spumante rende omaggio alle profondità più affascinanti del lago e celebra uno dei luoghi più emblematici del veronese. Il nome richiama il punto di massima profondità delle acque lacustri, raggiunto al largo di Castelletto di Brenzone.La bottiglia è decorata con una serigrafia integrale, un racconto visivo che, partendo dal basso, svela i tesori nascosti del Garda, tra statue, relitti, fondali e pesci: la nave Berardi affondata nel 1977 a Salò, la Secca del Trimelone, sito di immersione a Brenzone, le sculture sommerse di Bacco e Venere a Manerba del Garda e, infine, il fondale ricco di vegetazione di Punta San Vigilio, che completa il viaggio subacqueo.
    “Grazie a questi elementi, l’etichetta della nostra Summer Edition diventa una legenda che guida chi l’osserva alla scoperta del vino e del territorio – afferma Luigi Turco, Presidente di Cantine di Verona –. Con questo progetto di celebrazione dei luoghi veronesi vogliamo rinnovare il nostro impegno nella valorizzazione delle aree vitivinicole da cui tutto ha origine: il territorio, i soci, l’uva e una filiera interamente controllata. Partiamo dalle nostre radici per raccontare, attraverso i vini, l’autenticità e la qualità del nostro lavoro quotidiano, oltre alla sinergia con la comunità”.​​Da uve Garganega e Chardonnay, spumantizzato secondo il metodo Martinotti con affinamento di 60 giorni in autoclave, -346m unisce freschezza e complessità aromatica. Di colore giallo paglierino, si distingue per un perlage fine e persistente. Al naso sprigiona sentori di fiori bianchi, agrumi e leggere note minerali. In bocca è fresco ed equilibrato, con una piacevole sapidità e un finale elegante. È perfetto per accompagnare aperitivi, antipasti delicati, piatti a base di pesce, crostacei e verdure di stagione.
    “-346m è un Garda DOC Spumante dal respiro internazionale, particolarmente interessante per il mercato tedesco e per i turisti che ogni estate frequentano le sponde del lago – afferma Federico Zampicinini, Direttore Commerciale di Cantine di Verona –. Inoltre, con Cantina Colli Morenici stiamo costruendo un percorso strategico che lega sempre di più il brand a questo straordinario contesto paesaggistico e culturale: un connubio che racconta origine, tipicità e visione”.
    Perfetto anche come idea regalo estiva, -346m – Nel blu più profondo del lago è disponibile in un’elegante confezione astucciata nell’e-commerce al prezzo di 11,90 euro e nei wine shop di Cantine di Verona. LEGGI TUTTO

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    Chiarlo Experience: un ecosistema culturale

    La Chiarlo Experience non è una semplice visita in cantina o un soggiorno tra le vigne: è un progetto culturale a tutto tondo, pensato per chi desidera avvicinarsi al vino attraverso un’esperienza completa, che coinvolga anche l’arte, il paesaggio e l’ospitalità. Alla base del progetto, ideato da Michele Chiarlo e oggi sviluppato da Stefano, Alberto e dalla nuova generazione della famiglia, c’è una visione precisa, dove il vino non è solo un prodotto, ma un linguaggio capace di raccontare il territorio in tutte le sue dimensioni – paesaggistiche, storiche e culturali – creando un vero e proprio ecosistema culturale.“Il vino è una delle forme con cui un territorio prende voce. È memoria e racconto insieme, espressione della cultura materiale e simbolica di un luogo. Michele Chiarlo lo aveva intuito prima di molti: il suo sguardo non si è mai limitato alla produzione, ma ha sempre cercato un dialogo più ampio con la terra, con l’arte, con la bellezza.” spiega Stefano Chiarlo
    Per questo motivo la Chiarlo Experience si articola in tre luoghi distinti ma interconnessi, pensati per restituire questa visione, sviluppandosi tra Langhe e Monferrato, territori che rappresentano l’anima stessa della produzione dell’azienda, per offrire ai visitatori un racconto immersivo del Piemonte del vino. L’Art Park La Court e il Cannubi Path rappresentano l’anima artistica del progetto; l’ospitalità prende forma al Palás Cerequio, che accoglie il ristorante La Corte e lo Sky Bar. A questi si affianca una programmazione culturale che comprende mostre, eventi e iniziative letterarie.
    “La Chiarlo Experience è il nostro modo di guardare e condividere il mondo, nato dalla volontà di mettere il vino al centro di un’esperienza più profonda e ampia. L’obiettivo è offrire ai visitatori un modello di accoglienza che coniughi qualità, identità e sostenibilità, promuovendo una fruizione del paesaggio attiva e partecipata.” racconta Alberto Chiarlo.
    I LUOGHI DELLA CHIARLO EXPERIENCE
    ART PARK LA COURT
    Nel cuore del Monferrato, tra le colline di Castelnuovo Calcea, prende vita l’Art Park La Court: un luogo unico dove arte e viticoltura si incontrano in un dialogo continuo. Inaugurato nel 2003 da un’intuizione visionaria di Michele Chiarlo, nasce dalla volontà di restituire al paesaggio un ruolo attivo, non come semplice sfondo ma come protagonista di un’esperienza immersiva e partecipata, dove l’arte diventa un ponte tra chi coltiva, chi osserva e chi cammina tra le vigne.
    Lungo un itinerario che attraversa i filari del cru La Court, il visitatore è invitato a scoprire installazioni permanenti ispirate ai quattro elementi – Terra, Acqua, Aria e Fuoco – firmate da artisti di fama internazionale come Emanuele Luzzati, Ugo Nespolo, Chris Bangle e Giancarlo Ferraris. Le opere emergono dal paesaggio con naturalezza, trasformando ogni tappa in un momento di scoperta, riflessione e stupore.
    “L’Art Park La Court sorge nel cuore del cru della storica zona di alta vocazione del terroir da cui nascono i nostri migliori Nizza e Nizza Riserva È il più esteso museo a cielo aperto in vigna, monumento in continuo aggiornamento dove arte, paesaggio e vino dialogano ininterrottamente, offrendo ai visitatori una delle esperienze di land art più uniche del panorama enologico. È un vivo centro culturale basato sulla condivisione della bellezza. Aperto al territorio e al mondo, attraverso la sua associazione – O.R.M.E. – promuove e supporta, ogni anno iniziative che invitano a percorrere a piedi tra i vigneti e godere della magia del paesaggio e dell’arte che vive in simbiosi” racconta Stefano Chiarlo.
    Art Park La Court Osservatorio
    PALÁS CEREQUIO – IL POLO CULTURALE DEDICATO AI CRU DEL BAROLO
    Un anfiteatro naturale tra i vigneti di La Morra, uno dei cru più prestigiosi della denominazione. È qui, nel cuore della Langa, che sorge Palás Cerequio: non solo un relais, ma un centro di ospitalità in omaggio alla cultura del Barolo, un punto di incontro tra identità vitivinicola, accoglienza e il piacere di abitare il vino con consapevolezza. Nato dal recupero di una borgata settecentesca, oggi è punto di riferimento per l’ospitalità esperienziale.
    Le undici suite, divise tra “Passato” e “Futuro”, accolgono l’ospite in ambienti ispirati alla storia o al design contemporaneo, con uno sguardo sempre rivolto alla cultura del vino. Al centro della struttura, il Caveau custodisce oltre 6.000 bottiglie di Barolo, mentre la sala degustazione ospita percorsi guidati con degustazioni orizzontali e verticali di vecchie annate.
    Completano l’esperienza enogastronomica lo Sky Bar con vista sui vigneti, perfetto per aperitivi panoramici, e il ristorante La Corte, guidato dallo chef Vincenzo La Corte, che propone una cucina essenziale: poche lavorazioni, pochi ingredienti di eccellenza, preparazioni attente. In menu, piatti dedicati alle Langhe – autentici e classici nell’accezione più nobile del termine – e alcune portate di pesce che attingono alla cucina internazionale e a tagli particolari.
    A fianco del vino, l’arte è un altro elemento chiave dell’identità di Palás Cerequio: Giancarlo Ferraris, artista e autore delle più celebri etichette di Michele Chiarlo, ha creato una serie di opere dedicate ai grandi cru del Barolo che adornano le pareti della struttura. L’ultimo tassello culturale si è aggiunto nel 2024 con la nascita della Libreria di Palás Cerequio, uno spazio che celebra la grande letteratura piemontese e internazionale, con sezioni dedicate ad autori come Pavese, Fenoglio, Eco e Baricco, ma anche a giganti della narrativa mondiale.
    Sky Bar
    CANNUBI PATH – CAMMINARE UN CRU, VIVERE UN PAESAGGIO
    A Barolo, tra le parcelle più vocate di Cannubi, alla fine del 2024 è nato Cannubi Path: un itinerario esclusivo tra i filari del cru più iconico del Piemonte, dedicato a Michele Chiarlo. Un’esperienza pensata per riscoprire il valore del cammino e del tempo lento, in un percorso che intreccia narrazione agronomica, osservazione del lavoro in vigna e degustazione sul campo.
