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Vino e ristorazione: serve un nuovo patto

Se noi pensiamo al pranzo, e alla cena italiani troviamo questi due elementi che combaciano: il vino e il cibo. In un mondo sempre più meccanizzato, automatizzato, sappiamo che quando entriamo in un ristorante c’é una persona che fa qualcosa a mano per noi: il cuoco, lo chef. (…)”. (Luigi Cremona).

Nella cultura italiana il connubio vino e cibo è ciò che ci rende speciali, attraenti, invidiati nel mondo. Fa parte del DNA dei popoli mediterranei, rinunciarvi (adottando stili di consumo che non ci appartengono) sarebbe un suicidio e una colossale idiozia. Da tempo però produttori e ristoratori avvertono che qualcosa non funziona più nel loro rapporto, ma un po’ per pigrizia mentale, un po’ perché sopraffatti dalle mille seccature e problematiche quotidiane non hanno mai trovato modo o tempo per rifletterci su.

Fino ad oggi. La pandemia tuttora in corso sta costringendo tutti a rivedere modalità e tempi sia del vivere quotidiano che del proprio lavoro e delle relazioni. Vino e ristorazione non possono fare a meno l’uno dell’altra, e per quanto a volte sembri un matrimonio forzato è nell’interesse di entrambi i protagonisti farlo funzionare. O da questa crisi si esce insieme, o insieme si soccombe.

Nei giorni scorsi, complice l’evento inaugurale della ristrutturata cantina Al Monte di Livio della famiglia Seganfreddo, a Colceresa (VI), si è tenuta un’interessante conversazione tra il direttore di Wine Meridian Fabio Piccoli e il giornalista gastronomico Luigi Cremona, durante la quale sono stati anticipati alcuni risultati di un’indagine ancora in corso, realizzata dalla testata in collaborazione con Witaly/Porzioni Cremona. L’analisi prende in considerazione due diversi punti di vista: quello dei produttori di vino e quello degli operatori del mondo della ristorazione, ai quali sono state poste domande simili.

Il punto di vista dei produttori di vino 

Alla domanda “Come considera attualmente il suo rapporto con il canale Horeca Italia?” il 55% degli intervistati h risposto “non soddisfacente” e dunque da modificare, il 20% “molto buono” e il 25% “accettabile”, ma sempre bisognoso di modifiche. Ciò di cui i produttori si lagnano di più sono “la concentrazione solo nei confronti di brand e denominazioni del territorio” (35%), o dei soliti brand più popolari (25%), mentre altri lamentano scarsa disponibilità ad ampliare la loro offerta, o a conoscere maggiormente le aziende. A ciò è legata un’altra criticità: la difficoltà a realizzare attività di promozione dei vini all’interno dei ristoranti. Per la maggior parte delle aziende non si tengono mai (60%), oppure raramente (25%). 

Le cose non vanno bene nemmeno sul fronte commerciale: il 60% delle aziende ritiene che la propria rete commerciale non sia adeguata per relazionarsi al meglio con il canale Horeca.

Cosa cambierà nel post Covid-19? Secondo il 40% dei produttori vi sarà una diversificazione dei modelli di distribuzione (online, home delivery, vendita diretta…). Altri invece pensano che vi saranno nuove relazioni commerciali con rapporti più a distanza (30%) e una maggiore richiesta di vini sostenibili (25%). Solo il 5% ritiene che si vedrà una diminuzione della vendita nel canale Horeca. 

Il punto di vista dei ristoratori 

Alla domanda sui criteri di selezione dei vini da proporre nel proprio locale, i ristoratori intervistati hanno risposto parlando di scelte legate alle proprie preferenze personali (30%), o ai consigli e alle proposte di distributori ed agenti (30%). Solo il 20% si fa guidare da un rapporto di conoscenza diretta dell’azienda. 

Dall’osservatorio dell’Horeca, oggi le difficoltà principali per i clienti nella scelta del vino sono legate a prezzi dei vini troppo alti per le disponibilità attuali (25%). Pesano però anche una scarsa cultura enologica (20%), la modifiche degli stili di vita (sempre meno persone scelgono di bere vino a pranzo, per esempio) la concentrazione dei soliti brand noti (20%), la preferenza di bevande più “facili” come la birra (10%) o la difficoltà a capire il giusto abbinamento (5%).  Perciò per i ristoratori, nel post Covid-19 si consumeranno vini più economici, o più vini italiani/del territorio”, mentre il 15% pensa che si richiederanno di più vini biologici e bevande alternative. 

Nulla di particolarmente nuovo, inaspettato, a ben vedere, a dimostrazione che si tratta di problemi che si trascinano da anni. Nodi che ora, però, bisogna iniziare a districare, insieme.

Non importa quanta pazienza o quanto tempo ci vorranno.


Fonte: https://vinopigro.it/blog/?format=rss


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