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    Grenaches du Monde 2020: trionfano i Gamay del Trasimeno

    I Gamay del Trasimeno tornano a fare incetta di premi al Grenaches du Monde, concorso riservato ai migliori vini a base Grenache. Cinque le bottiglie del Consorzio Tutela Vini Trasimeno che si sono aggiudicate il trofeo: la medaglia d’oro è andata a Òscano 2018 dell’azienda agraria Carini, Divina Villa Riserva 2017 di Duca della Corgna e C’osa 2018 di Madrevite, mentre a Rosso Principe 2018 di Cantina Nofrini e a Etrusco 2015 dell’azienda agricola Coldibetto è stata consegnata la medaglia d’argento.
    C’osa, 100% Gamay del Trasimeno, si conferma sul gradino più alto del podio per il terzo anno consecutivo, mentre per Òscano, blend di Gamay e Sangiovese, si tratta del secondo oro dopo quello conquistato nel 2019. Balzo in avanti invece per il monovarietale Divina Villa Riserva, che lo scorso anno era stato premiato con l’argento.
    “Gli ottimi risultati ottenuti al Grenaches du Monde dimostrano che il nostro lavoro di valorizzazione e rilancio di questo vitigno autoctono sta dando i suoi frutti – commenta Emanuele Bizzi, Presidente del Consorzio Tutela Vini Trasimeno – E grazie alla passione e all’impegno dei nostri soci, i vini della DOC a base Gamay del Trasimeno si stanno facendo conoscere e apprezzare sempre di più in tutto il mondo.”
    Appartenente alla famiglia dei Grenache, stretto parente di Tai Rosso, Granaccia e Cannonau, il Gamay del Trasimeno si caratterizza per un colore rosso rubino luminoso, con sfumature granate e sentori intensi di lampone, amarena e mirtilli. LEGGI TUTTO

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    I vini d’Abruzzo ripartono dal Nord Europa

    Il Consorzio Tutela Vini d’Abruzzo, che anche nei mesi scorsi ha continuato ad investire in comunicazione e attività digitale, è ripartito alla grande anche con la promozione all’estero, alla “conquista” dei mercati strategici del Nord Europa. I vini abruzzesi sono stati protagonisti nei giorni scorsi del “Simply Italian Europe 2020 Tour” (organizzato da Iem-International Exhibition Management) incontrando buyer, operatori del settore e opinion leader in Norvegia, Danimarca e Polonia.
    “L’export per i vini abruzzesi vale più di 180 milioni di Euro* e il Nord Europa, pur essendo un mercato di piccole dimensioni, è di grande interesse per le nostre Aziende”, racconta Valentino Di Campli presidente del Consorzio. “Per il primo semestre di quest’anno, caratterizzato dalle criticità che tutti conosciamo, l’esportazione dei vini d’Abruzzo in Norvegia ha registrato una crescita importante (+23%)* rispetto allo scorso anno, la Danimarca ha accusato di più la crisi ma comunque è un mercato che regge; in questi Paesi il consumatore è sempre più attento e curioso e la nostra proposta vinicola può accontentare molteplici richieste; è importante essere presenti in queste occasioni di promozione – dove sono coinvolti diversi attori del “sistema” vino italiano –  presentandosi coesi ma ognuno con i  propri punti di forza, lo sappiamo bene in Abruzzo dove l’incidenza della cooperazione è la più alta d’Italia ”.
    Prima tappa il 21 settembre a Oslo, per poi arrivare il 22 a Copenaghen e chiudere il 24 a Varsavia: importatori, distributori, retailer, ristoratori, rappresentanti della stampa e opinion leader hanno partecipato alle degustazioni di Montepulciano d’Abruzzo e dell’Abruzzo Pecorino manifestando grande interesse per i vitigni autoctoni simbolo della “Regione verde d’Europa”, all’estero più che mai l’attenzione al binomio “territorio e vino” si rivela sempre più vincente.
    Incoraggianti quindi i dati del primo semestre sul Nord Europa, molto bene la Norvegia e spicca anche l’attività in Svezia – dove ci si deve attenere al monopolio – che registra un +15%* rispetto all’export del 2019; qui il Montepulciano d’Abruzzo è tra le prime quattro denominazioni DOC/DOCG di vino italiano più vendute.
    “Tra le tante sfide del particolare momento storico per il settore – e non solo – vi è anche quella di continuare a mantenere questi risultati stando al passo con un mercato – quello del Nord Europa – in continua evoluzione”, conclude Di Campli.
    *Dati elaborati dall’Osservatorio WineMonitorn Nomisma per il Consorzio Tutela Vini d’Abruzzo LEGGI TUTTO

