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    I risultati delle aziende vinicole italiane (escluse cooperative) 2022 – aggiornamento Mediobanca

    Eccoci alla seconda puntata dell’analisi dei dati del rapporto sul settore del vino prodotto dall’Area Studi Mediobanca, che ringrazio di aver condiviso. Le aziende vinicole italiane (ex cooperative) hanno generato un fatturato di 6.3 miliardi di euro nel 2022 e, per via della maggiore esposizione alle esportazioni (56%, contro il 39% delle cooperative) che sono cresciute di meno delle vendite italiane, hanno avuto una crescita del 7%. L’andamento dei margini è abbastanza sovrapponibile a quanto detto riguardo al campione totale: l’inflazione ha eroso i margini, circa 60-70 punti base, gli oneri finanziari sono cresciuti (+15%) per l’aumento dei tassi di interesse, l’utile netto scende del 10% rispetto al risultato eccezionale del 2021. Gli investimenti sono comunque cresciuti del 14% e sono stati quasi completamente riassorbiti dall’autofinanziamento, visto che il debito è rimasto stabile. Il 2023 sarà un anno nuovamente “difficile” dal punto di vista finanziario, visto lo stallo delle esportazioni e un mercato italiano comunque in crescita, ma molto meno del 2022. Sarà però un anno in cui si vedrà un graduale incremento dell’esposizione estera delle nostre aziende, non in termini di export ma di acquisizioni di aziende vinicole all’estero, una buona notizia per il processo di internazionalizzazione. Bene, per ulteriori dettagli e una tabella riassuntiva dei principali numeri vi invito a proseguire nella lettura del post!

    Le vendite delle aziende vinicole italiane crescono del 5.5% all’estero (3.5 miliardi) e dell’8.7% in Italia a 2.7 miliardi di euro.
    Nel 2022 il valore aggiunto cresce del 5% a 1.4 miliardi di euro, con una erosione del margine dal 23.2% al 22.7%, che si allarga a livello di margine operativo lordo, sceso dal 14.4% (livello record) al 13.7% per via dell’aumento del costo del personale del 9% (di cui +3.5% numero di addetti). Il MOL cresce del 2% a 857 milioni, mentre l’utile operativo è a +0.8% a 565 milioni.
    L’aumento degli oneri finanziari e degli oneri non ricorrenti sono poi la causa del calo dell’utile netto cumulato delle aziende, passato dai 405 milioni di euro record del 2021 a 362 milioni di euro.
    Queste 153 aziende hanno investito nel 2022 340 milioni di euro, il 14% in più del 2021, con un accenno alla ripresa del ciclo di investimenti, mentre hanno occupato 11233 addetti, 381 in più rispetto al 2021.
    Dal punto di vista finanziario, l’indebitamento è quasi stabile a 1.37 miliardi di euro, mentre il patrimonio netto cresce del 5% e il capitale investito del 4.9% a 8.5 miliardi di euro. Ne risulta un ritorno sul capitale investito del 7.3% (7.7% nel 2021) e un ROE (utile netto su patrimonio netto) intorno al 5%, in calo rispetto al 6% del 2021.

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    I risultati delle aziende e cooperative vinicole italiane 2022 – Rapporto Mediobanca

    Grazie alla cortesia degli esperti dell’Area Studi Mediobanca possiamo anche quest’anno analizzare il prezioso rapporto sul settore del vino (disponibile a questo link), con l’aggiornamento dei dati cumulati di 253 aziende vinicole che rappresentano il l’88% circa del comparto. I dati sono un anno in ritardo per via della disponibilità dei bilanci, e fanno quindi riferimento al 2022. Il quadro dell’anno è chiaro: recupero totale delle vendite perse nel periodo COVID (+9%), ma un forte impatto sui costi produttivi per via della fiammata inflazionistica che ha determinato una diluizione dei margini e, alla fine, utili inferiori al 2021 (solo marginalmente a livello operativo). Con investimenti quasi stabili in proporzione alle vendite (5%) e un indebitamento cumulato stabile, il rapporto debito/EBITDA è rimasto a circa 2.3 volte, il livello più basso da quando seguiamo il rapporto, a significare che le aziende vinicole italiane hanno spazio per investire (e Antinori, per esempio ma non solo, lo ha fatto con un sostanzioso investimento in USA). Il 2023 sarà un anno di transizione con vendite stabili (secondo il sondaggio di Mediobanca, che applica a una buona quota delle aziende) e, presumibilmente, costi che tornano sotto controllo. Mettendo tutto insieme, difficilmente il 2023 potrà mostrare significativi progressi. Proseguiamo l’analisi nel resto del post con numerosi grafici e dati riassuntivi.

