…è un ideale. Necessario.
Ci sono libri che non dovrebbero mancare nella biblioteca – o sull’e-reader – di ogni appassionato di vino degno di questo nome, ovvero curioso, disposto a sperimentare, ad approfondire, aperto a nuove nozioni e nuove esperienze sensoriali. Uno di questi è “Il vino perfetto” di Jamie Goode, un nome che per i wine lover di tutto il mondo non ha bisogno di presentazioni. Dei molti wine critics in circolazione, Goode è uno dei pochi nei quali la curiosità scientifica prevale spesso e volentieri su altri approcci. Non a caso ha scritto altri libri come “Wine Science” – altro tomo che raccomando a chi condivide il suo pallino per la scienza – “I Tasted Red: The Science of Tasting Wine” e altri ancora. Come scrive il prof. Maurizio Ugliano, già membro dell’Australian Wine Research Institute (AWRI) e attualmente docente di Enologia al corso di laurea Viticoltura ed Enologia dell’Università di Verona, “Di Jamie mi colpirono la curiosità verso la chimica e la biochimica della vinificazione, e l’interesse per la ricerca accademica in ambito enologico, cose rare nella galassia dei comunicatori e divulgatori del vino” *.
“Il Vino Perfetto” (titolo originale: “Flawless”) (Ampelos Editore), è un lavoro scientifico con un taglio filosofico. Una lettura non sempre facile per i non addetti ai lavori, e probabilmente poco pop per il rigoroso linguaggio scientifico adottato (ma se le sfumature di fumo e speziato in chimica si chiamano 4-etilguaiacolo, o se i sentori fruttati di pesce mela si chiamano etil 2-metil butirrato non è colpa di Jamie. O di noi wine critics).
Il tema che affronta però è di grande interesse per tutti, enologi, produttori, consumatori: parla infatti dei difetti del vino.
Cosa determina la difettosità di un vino? Siamo sicuri che un vino perfetto – cioè assolutamente privo del benché minimo difetto – ci piacerebbe?
Il brett, besta nera di enologi e produttori – e di molti consumatori – è sempre il male assoluto? Cos’è, come si sviluppa, e perchè alcuni vini ne sono più afflitti di altri? Si può evitare? E come? “Il brett è un argomento molto interessante – dice Goode – Per quanto si tratti di un difetti, è un elemento accettato in alcuni grandi vini, in particolare in quelli invecchiati. E’ un eccellente esempio del perchè si dovrebbero studiare i difetti del vino con una prospettiva più sfumata, piuttosto che con un atteggiamento binario “difetto o non difetto”. In ogni caso, il brett è qui per restare e gli enologi hanno bisogno di controllarlo”.
L’elenco dei difetti del vino è lungo: ossidazione, riduzione, composti solforati, le molte contaminazioni possibili, acidità volatile, “gusto di luce”, geosmina, e altri ancora.
Ogni aspetto viene esaminato nel profondo, discusso anche con esperti (nel libro non mancano le interviste a enologi, ricercatori e produttori). L’impressione è che più si sviscera l’argomento, più certe granitiche certezze personali (“buono/non buono”) iniziano a vacillare.
Le conclusioni che si possono trarre dalla lettura – e consultazione frequente – di un libro come questo è che fare il vino è un mestiere maledettamente difficile, zeppo di trappole e insidie, e che il vino stesso è un prodotto terribilmente complesso e mutevole. Imparare a conoscere ciò che può affliggerlo – o esaltare – . significa anche scoprire qualcosa in più di noi stessi, di ciò che ci attira o ci respinge. Perchè la degustazione è sempre un’esperienza personale, lo sforzo di ciascuno di noi di oggettivare il soggettivo.
O , se preferite, un gioco di (precari) equilibri.
*Personalmente condivido gli stessi interessi di J.Goode, per questo seguo sempre con interesse anche il suo online wine magazine.