Una doppia personalità, un gioco perfettamente equilibrato fra dolcezza e vena acida per “Foxtail”, il primo vino passito delle cantine Claudio Quarta Vignaiolo, che racconta il territorio campano attraverso un vitigno autoctono dal grande fascino: il Coda di Volpe. Un vino celebrativo per una ricorrenza importante: i primi quindici anni di attività di Claudio Quarta Vignaiolo.
Domani venerdì 19 giugno alle 19 la presentazione ufficiale in un appuntamento “semivirtuale” con il produttore ospite dell’enoteca Garofalo Wine 1876 di Avellino per la degustazione, trasmessa in diretta sulla pagina Facebook Claudio Quarta Vignaiolo, in compagnia anche di chi sta ordinando il vino in queste ore dalla cantina per poterlo degustare in contemporanea.
«Foxtail è un piccolo tesoro: la volpe tra le colline tende a fuggire, ma qui l’abbiamo “catturata” in un ritratto dolce ed inedito», commenta Claudio Quarta, da anni alla ricerca del vitigno giusto per l‘esordio nella produzione dolce.
Il “Vignaiolo del Sud”, protagonista con la sua visione e linguaggio contemporanei di produzioni di grande valore in areali storici del Salento e della Campania, inizia dalla realizzazione di un fruttaio per l’appassimento delle uve, all’interno della Cantina Sanpaolo. Siamo a Torrioni, borgo in provincia di Avellino, che sorge in un’areale storico, capitale del Greco di Tufo DOCG nel cuore dell’Irpinia.
Un territorio unico dove i vigneti si coltivano fino a 700 metri d’altezza e la forte escursione termica ne esalta l’aromaticità. Qui, dove il terreno è vario tra l’argilloso, il calcareo, il sabbioso e ricco delle ceneri del Vesuvio, si allevano le uve dei bianchi Claudio Quarta Vignaiolo e l’Aglianico del suo Taurasi.
Nella stessa cantina che ha dato i natali al primo vino dedicato a Totò, Quarta comincia la sperimentazione per il suo passito, con uve diverse da quelle solitamente utilizzate per la produzione di vini passiti regionali. «Sin dall’inizio – spiega il vignaiolo – la mia idea era quella di un passito “diverso”, capace di esprimere una dolcezza non stucchevole, una piacevolezza delicatamente aromatica abbinata però a quella freschezza che è l’emblema del territorio irpino». La scelta è caduta sul Coda di Volpe, che ha le caratteristiche organolettiche che conquistano i Quarta.
Il Coda di Volpe è un vitigno campano antichissimo, di probabile origine greca, presente nella penisola italica già in epoca romana, come testimonia Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia (I secolo d.C.), il quale parla di «caudas vulpium», per indicare la forma curva del grappolo, come la coda di una volpe.
La vendemmia delle uve del Foxtail (provenienti dall’areale del Sannio, Benevento) è avvenuta l’11 ottobre 2018: i grappoli integri e perfettamente maturi sono stati posti in cassettine, selezionando i più spargoli, al fine di favorire il ricircolo di aria durante la fase di appassimento, avvenuto nella sala climatizzata della cantina a 24°C (Umidità Relativa 55%).
Le uve appassite sono state diraspate e vinificate il 3 novembre 2018 con una classica vinificazione in bianco, in acciaio a temperatura controllata, svolgendo esclusivamente la fermentazione alcolica. Il risultato è un passito dal colore giallo oro che colpisce per la sua doppia personalità: dolcezza piena e un tocco di acidità, in perfetto equilibrio. Finale lungo e complesso con sentori di miele e di frutta secca. Da abbinare ai dessert e ai formaggi stagionati.
Complice della scelta e del fascino subito dal vitigno Coda di Volpe, una storia sussurrata di orecchio in orecchio nella cantina irpina, arroccata su una collina vulcanica e circondata dai vigneti e dai boschi. Una storia che la famiglia Quarta, con la produzione della prima annata del Foxtail, desidera fermare sulla carta e legarla alla nascita del loro primo passito.
La volpe e l’uva irpina
Dal borgo di San Paolo nei pressi di Tufo, tra le colline della Campania, di tanto in tanto si poteva scorgere una folta coda arancione che si alzava e abbassava velocissima tra i filari di vite. Era la volpe dalla grande coda, agile e furbissima, che aveva l’abitudine di introdursi nei vigneti per predare l’uva bianca, fresca e succosa, coltivata in altura, nota per essere la più buona del principato. Un giovane vignaiolo da tempo le dava la caccia senza successo, ma un giorno riuscì ad avvicinarla pericolosamente ed era quasi sul punto di catturarla.
La volpe, con uno scatto fulmineo, si lanciò giù dalla collina e, per far perdere le sue tracce, si infilò in una fenditura scura e stretta della roccia non accessibile all’uomo.
Da lì penetrò in una parte delle grandi miniere abbandonate ai piedi del paese, note come le miniere Di Marzo. Ma il vignaiolo, che conosceva bene quei luoghi e i suoi percorsi, raggiunse per primo l’uscita e attese la bestia per catturarla.
La volpe, sorpresa appena fuori dal nascondiglio, reagì per difesa agitando la coda che, come per magia, era divenuta tutta d’oro e scintillante alla luce del tramonto. Consapevole del suo fulgore, si atteggiò a divinità, irraggiungibile e imbattibile, agitando il codone con orgoglio e spavalderia. Al vignaiolo, paralizzato da quell’apparizione e da tanta superba bellezza, non rimase che tornarsene alla sua cantina, rabbonito e perplesso.
Da quel giorno la volpe non si avvicinò più alla vigna, e quell’anno l’uva fu talmente dolce e preziosa, che il vignaiolo ne attribuì il pregio allo straordinario avvenimento. Le uve bianche e succose di quel raccolto furono conservate a lungo in cantina ad appassire, al fine di ottenere un vino dolce, concentrato, e dal colore dell’oro. Al vignaiolo piacque l’idea che il presunto prodigio verificatosi sotto i suoi occhi spiegasse il nome di quell’uva straordinaria. In realtà egli era ben consapevole che ancora una volta la volpe aveva dato prova della sua ben nota astuzia: aveva fatto credere di essere una divinità, abile nella metamorfosi, mentre aveva semplicemente assunto il colore dello zolfo attraversando la miniera.