    Il fatturato 2022 delle aziende vinicole italiane è cresciuto del 9% a 11.75 miliardi di euro, di cui 5.95 miliardi realizzato all’estero (+7%) e 5.8 miliardi in Italia (+11%). Risulta quindi un bilanciamento quasi perfetto tra vendite domestiche ed esportazioni, in linea con quanto visto negli ultimi 10 anni.
    Le pressioni inflazionistiche hanno avuto un forte impatto sui costi esterni (+10.5%), che hanno determinato una leggera diluizione del valore aggiunto, cresciuto del 4% e dunque sceso dal 19.6% al 18.6%. Con un costo del personale in crescita del 7%, il Margine Operativo Lordo è praticamente stabile in valore (+1%), con un margine calato dal 10.9% al 10.1%. Gli ammortamenti sono cresciuti del 4% portando a un leggero calo in valore assoluto dell’utile operativo, da 700 a 690 milioni.
    I maggiori tassi di interesse hanno determinato un forte incremento degli oneri finanziari (+21%), nonostante il debito sia rimasto praticamente stabile (2.7 miliardi di euro) e a completare il quadro la tassazione è leggermente cresciuta (dal 21.5% al 22%), come i componenti non ordinari. Alla fine dei conti, l’utile netto cala da 507 a 434 milioni, anche se va detto che il confronto era con un 2021 “eccezionale”.
    A livello finanziario e patrimoniale, il capitale investito cresce da 11.9 a 12.45 miliardi di euro (nonostante un miglioramento della gestione del circolante), con un debito stabile a 2.7 miliardi. Il rapporto con il patrimonio netto migliora, mentre quello con il MOL resta stabile a 2.3 volte, il livello più basso di sempre.
    Tutto considerato il ritorno sul capitale del settore è al 6% (contro il 6.3% del 2021), dato che però sconta il peso delle cooperative.
    Infine, gli investimenti sono stati 586 milioni di euro, in crescita del 12% rispetto al 2021, a fronte di un fatturato cresciuto come dicevamo del 9% e di un MOL a +4%.

    Prossimo appuntamento l’analisi delle aziende italiane “a scopo di lucro”, quindi ex cooperataive e poi quelle specializzate nella produzione di spumanti.

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    Il valore dei vigneti in Italia per regione e provincia – dati CREA, aggiornamento 2022

    L’edizione 2022 del database CREA sul valore dei vigneti in Italia per regione, provincia e zona ha subito una revisione dei dati di alcune regioni che ha apportato ad alcune modifiche rispetto al passato. Per questo motivo, se confrontate i post passati con questo, non erano sbagliati quelli prima, sono stati cambiati da quest’anno. Seconda premessa: il post contiene alcuni dati, mentre quelli completi sono disponibili nella sezione Solonumeri.
    Fatte le premesse, i dati indicano per il 2022 un incremento del valore dei vigneti in Italia del 2.3% a 57500 euro per ettaro, con i maggiori incrementi in Piemonte (+8%), Lombardia e Friuli Venezia Giulia (+4%). Il grafico sopra è quello “critico” perché nel 2022 l’inflazione è stata protagonista, determinando in media annua un perdita di potere d’acquisto del 13.4% (11.3% dicembre su dicembre). Quindi, partendo da 56200 euro all’ettaro nel 2021 per “mantenere il valore reale” il valore dei vigneti sarebbe dovuto crescere a 63800 euro (+13% appunto), e questo non è stato, nemmeno in Piemonte. Si può dunque dire che, come vedete dalla riga verde chiaro, il valore dei vigneti sebbene cresciuto in termini nominali ha subito una forte riduzione in termini reali. Se scendiamo ancora più nel dettaglio della provincia, troviamo Firenze con +13.6%, unica provincia dove la crescita del valore ha battuto l’inflazione, secondo CREA. Bene, tabelle, grafici e ulteriori commenti sono nel resto del post, come al solito.