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    Villa Cerna Chianti Classico Riserva 2016

    Il Villa Cerna Chianti Classico Riserva DOCG è un viaggio alle radici del Sangiovese, il frutto di una ricerca di oltre 10 anni sui cloni di questo vitigno e sui terroir del Chianti Classico. Fin dall’anno della sua acquisizione negli anni Sessanta, la tenuta di Villa Cerna a Castellina in Chianti ha assunto la funzione di un vero e proprio centro di ricerca e sperimentazione dedicato all’uva Sangiovese.
    Per identificare e portare alla luce i tratti più caratterizzanti del vitigno principe del Chianti Classico sono stati studiati i diversi cloni della varietà, ponendo una particolare attenzione alle selezioni massali. Sono poi seguite vinificazioni dei singoli vigneti per poterne valutare le caratteristiche sensoriali. I cloni risultati maggiormente interessanti sono poi stati impiantati a Villa Cerna in appezzamenti differenti per altitudine, per esposizione e per composizione del terreno.
    Il profilo della vendemmia 2016 è stato caratterizzato da alte temperature giornaliere, da un’accentuata escursione termica nel periodo estivo e da una scarsa piovosità che hanno generato uve sane, perfettamente mature e ricche di sostanze polifenoliche. L’annata 2016 di Villa Cerna Chianti Classico Riserva DOCG si distingue per la complessità e l’eleganza del suo profilo aromatico accompagnata da un’acidità che sostiene e dona equilibrio a una struttura imponente.
    Risultato di un’attenta selezione, il Villa Cerna Chianti Classico Riserva DOCG è composto per il 95% da uve Sangiovese e per il 5% da uve Colorino. Di colore rubino intenso, si apre al naso con note floreali seguite da sentori di frutti rossi e spezie. Al palato, frutta matura e spezie generano un piacevole equilibrio tra la componente acida, quella alcolica e la trama tannica.
    Solo 20.000 sono mediamente le bottiglie prodotte per ciascuna annata, consigliate in abbinamento a cacciagione, arrosti e formaggi stagionati. LEGGI TUTTO

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    Sentenza Tribunale per il vino a marchio “Fiorano”

    A stabilirlo è il Tribunale delle Imprese di Roma che, con la sentenza n.12313 emessa il 15 settembre 2020, ha definitivamente riconosciuto che l’unico marchio Fiorano legittimo è quello legato al nome del principe Alessandrojacopo Boncompagni Ludovisi, dichiarando nulli tutti gli altri marchi in circolazione utilizzati dalla Marchesi Antinori e proibendo la produzione e la commercializzazione di vini sotto tale nome.
    Si tratta di un riconoscimento giunto dopo una annosa controversia giudiziaria che ha visto prevalere le molteplici ragioni di Alessandrojacopo Boncompagni Ludovisi, chiamato in causa a difendere la sua legittima proprietà. Il Tribunale delle Imprese di Roma ha riconosciuto alla produzione dei vini del Principe a marchio Fiorano, e nello specifico ai vini Fiorano Bianco e Fiorano Rosso, Fioranello Bianco e Fioranello Rosso, non solo la “continuità storica” di un così pregiato vino ma anche la “notorietà” internazionale stabilendo addirittura un principio che farà giurisprudenza.
    Si è messa così la parola fine a tutti i tentativi di contraffazione, di copia e di utilizzo illegale da parte di terzi di un nome famoso nel mondo, sinonimo di qualità, tradizione, e di passione per una viticoltura impostata storicamente sul rispetto dell’ambiente.
    Il principe Alessandrojacopo Boncompagni Ludovisi, nella sua Tenuta di Fiorano in via di Fioranello 19, sull’Appia Antica, potrà così continuare – senza più rischiare di veder contraffatto il suo marchio – la produzione di un vino entrato ormai a far parte della storia e da lui continuata sul solco del rispetto e della memoria.
    CENNI SULLA CAUSA*Marchesi Antinori s.p.a.contro* Tenuta di Fiorano di Alessandrojacopo Boncompagni Ludovisi, avvocati Francesco Di Ciommo e Marco Cecilia* sentenza Tribunale Imprese di Roma n. 12313/2020 del 15 settembre 2020 LEGGI TUTTO

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    RICONOSCIMENTI GUIDE 2021

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    Poggio Torselli: il nuovo corso custode di una storia secolare

