Quando devo approcciarmi all’approfondimento di un territorio, una sorta di automatismo mi porta sempre alla rilettura di Vino al Vino; o meglio, alla lettura dei passaggi dove Mario Soldati entra nel vivo del mio viaggio alla ricerca di “qualche vino” genuino. Per quanto riguarda la Lombardia, Soldati si sofferma lungamente e con particolare enfasi sulla Valtellina, ma come ben ricordavo, va un po’ di fretta sull’Oltrepò Pavese.
Tuttavia, è particolarmente gustoso l’aneddoto riguardo la data in cui si iniziano a piantare in Oltrepò i vitigni di pinot nero. Dapprima la questione appare piuttosto recente, addirittura nell’elenco dei vini pavesi che fornisce il Garoglio nel suo Nuovo trattato di enologia, uscito nel 1953, il pinot non è nemmeno nominato, salvo poi scoprire che nell’enclave di Montevecchia si fa uno “champagne” ottenuto da vitigni dell’antica tradizione, un trebbiano e un burgugnin. Soldati approfondisce e scopre che il burgugnin altro non è che il pinot nero e che, essendo Montevecchia una sorta di fossile vitivinicolo, quel vitigno deve essere arrivato in quel luogo da molto tempo.
La vulgata vuole che sia stato il conte Augusto Giorgi di Vistarino, a metà dell’Ottocento, a portare il pinot nero dalla Francia per impiantarlo nella sua tenuta di Rocca de’ Giorgi in Oltrepò. Proprio in quegli anni Carlo Gancia, caro amico del conte Augusto Giorgi di Vistarino, fondava la Fratelli Gancia e si premurò di trasmettere al conte le tecniche spumantistiche per la produzione di Champagne che aveva appreso a Reims; nacque così, nel 1865, il primo spumante Metodo Classico italiano da uve pinot nero. Sin qui la storia, ma per il presente? L’Oltrepò è una terra di grande tradizione vitivinicola, con numeri importanti: 13500 ettari vitati, 1700 aziende vinicole, sulle colline dell’Oltrepò si produce il 62% del vino di tutta la Lombardia. Nel 1884 l’Oltrepò Pavese vantava 225 vitigni autoctoni, oggi se ne contano 12, anche se il disciplinare di produzione è piuttosto generoso per quanto riguarda le diverse tipologie di vino che si possono produrre.
Vista l’ampiezza dei numeri citati, per una scelta di semplificazione comunicativa e per rimediare ad alcuni errori del passato, era necessario mettere un po’ d’ordine calando l’asso, ovvero puntando sul Pinot Nero, sia esso spumantizzato sia vinificato in rosso. Non dimentichiamoci che con più di 3500 ettari, il 27% della superficie vitata totale, l’Oltrepò Pavese è la terza zona di produzione per questo vitigno in Europa, dopo Champagne e Borgogna. Risulta incredibile il fatto che questo areale non sia la zona più conosciuta per la spumantistica in Italia, anche perché tutto è cominciato qui. Vi sono però una serie di concause che vanno tenute in considerazione: mezzadria, un sistema incentrato su piccole aziende a conduzione familiari che vendono le uve o lo sfuso agli imbottigliatori, distribuzione destinata ad un mercato prettamente locale che ha imposto prezzi fortemente iniqui, favorendo la quantità piuttosto che la qualità.
Tutto ciò, accompagnato ad altre situazioni difficili, ha fatto sì che la storia vinicola l’Oltrepò sia stata molto complicata. Negli ultimi anni però, grazie anche a una ritrovata unione tra i produttori, a investimenti ragionati, combinati ad una sapiente guida, Carlo Veronese per la direzione e Gilda Fugazza per la presidenza del Consorzio dell’Oltrepò Pavese, stiamo assistendo ad una vera e propria rinascita. Un esempio concreto in questo senso è la qualità dei vini presentati dalle aziende durante la manifestazione “Oltrepò – Terra di Pinot Nero, un territorio, un vitigno, due eccellenze”.
La manifestazione, che si tiene presso l’incantevole Antica Tenuta Pegazzera di Casteggio, giunta alla sua terza edizione, quest’anno ha registrato numeri da record: più di 250 operatori, numerosa presenza di stampa nazionale e internazionale, 34 aziende partecipanti, 95 etichette presentate. Senza dimenticare due importanti masterclass, dedicate rispettivamente a Oltrepò Pavese Metodo Classico DOCG, e Pinot Nero dell’Oltrepò Pavese DOC. Per quanto riguarda il metodo Classico è indubbia l’eccellenza raggiunta in termini di qualità media, senza dimenticare l’ottimo rapporto qualità prezzo, sicuramente molto più interessante rispetto ad altre zone spumantistiche italiane. Sempre parlando di qualità media, va anche detto che, è necessario puntare ad una maggiore finezza stilistica.
Tra gli assaggi che più hanno lasciato il segno cito Francesco Quaquarini con il suo “Classese” Brut millesimato 2015, Terre di Bentivoglio con il Pas Dosè 40 mesi, Bruno Verdi con il “Vergomberra” Pas Dosè 2019, Calatroni Vini con il “Riva Rinetti” Pas Dosè 2018, Cantine Cavallotti con “La Bolla Blanc de Noir” Brut millesimato 2019, Lefiole con “Isabèl” Brut 2020. Decisamente una gran bella scoperta il Pinot Nero dell’Oltrepò Pavese Doc. Di grande piacevolezza quando è di pronta beva vinificato in acciaio, ma anche quando viene affinato con un uso sapiente del legno, botte grande o barrique che sia.
Tra gli assaggi più convincenti: Calatroni Pinot Nero dell’Oltrepò Pavese DOC Fioravanti 2022, La Genisia Pinot Nero dell’Oltrepò Pavese DOC Centodieci 2019, Travaglino Pinot Nero dell’Oltrepò Pavese DOC Poggio della Buttinera 2019, Frecciarossa Pinot Nero dell’Oltrepò Pavese DOC Giorgio Odero 2018, quest’ultimo ottimo esempio di dove può arrivare il Pinot Nero dell’Oltrepò Pavese con l’invecchiamento. In definitiva l’auspicio è che questo territorio sia sempre più consapevole della grandezza del suo patrimonio e sappia agire di conseguenza. Patrimonio, è importante ribadirlo, che non è solo vinicolo, ma anche paesaggistico e gastronomico, ovvero tutto ciò che oggi vuole trovare l’enoturista. Il tempo è galantuomo e l’Oltrepò si riprenderà il centro della scena, la dove merita di stare.
Credit ph: La foto di copertina è tratta dal sito del Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese