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    Ca’ di Rajo, Aganis, Bellussera, Friulano, Tai e altre storie

    Non dovremmo mai dimenticare che la ricchezza del patrimonio ampelografico italiano è caratterizzato non solo dai sistemi di allevamento della vite più moderni, ma anche da antichi metodi che persistono ancora oggi, grazie alla dedizione di un gruppo di viticoltori appassionati, che definirei eroici per la loro straordinario impegno. Questi antichi sistemi di allevamento hanno attraversato i secoli e rappresentano una testimonianza concreta della capacità dell’umanità di modellare la natura e l’agricoltura in forme più adatte ai nostri ambienti di vita. Uno degli esempi più vividi in tal senso è la Bellussera, metodo di allevamento della vite basato su un sistema a raggi, messo a punto dai fratelli Bellussi alla fine dell’800.

    Allevamento a Bellussera

    A San Polo di Piave, in provincia di Treviso, c’è chi non solo preserva, ma addirittura rilancia con nuovi progetti questa forma di allevamento storica per la viticoltura italiana che è la Bellussera. Si tratta dell’azienda Ca’ di Rajo, guidata dalla famiglia Cecchetto. Nonostante l’impossibilità di meccanizzarne le operazioni di potatura e vendemmia, Simone, Alessio e Fabio Cecchetto, non hanno mai nemmeno lontanamente pensato di estirpare i 15 ettari di viti di oltre 70 anni, anzi, hanno difeso a spada tratta un metodo di allevamento tipico di quest’area di risorgiva che si snoda lungo le terre del fiume Piave.

    Simone, Fabio e Alessio Cecchetto

    La viticoltura in questo vigneto si può condurre esclusivamente a mano: la vendemmia si compie a circa 3 metri da terra, sotto le viti disposte a raggiera e lo stesso vale per la potatura. Le operazioni di raccolta delle uve si svolgono grazie a un rimorchio e a un pianale che consentono di raggiungere l’altezza necessaria. La Bellussera, infatti, prevede un sesto di impianto ampio dove pali in legno di circa 4 metri di altezza sono tra loro collegati da fili di ferro disposti a raggi. Ogni palo sostiene 4 viti, alzate circa m. 2.50 da terra, da ciascuna delle quali si formano dei cordoni permanenti che vengono fatti sviluppare inclinati verso l’alto e in diagonale rispetto all’interfilare, formando una raggiera.

    Nei 15 ettari a Bellussera Ca’ di Rajo coltiva le varietà raboso, glera, chardonnay, pinot bianco, sauvignon, verduzzo, merlot. A queste si aggiungono il manzoni rosa, autoctono ormai raro. Ma è grazie alla famiglia Paladin di San Polo di Piave, loro conferitore e proprietaria del vigneto, che i Cecchetto sono venuti a conoscenza dell’esistenza di una Bellussera coltivata a tai (tocai friulano). Ovviamente, visto l’impegno per la salvaguardia del patrimonio vitivinicolo del territorio del Piave, i Cecchetto hanno adottato il vigneto con l’intento di dare il via a un progetto di vino davvero unico: Iconema, un Tai da Bellussere centenarie.

    i vigneti di Aganis circondati dalle Alpi Giulie

    Muoversi su vecchi percorsi, magari tracciati dai propri antenati, nonostante le difficoltà, è di sicuro confortevole ma alla lunga potrebbe diventare poco stimolante. Simone, Alessio e Fabio Cecchetto, decidono così nel 2012, ma con un progetto che si concretizza nel 2021, di reiventarsi da capo su strade nuove, nasce così Aganis, cantina nata dalle ceneri di una realtà dismessa da tempo nei pressi di Borgo Salariis a Treppo Grande in provincia di Udine, siamo nella punta estrema dei Colli Orientali del Friuli. Le Agane (Lis Aganis) sono antichi spiriti dei fiumi friulani che prendono spesso le sembianze di giovani donne. Il mito le considera protettrici dei pescatori e degli agricoltori.

    vigneti di Aganis nei Colli Orientali del Friuli

    Nella proprietà friulana dei Cecchetto c’è grande attenzione per gli autoctoni, ribolla gialla, malvasia, refosco dal peduncolo rosso e, least but not last, l’autoctono per eccellenza, il friulano (ex tocai). Nasce da qui l’idea di mettere confronto in un viaggio/testing, tra Veneto e Friuli, il friulano e il tai, non solo due territori diversi ma anche due metodi di allevamento della vite diversi: da un lato La Bellussera centenaria per Iconema, il Tai Doc Piave di Ca’ di Rajo e dall’altro il guyot per Incjant Friulano DOC. Visto che poi il progetto Aganis è fortemente incentrato anche sulla produzione di tre spumanti, ottenuti da uve malvasia, ribolla gialla e pinot nero, la degustazione ha allargato i suoi orizzonti al Balsim, uno charmat lungo ottenuto da uve 100% malvasia istriana. Vediamo com’è andata.

    La degustazione

    Balsim Malvasia Millesimato 2021 Brut

    È dalle bottiglie che apri senza grandi aspettative che spesso arrivano le sorprese. Da uve 100% malvasia istriana. Charmat lungo, che sosta in autoclave 10/12 mesi, davvero notevole, anzi mi sbilancio, per tipologia sicuramente uno dei più intriganti assaggiati negli ultimi anni. Balsim, che in friulano significa toccasana per l’appunto, è spumante di grande freschezza con un olfatto di frutta matura/candita di grande impatto. Vino di bella piacevolezza per chi è in cerca di una bollicina diversa.