    Poggio Torselli inaugura un nuovo corso enologico nel Chianti Classico, adottando un’agricoltura sostenibile e rispettosa degli equilibri del territorio e delle persone che lo abitano. Testimone del cambiamento è l’annata 2017, la prima realizzata sotto la guida dell’enologo Eduardo Colapinto.
    La storia della tenuta quattrocentesca si arricchisce nei secoli: si susseguono diverse famiglie della nobiltà toscana, tra cui i Machiavelli, gli Strozzi e gli Antinori, ed è ristoro di personaggi illustri quali Papa Pio VII e lo Zar di Russia Paolo I.
    Dal 1999 Poggio Torselli è proprietà della famiglia Zamparini. Da sempre appassionati di agricoltura, Laura Giordani e il marito Maurizio scorgono il grande potenziale del luogo, sebbene al momento dell’acquisto la Villa, il giardino, il parco, gli uliveti e le vigne riversino in uno stato di abbandono. Dal 1999 al 2002 vengono realizzati imponenti lavori di restauro conservativo, in particolare del giardino all’italiana.
    I lavori di rifacimento dei vigneti e i reimpianti si protraggono fino al 2005. Tra il 2003 e il 2004 viene edificata la cantina, dove nel 2003 si vinifica la prima vendemmia. Nei primi anni il vino è un side business della Tenuta, un prodotto tipico e artigianale del luogo da proporre ai turisti in visita al Poggio. La vera svolta enologica avviene nel 2017 quando fa il suo ingresso in Cantina l’enologo Eduardo Colapinto.
    Laureato alla facoltà di agraria di Udine, nel 2011 Eduardo fa le valigie e parte per un “Erasmus nel mondo”, tra Argentina, Nuova Zelanda e, rientrato in Italia, un periodo a fianco di Jŏsko Gravner a Oslavia. L’incontro nel 2016 con gli Zamparini rivela una grande sintonia professionale e fa emergere un comune obiettivo: dare vita a prodotti esclusivi e in quantità limitata da presentare alla clientela secondo uno stile unico, curato nei minimi dettagli.
    Ciò traspare nel meticoloso lavoro in cantina, mirato a ottenere vini a minimo intervento umano e di alta qualità, impostando le attività come un affiancamento al lavoro che la natura di per sé compie ogni stagione, al fine di raggiungere e mantenere il suo equilibrio. Da qui la scelta di utilizzare tecniche di agricoltura biologica e biodinamica combinate a un approccio olistico alla vite, che non è vista come una pianta slegata dal contesto ma come membro di un più ampio organismo vivente.
    L’identità del frutto è rispettata senza alcuna aggiunta, a eccezione di una minima quantità di solfiti. Per quanto riguarda il processo fermentativo, questo avviene esclusivamente grazie a lieviti indigeni. Il vino, inoltre, sosta per lungo tempo sulle fecce, così da aumentarne la morbidezza e la complessità. La permanenza prolungata svolge una funzione protettiva del vino, permettendo di ridurre ulteriormente l’uso di solforosa. Anche l’uso del legno è poco invasivo, prediligendo botti grandi o barrique usate per far emergere il carattere originario del vitigno.
    La tenuta di Poggio Torselli conta 24 ettari vitati, la maggior parte coltivati a Sangiovese e una piccola parte a uve bianche, divisa tra chardonnay, sauvignon e traminer aromatico. L’annata 2019 ha prodotto un totale di circa 50.000 bottiglie, divise in tre IGT Toscana – Bizzarria bianco, rosso e rosato – e tre Chianti Classico DOCG: il Classico, la Riserva e la Gran Selezione, rispettivamente affinati per 12, 24 e 30 mesi come previsto da disciplinare.
    www.poggiotorselli.it LEGGI TUTTO

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    Tedeschi, iniziata la vendemmia all’insegna della sostenibilità