    Il valore dei vigneti in Italia nel 2022 è cresciuto secondo CREA del 2.3% a 57500 euro per ettaro. Si tratta di una accelerazione rispetto al passato ma ovviamente non in grado di compensare per l’inflazione (dicevamo 13% in media annua 2022). Nel periodo 2017-22 la crescita è dello 0.9% annuo (inflazione circa 3.4%), nel periodo 2012-22 dell’1% annuo (inflazione 2%).
    Veneto e Trentino Alto Adige spiccano per il valore assoluto (rivisto) dei vigneti con 142mila euro e 343mila euro per ettaro rispettivamente, seguiti dal Piemonte con 80mila euro.
    Se invece guardiamo i dati in termini di crescita nel medio termine sono soprattutto Piemonte e Toscana a mostrare le migliori dinamiche (+3% e +2% annuo sui 5 anni), a dimostrazione che alla fine i prezzi che spiccano i vini si “scaricano” anche sul valore delle terre dove vengono prodotti. Anche otticamente guardando la tabella vi potete accorgere che la dinamica dei prezzi nel Nord Italia è superiore al Centro che, a sua volta, supera le regioni del Sud.
    A livello provinciale e guardando alle dinamiche sugli ultimi 5 anni ritroviamo gli stessi punti. Cuneo +3.5% annuo 2017-22 e Brescia +3.5% sono le provincie con la maggior crescita. Qualche sorpresa (o dubbio) viene da alcune zone del Sud come Catania dove i prezzi delle uve sono cresciuti molto, mentre il valore dei vigneti sembra non essere cresciuto.
    Vi lascio ai grafici e alle tabelle.

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    Canada – consumi e mercato del vino, dati 2021/22

    Dopo qualche anno di assenza, torno in queste vacanze pasquali sui dati di consumo di vino canadesi, che sono riportati da Statistics Canada in modo molto puntuale anche se “ritardato”. Parliamo oggi infatti dei dati a giugno 2022 (per i 12 mesi precedenti). Le prospettive sembrano cambiare negli ultimi anni: se il mercato continua a crescere di anno in anno in valore (8.2 miliardi di dollari canadesi, +2%, 5.6 miliardi di euro), l’andamento dei volumi segna il passo nel 2022 (-4%, 5.16 milioni di ettolitri), con un calo marcato dei vini rossi, ma in parte anche dei vini bianchi, a vantaggio dei vini spumanti (e con una piccola crescita dei vini rosati). Ora, questa tendenza va anche a svantaggio dei prodotti locali, che ovviamente sono poco esposti alla produzione di vini spumanti (solo il 12% dei consumi), rispetto a quella dei vini bianchi (39%) e rossi (26%). Infine, dopo un temporaneo incremento durante gli anni del Covid e quelli immediatamente precedenti, la quota del vino sulla spesa totale dei canadesi in bevande alcoliche (26 miliardi di dollari canadesi) torna a scendere al 31.3%. Bene, nel resto del post trovate tabelle dettagliate degli ultimi anni e un commento completo.

    Il consumo di vino in Canada scende del 4% in volume nel 2021/22 a 516 milioni di litri, mentre cresce del 2.1% in valore a 8.19 miliardi di dollari canadesi.
    Il mercato resta fortemente orientato sui vini rossi, che rappresentano il 52% della spesa in vino, seguita dai vini bianchi al 33%, dai vini spumanti all’8% e ai vini rosati con il 4%. In volume, i vini rossi scendono al 50% dei consumi, i bianchi salgono al 38%, i vini spumanti sono il 5% e i vini rosati sono il 3%.
    Le tendenze di medio termine sono allineati a quanto dicevamo nel commento sopra. I vini rossi sono stabili in valore nel 2021/22 ma crescono ancora del 2% annuo sui 5 anni, a 4.28 miliardi di dollari, mentre in volume scendono del 6% a 2.58 milioni di ettolitri (stabili sui 5 anni).
    I vini bianchi crescono dell’1.5% nel 2021/22 a 2.7 miliardi ma rallentano rispetto ai 5 anni, ancora a +3%. In volume i consumi scendono del 3.2% a 1.97 milioni di ettolitri, ma restano a +1.4% annuo sui 5 anni.
    La crescita più forte è sui vini spumanti, che toccano quota 624 milioni di dollari, +21% nel 2021/22 e con un ritmo di crescita del 9% annuo sui 5 anni. Anche sui consumi in volume i dati sono molto positivi: +15% nel 2021/22 a 25 milioni di litri, +6% annuo dal 2016/17.
    Infine, i vini rosati crescono del 7% in valore e del 4% in volume nel 2021/22 e forti del balzo dell’anno precedente hanno dei tassi di crescita importanti sui 5 anni, +12% a valore e +9% annuo a volume.