    Cannubi Path non è solo una passeggiata tra i vigneti, ma un percorso artistico e culturale ispirato all’Art Park La Court, dove i visitatori, attraverso installazioni tra i filari e nel ciabot realizzate da Ugo Nespolo, possono immergersi nell’essenza del paesaggio e nella passione di chi lo coltiva. Questo progetto celebra la storicità vitivinicola del territorio e il suo valore culturale, consolidando il legame tra l’arte di Nespolo e la tradizione vitivinicola di Michele Chiarlo. LEGGI TUTTO

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    La Malvasia Gilli si rinnova con il tappo a vite: praticità e freschezza in chiave contemporanea

    Cascina Gilli annuncia che la sua Malvasia di Castelnuovo Don Bosco DOC Gilli, tra i vini maggiormente rappresentativi dell’azienda, sarà proposta con tappo a vite a partire dalla vendemmia 2024. Una scelta che unisce praticità di consumo, attenzione alle nuove tendenze di mercato e volontà di rinnovamento da parte della cantina piemontese che dal 1985 ha fatto della valorizzazione dei vitigni autoctoni la sua missione.«Da sempre Cascina Gilli si pone l’obiettivo di dare nuova forza espressiva ai vitigni autoctoni del Monferrato, rendendoli attuali, accessibili e attraenti per le nuove generazioni di appassionati» dichiara Davide Gasperini, Owner & Business Director dell’azienda. «Abbiamo scelto di adottare il tappo a vite per uno dei nostri prodotti più iconici perché riteniamo sia comodo, sicuro e perfetto per un vino giovane, aromatico e dalla beva immediata come la nostra Malvasia. Crediamo che innovare la forma – senza alterare la sostanza – sia il modo migliore per far continuare a vivere vitigni unici come la Malvasia di Schierano».
    Questa novità permette di assaporare la stessa Malvasia aromatica, delicatamente effervescente e dalla bassa gradazione alcolica di sempre, con una chiusura più pratica e smart.
    Dalla vigna alla bottiglia: la Malvasia di Schierano
    La Malvasia di Schierano è un vitigno autoctono piemontese a bacca rossa, coltivato in particolare nella zona dell’Alto Monferrato, tra Castelnuovo Don Bosco e il piccolo borgo di Schierano, da cui prende il nome. Per lungo tempo la Malvasia di Schierano è stata utilizzata per la produzione di vini da dessert destinati a un consumo locale e familiare, vinificata spesso con metodi artigianali.
    La Malvasia Gilli attinge dalla tradizione del territorio, elevandola attraverso un processo di produzione meticoloso, pensato per esaltare l’integrità aromatica del vitigno. Le uve, raccolte a mano dopo un’accurata selezione nei vigneti collinari di proprietà a Castelnuovo Don Bosco, vengono diraspate e pigiate delicatamente. Segue una breve macerazione a contatto con le bucce, con l’obiettivo di estrarre colore senza incrementare il tenore alcolico.
    Il mosto ottenuto viene quindi filtrato e conservato a bassa temperatura, così da preservare intatti i profumi varietali e la freschezza. La fermentazione alcolica avviene in autoclave con lieviti selezionati, fino a raggiungere la tipica vivacità e la moderata alcolicità che contraddistinguono questo vino. L’imbottigliamento avviene solo dopo una microfiltrazione accurata, indispensabile per evitare fermentazioni spontanee degli zuccheri residui e garantire una perfetta stabilità del prodotto in bottiglia.
    Malvasia Gilli: fresco, aromatico, dissetante, perfetto per l’estate
    La Malvasia di Castelnuovo Don Bosco DOC Gilli si presenta con un colore rosso rubino brillante con riflessi porpora e spuma delicata, e al naso sprigiona un bouquet intenso e fragrante di frutti rossi e petali di rosa. Il sorso è dolce, vivace, leggero e rinfrescante, con una moderata alcolicità (5,5% gradi alcolici) e un’effervescenza delicata che la rende particolarmente adatta ai mesi estivi.
    Ideale con dolci da forno, crostate di frutta, cioccolato fondente, ma anche con taglieri di salumi, la Malvasia Gilli è una compagna versatile per aperitivi, dessert o brindisi serali all’aperto. Grazie al tappo a vite, può essere aperta e richiusa facilmente, mantenendo intatta la sua freschezza anche dopo l’apertura.
    Cascina Gilli
    Dal 1983, Cascina Gilli si dedica alla valorizzazione di una selezione di vitigni autoctoni del Monferrato, a partire dalla Freisa, varietà poliedrica e contemporanea. La tenuta si trova a Castelnuovo Don Bosco, nel Monferrato Astigiano, una delle zone del Piemonte ancora tutta da scoprire. Qui vengono coltivati 12 ettari di vigneti di proprietà, impiantati a barbera, malvasia, freisa e bonarda, distribuiti tra le colline argillose delle Marne di Sant’Agata.
    Dopo quarant’anni di attività, l’azienda sceglie di evolversi e rinnovarsi. Paolo Vergnano, figlio del fondatore Gianni, assume la guida affiancato da due nuovi soci, Davide Gasperini e Federico Mussetto. Una squadra che porta nuove competenze e l’intento di valorizzare un territorio e vitigni unici, anche attraverso il recupero di un luogo storico: una cascina del ’700, trasformata in spazio di incontro e centro di promozione della cultura locale.
    Tra i vini più rappresentativi si annoverano la Freisa d’Asti DOC – raffinata, elegante, profumata – e la Malvasia di Castelnuovo Don Bosco DOC, aromatica e senza tempo. Nel solco di una filosofia produttiva autentica, queste etichette diventano oggi espressione concreta del lavoro di custodia e valorizzazione del patrimonio viticolo autoctono. LEGGI TUTTO