    Vigneto Maternigo
    Si entra nel vivo della vendemmia su tutto il territorio nazionale e per Tedeschi è iniziata da qualche giorno la raccolta dei primi grappoli. L’azienda, da sempre sensibile alle tematiche ambientali, è stata tra le prime realtà nel veronese ad ottenere la certificazione Equalitas, distintivo progetto di sostenibilità dedicato alla filiera del vino, che mette in atto le procedure riguardanti gli aspetti del sociale, dell’ambiente e del settore economico.
    Nel 2018 Tedeschi decide di intraprendere questo percorso di certificazione volontaria di sostenibilità dove il processo viene esaminato a tutto tondo e pone un’attenzione particolare a tematiche etiche imposte da certi mercati: sì alla tradizione, ma con uno sguardo lungimirante proiettato al futuro, nel pieno rispetto della sostenibilità, dalla gestione agronomica fino alla filiera enologica.
    Tra i vari obblighi della norma, spicca la redazione del bilancio di sostenibilità dove vengono analizzati vari punti, tra cui l’analisi delle aree critiche, gli obiettivi e le azioni di miglioramento; aspetto di primaria importanza, il documento è disponibile a chi ne faccia richiesta in azienda.
    Dichiara Sabrina Tedeschi: “Per le imprese che operano nel settore alimentare come la nostra, questa presa di coscienza si identifica con la capacità di fornire prodotti che coniugano sicurezza alimentare con costanza di fornitura, rispetto dell’ambiente, prezzo adeguato e in grado di generare valore aggiunto per il cliente secondo le regole del mercato e della normativa settoriale”.
    Nel 2019, Tedeschi si è impegnato a 360 gradi aggiungendo all’indicatore di biodiversità il bilancio del carbonio e il bilancio idrico dell’intera organizzazione e dei cru aziendali. A tal proposito, l’azienda, dopo aver analizzato tutti i vari processi e i singoli prodotti, ha rilevato che quasi la metà delle emissioni e dei consumi energetici sono da attribuire al packaging. Si è quindi deciso di sostituire le bottiglie destinate all’Amarone, così come per i due cru della Valpolicella, Fabriseria e Maternigo, con bottiglie più leggere rispetto al passato, riducendo in tal modo l’impatto delle emissioni in fase di produzione del vetro e in fase di spedizione del prodotto finito.
    Sono azioni sostenibili a favore dell’ambiente che rispettano e valorizzano il nostro territorio, punto di partenza imprescindibile per produrre vini di grande qualità.
    Un impegno prioritario e costante che si concretizza nei numerosi riconoscimenti ottenuti dalle principali testate internazionali e italiane, tra le quali ricordiamo Wine Spectator con 92 punti per il Marne 180 Amarone della Valpolicella Docg 2016 e 93 per il Capitel Monte Olmi Amarone della Valpolicella Doc Classico Riserva 2013, gli stessi vini sono stati premiati anche da Decanter con 95 punti; in Italia, Gardini Notes The Wine Sider dà un punteggio di 95+ al Capitel Monte Olmi Amarone annata 2013.
    Nell’ambito Guide, il Capitel Monte Olmi Amarone della Valpolicella Doc Classico Riserva 2105, nuova annata non ancora in commercio, sta raccogliendo numerosi consensi: i Tre Bicchieri del Gambero Rosso, i 97 centesimi di Doctor Wine e la Corona della Guida ViniBuoni d’Italia.
    Conclude Tedeschi: “Essere sostenibili oggi diventa un obbligo direi morale, convinti che l’intera filiera possa beneficiare di questi traguardi. Per capire che abbiamo intrapreso la strada giusta, basta pensare che l’Italia sta lavorando per raggiungere un’unica certificazione nazionale riconosciuta a livello comunitario”. LEGGI TUTTO

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    Il pecorino di Niko Romito

    Set 20th, 2020 by lastanzadelvino

    Niko Romito, non contento di essere uno dei migliori chef al mondo, decide di proporsi anche come vignaiolo. Grazie alle collaborazioni con il direttore generale della cantina “Feudo Antico” Andrea Di Fabio, e con l’enologo Riccardo Brighigna, viene avviato il progetto Casadonna, con un vigneto impiantato a 860 m sul livello del mare, proprio nella famosa Tenuta Casadonna di Niko Romito, nel comune di Castel di Sangro. La prima annata disponibile di questo pecorino d’altura è la 2013, ho avuto la fortuna di assaggiare la 2014, quella che all’epoca fu definita un’annata da dimenticare. La tanto vituperata 2014, invece, come già mi è capitato in altre occasioni, con lo scorrere del tempo sta regalando delle vere e proprie perle enologiche ed è anche il caso del pecorino Terre Aquilane Casadonna. Ha naso traboccante di profumi: cedro, ananas, frutta disidratata, torrone. In bocca ha un’acidità marcata, a tratti spigolosa, segno che ha ancora lo spazio e il tempo dalla sua parte. L’unico appunto sta nella persistenza: mi sarei aspettato più allungo, ma la grandezza di questa bottiglia è inconfutabile. Niko Romito non sbaglia niente.
    Tags: Andrea Di Fabio, casadonna, feudo antico, niko romito, pecorino, Riccardo Brighigna, terre aquilane

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