    Incjant Friulano 2022

    Mi immagino la trepidazione dei Cecchetto nel misurarsi con uno dei vini simbolo del Friuli, diciamo subito che la sfida è vinta, bravi, ottimo tocai, sapido e profondo con una leggera nota fumé che ne amplifica l’eleganza. Aganis sta lavorando a delle riserve, le attendo con grandi aspettative.

    Iconema Tai Doc Piave 2020 (Bottiglia 21 di 1200)

    Tai ottenuto da uve di un vigneto, allevato a Bellussera, che risale ai primi anni del Novecento. Un vigneto di proprietà della famiglia Paladin di San Polo di Piave che la cantina ha “adottato” sostenendone la salvaguardia.  Le uve, vendemmiate a mano, vengono adagiate su graticci e selezionate per un appassimento di circa 25 giorni. Il 30-40% del mosto fermenta in tonneaux. Per l’affinamento successivo una parte sosta in acciaio, una parte in ceramica e una parte in barrique per poi arrivare al blend e uscire in bottiglia, almeno dopo un ulteriore anno, in edizione limitata e numerata. Un Tai davvero unico, ancora una volta capace di confermare tutta la grandezza delle uve tocai friulano che in questo vigneto allevato a Bellussera si esprimono con caratteristiche davvero uniche, soprattutto in quanto a sapidità. Un vino da consigliare a tutti i bianchisti incalliti alla ricerca di novità.  LEGGI TUTTO

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    Gli spumanti Trentodoc e l’effetto kokumi

    Kokumi è un termine giapponese che significa “ricco di sapore”, una caratteristica che una recente ricerca della Fondazione E.Mach (FEM) ha permesso di attribuire ai vini bianchi e agli spumanti Trentodoc. Si tratta di una nuova classe di composti naturali, finora inesplorati, che possono contribuire a modulare il sapore dei vini stessi. I risultati di questo studio sono stati presentati nei giorni scorsi a Davis, in California, nell’ambito della tredicesima edizione di “In Vino Analytica Scientia 2024”, il più importante convegno mondiale enologico che ogni due anni riunisce i migliori scienziati del settore da tutto il mondo. Quest’anno erano presenti oltre 150 delegati in rappresentanza di 15 paesi diversi.Riceviamo e volentieri pubblichiamo il seguente comunicato ufficiale: (il grassetto è nostro, n.d.r)“Nei vini bianchi esiste un effetto “kokumi” (dal giapponese, koku – ricco e mi – sapore), ossia il vino contiene sostanze che, tramite l’interazione con una proteina recettore sensibile al calcio, sono in grado di conferire una maggiore gradevolezza al palato aumentandone il gusto percepito e la pienezza e complessità del sapore. Come si è arrivati a questa scoperta? Un team di ricercatori della FEM, in collaborazione con i colleghi delle Università di Parma e di Napoli Federico II, sono riusciti a mettere a punto un metodo per analizzare una classe di composti finora inesplorata nei vini, gli oligopeptidi. Con una nuova tecnica sviluppata nell’Unità di Metabolomica FEM, sono stati esplorati 15 campioni di Trentodoc di 5 diverse annate, quantificando ben 94 composti. Altre analisi, condotte a Parma e a Napoli, hanno confermato che questi composti sono in grado di modificare le proprietà sensoriali dei vini bianchi. Le analisi microbiologiche condotte in FEM hanno inoltre scoperto che i composti formati sono originati dai lieviti a partire dalle uve, e sono del tutto diversi rispetto a quelli che si producono fermentando altre matrici, ad esempio nel sidro o nella birra. Le analisi condotte su spumante Trentodoc riserva hanno confermato che questi stessi composti “kokumi” sono sempre presenti, in concentrazioni variabili. La qualificata platea ha accolto molto favorevolmente la nuova ipotesi esposta dal prof. Fulvio Mattivi (Fondazione Mach), cui è stato assegnato il prestigioso ruolo di avviare i lavori del convegno con la conferenza plenaria di apertura. Le scoperte esposte dal prof. Mattivi aprono la strada a future ricerche per comprendere e governare la formazione di queste sostanze naturali, capaci di impattare sul sapore del vino.Ma a Davis si è parlato anche dei problemi di invecchiamento dei vini; in particolare, sono stati esposti dalla dott.sa Silvia Carlin (Unità di Metabolomica, FEM) i risultati di una ricerca in cui si è simulato l’invecchiamento di vino spumante in condizioni “forzate” a temperature elevate, confrontando gli esiti con una conservazione naturale in una cantina professionale. La ricerca contribuisce a migliorare significativamente il potenziale predittivo dei test di invecchiamento accelerato, effettuati su vini spumanti giovani, al fine di selezionare i vini più adatti a produrre vini spumanti destinati ad un invecchiamento prolungato, le riserve. Infatti, anche sotto la pressione dei cambiamenti climatici, diventa difficile assicurarsi che una partita di vino base spumante abbia le caratteristiche per produrre uno spumante riserva, senza sviluppare nel tempo note indesiderabili, quali ad esempio le note sgradite da idrocarburi o da sapone di Marsiglia. Il metodo sviluppato in FEM è un’arma utile nel controllo di qualità, da oggi a disposizione dei produttori di vini riserva, per scegliere le partite da lavorare scartando quelle che potrebbero generare dei vini difettosi.Infine, sempre in relazione al possibile miglioramento delle tecnologie di cantina, la dott.sa Adelaide Gallo ha presentato i risultati della tesi di dottorato sviluppata presso la cantina sperimentale del Centro Trasferimento Tecnologico della Fondazione Mach, proponendo nuove soluzioni biotecnologiche utili alla stabilizzazione proteica dei vini in alternativa all’utilizzo della bentonite, con una notevole semplificazione delle pratiche di cantina; la nuova tecnologia si avvale dell’azione di enzimi endopeptidasici.” LEGGI TUTTO