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    I principali ecommerce italiani di vino – dati 2022

    Dopo il boom del Covid, riproponiamo i dati dei principali ecommerce di vino italiani, come disponibili dai bilanci acquistati al Registro delle Imprese, relativi al 2022. La lista non è ovviamente esaustiva ma include quelli che mi pare siano i principali operatori per dimensione nel mercato. Il 2022 è stato un anno negativo per tutti dal punto di vista commerciale, con un calo di vendite nell’intorno del 20% rispetto al picco del 2021, causa normalizzazione dalle restrizioni del Covid. È stato però anche un anno in cui i margini sono migliorati (leggi meno sconti ai clienti) e ci si è avvicinati al punto di sostenibilità economica, che però non è stato raggiunto da nessun operatore salvo che per Bernabei, la cui struttura è però non interamente chiara. Un’altra considerazione che appare evidente dai dati (numerose tabelle disponibili all’interno del post) è che la volontà dei soci di investire in queste aziende ne ha determinato in larga parte la spinta commerciale. I soci hanno messo oltre 50 milioni in Tannico dal 2016 a questa parte, inclusi quelli per l’acquisizione francese, e nel 2022 le vendite erano a 70 milioni, quasi 20 sono quelli messi in Vino.com e l’azienda è la seconda in Italia con 35 milioni di fatturato. Bene procediamo con l’analisi all’interno dove trovate dettaglio di fatturati, margini, utili e perdite, contributi dei socie e peso del magazzino sul fatturato.

    Tannico è il leader italiano nell’ecommerce di vino se consideriamo l’acquisizione francese, con 70 milioni di fatturato. Resta il leader italiano per le vendite in Italia con 30 milioni nel 2022, mentre come entità legale sarebbe in teoria stato superato da Vino.com sia nel 2021 (43 a 33 milioni) che nel 2022 (35 contro 32).
    Ad ogni modo, il 2022 è stato un anno di calo per tutti. -5% per Tannico senza l’acquisizione (2x con Ventealaproprieté), -20% per Vino.com, -28% per Bernabei, -10% per Xtrawine, -5% per Callmewine.

    I margini sono migliorati per tutti e sono mediamente il 28% del fatturato: stiamo parlando di quello che resta dopo il costo del venduto e prima dei costi di spedizione e magazzino. Il margine più elevato è di Tannico (31%), il più basso quello di Xtrawine (26%). Tutti salvo Bernabei, chi più chi meno, continuano a perdere soldi a livello di utile netto come potete vedere dalla tabella sotto, partendo dagli 8 milioni di perdita di Tannico fino alla più moderata di 1 milione di Callmewine e Xtrawine (che però sono molto più piccole).
    Trovate poi una tabella con l’apporto dei soci per Tannico (51 milioni), Vino.com (19 milioni), Callmewine (4 milioni) e Xtrawine (1 milione) dal 2016 a questa parte.
    E, per finire, un indicatore interessante sull’efficienza di questi operatori: il peso del magazzino a fine anno sulle vendite. Come vedete il più efficiente e l’unico in miglioramento sembra Vino.com con soltanto l’8% mentre Tannico sale al 20% probabilmente per l’acquisizione di Ventealaproprieté che han un modello diverso. Il calo del fatturato visto nel 2022 determina per tutti gli altri operatori un appesantimento del magazzino relativamente al fatturato.

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    Il consumo di vino in USA – aggiornamento Wine Market Council 2021-22

    Diciamolo subito: senza l’intelligenza artificiale non avrei mai trovato questo materiale del Wine Market Council.
    Il Wine Market Council dicevo appunto sviluppa statistiche sulla struttura dei consumi americani di vino. Come potete immediatamente leggere dalle statistiche soltanto un terzo degli americani consuma vino, mentre quasi il 40% non beve niente o quasi niente. Ci troviamo dunque di fronte a un mercato grande ma “diverso” da quelli vicini a noi. Innanzitutto, per gli americani il consumo “abituale” non è giornaliero. Soltanto il 7% di quel 33%, quindi il 2% degli americani beve vino giornalmente. È più da intendere come abitudine settimanale (la metà dei bevitori) o anche meno che settimanale (circa il 45%). C’è poi un tema di fasce di età, che invece accomuna credo tutti i paesi del mondo: i giovani bevono meno vino e più bevande alcoliche, forse per le abitudini della loro età (e allora si trasformerà), ma forse anche per stili di consumo diversi. Così si scopre che a fronte del 40% circa di americani 70enni o più che bevono vino, meno del 30% della fascia 21-29 anni lo fa. Il tutto nell’ambito di un consumo di vino che in % alla popolazione totale è arrivato nel 2021 al minimo degli ultimi anni (la storia arriva al 2015), con un calo sia dei consumatori abituali che di quelli sporadici (il che differisce dai nostri mercati in cui i primi scendono e gli altri salgono). Ah, ultima cosa non meno importante: le donne consumano più vino che gli uomini, non viceversa come da noi! Bene, se vi interessa l’argomento nel resto del post ci sono ulteriori dettagli, grafici e tabelle.

    Il consumo di bevande alcoliche in USA copre il 72% della popolazione oltre 21 anni, ossia 251 milioni di americani. Di questi, il 10% beve raramente, il 29% beve bevande alcoliche che non sono vino, il 15% beve vino ma non più di una volta al mese, mentre il rimanente 18% beve vino con una frequenza almeno settimanale.
    Soltanto il 2.3% della popolazione americana in età compatibile con il consumo di bevande alcoliche beve vino con una frequenza giornaliera. Giusto per confronto, se leggete i post relativi a Francia e Italia trovate questa penetrazione all’11% e al 17% rispettivamente.
    I bevitori abituali di vino (quindi “settimanali”) sono poi in proporzione all’età dal 16% della popolazione giovane al 23% della popolazione di ultra70enni. Lo stesso in realtà vale per quelli sporadici (“mensili o meno”), dal 13% dei giovani al 16% degli anziani.
    Altre considerazioni sembrano essere interessanti: gli astemi sono meno tra i giovani che tra gli anziani: 20-25% contro 37%. Come già sappiamo guardando i nostri dati, i giovani bevono “altre bevande alcoliche”: il 35% del totale contro il 14% del totale.
    Chiudo con un paio di considerazioni ulteriori altrettanto interessanti: in USA sono più le donne che gli uomini a bere vino (28% contro 38%), mentre dal punto di vista della provenienza, soltanto gli ispanici bevono meno vino (ma più altre bevande, presumibilmente birra).

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    Consumo di vino in Francia (dati 2022) – confronto con Italia e focus sui giovani

    Fonte: France AgriMer
    Le indagini sui consumi di vino destano sempre il mio interesse, sia per capire le differenze tra diverse culture, sia soprattutto per capire se e quanto il settore del vino sarà soggetto a un declino nel lungo termine. Il rapporto sui consumi di vino in Francia è costruito in modo simile a quello italiano e sottolinea un calo strutturale nel consumo di vino, soprattutto nel segmento dei giovani. Il confronto con i dati italiani mette però in luce importanti differenze. Innanzitutto il consumo di vino in Francia è più diffuso che in Italia: il 63% dei francesi beve vino contro il 55% degli italiani. In secondo luogo, la preoccupazione del calo della penetrazione tra i giovani francesi non si vede nel mercato italiano. Come mai? Il consumo di vino tra i giovani in Francia viene da % elevatissime: nel 2015 il 67% dei giovani tra 18 e 24 anni consumavano vino contro il 40% degli italiani. È ovvio che ora sono scesi al 54%, mentre in Italia da una base più bassa si è saliti grazie al consumo sporadico (e credo al prosecco e agli aperitivi) al 45%. Idem per la fascia di 25-34 anni (35 per i francesi, ma fa niente): loro partivano dal 72%, noi dal 54% della popolazione nel 2015, loro hanno perso 5 punti e noi ne abbiamo guadagnati 4. Dunque tirando le fila, sembra chiaro che i francesi bevono di più (il 81% beve bevande alcoliche contro il 66% in Italia) e che dunque avranno più da perdere in futuro, anche se c’è un numero che non torna nel ragionamento: soltanto l’11% dei francesi beve vino tutti i giorni contro il 17% degli Italiani. Passiamo a qualche dato in più.

    Il rapporto sul consumo di vino e bevande alcoliche confronta i dati 2022 con il 2015, mostrando un incremento dal 33% al 37% delle persone che non bevono vino in Francia, mentre i consumatori regolari sono scesi dal 16% all’11% della popolazione. Sono anche in calo quelli che i francesi chiamano “sporadici frequenti”, dal 21% del 2015 al 19%, mentre crescono gli “sporadici rari”, dal 30% al 32%.
    Ovviamente l’età dei consumatori è un fattore importante (e perdonerete il copia-incolla brutale del grafico). I non consumatori sono inversamente proporzionali all’età (salvo a età avanzate, per motivi di salute), il contrario per i consumatori. Vedrete però che chi consuma vino tutte le settimane è meno del 30% della popolazione in tutte le fasce di età.
    Il confronto con l’Italia che proponiamo nell’apertura è particolarmente interessante e mostra chiaramente come il consumo di vino sia più radicato in Francia che in Italia, soprattutto mi viene da dire tra i giovani. Le percentuali di consumo sono molto diverse anche nel 2022, nonostante la convergenza: il 54% dei francesi tra 18 e 24 anni consuma vino contro il 45% degli italiani, il 67% contro il 59% dei 25-34enni. Dall’altra parte è anche vero che secondo le indagini ISTAT il 17% degli italiani beve ancora vino tutti i giorni, mentre secondo l’istituto francese France Agrimer questa abitudine è propria soltanto dell’11% dei francesi.

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    Il valore dei vigneti in Italia per denominazione – dati CREA, aggiornamento 2022

    Un anno fa di questi tempi ci domandavamo se la crescita dei prezzi dei vigneti nel 2022 fosse stata in grado di compensare la fiammata inflazionistica (8%). Il post di oggi è il primo dei due che affrontano questo tema (per il secondo i dati non sono ancora pubblicati) e offre una visione sui prezzi (minimi e massimi) di circa 70 denominazioni/aree vinicole italiane. Molti di questi prezzi che trovate nel post (e nella sezione Solonumeri, con i dati annuale che arrivano indietro fino al 2000) non sono cambiati, ma altri per esempio in Friuli Venezia Giulia, Valtellina o nelle Langhe hanno subito un sostanzioso aggiornamento (per spiegarci: molti di questi valori restano uguali per anni e poi vengono aggiornati “tutto in un compo”). Ad ogni modo, la media di questi aggiornamenti dice 4% circa, ossia la metà del tasso di inflazione. Qualche segno lo avevamo già visto nel 2021, quando all’inflazione del 2% corrispondeva un incremento del valore dei vigneti dell’1.6% medio. Comunque, tutto dentro, in media avendo acquistato un vigneto a 100 nel 2000 il suo valore a fine 2022 sarebbe di circa 170.
    I vigneti più costosi nel loro prezzo massimo si confermano quelli delle Langhe, dove ora viene esposto un valore di 2 milioni a ettaro (era 1.5 milioni fino al 2021), poi viene Montalcino (0.9 milioni), Lago di Caldaro (0.9 milioni), Bolgheri (0.7 milioni), Valdobbiadene (0.6 milioni) e via tutti gli altri. Giusto per chiarire: la zona della Valpolicella/Verona non sono censite in questo rapporto. Continuiamo l’analisi nel resto del post.

    L’incremento di cui dicevamo sopra del 3.8% deriva dall’aggiornamento in positivo di circa 25 zone vinicole.
    Tra queste, gli incrementi più importanti sono relativi ai vigneti DOC nelle colline del Taburno (+50%), a quelli di Barolo DOCG (+32%), Bolgheri (+31%), Montalcino (+21%), Gattinara DOCG (+19%), Valtellina (+17%), Colli Orientali del Friuli e Pordenone (+15%), dei vigneti DOCG del Chianti Classico (+11%) e della collina piacentina (+11%).
    Nel loro punto medio sono stati invece rivisti leggermente al ribasso i vigneti dei vini da tavola (a tendone) a Caltanisssetta (-1%), i vigneti DOC nelle colline di Montefalco (-2%), quelli da tavola irrigui nella pianura di Monopoli (-4%) e quelli DOC nelle colline del Calore (-5%, annotazione: si tratta di una zona nel Beneventano).
    Vi lascio alla consultazione delle tabelle finali!

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