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    La rivincita dei Bastardi in Culla

    Da millenni uomini e viti sono compagni di viaggio, per questo bisognerebbe considerare la viticoltura anche come una  scienza storica, e i vitigni come libri di storia.Vicende umane e ambientali, cicli climatici, usi e costumi alimentari. Sono più le cose che il vino può raccontare di altro da se’,  che quello che riesce ad esprimere di se’ come bevanda. Per questo uno dei filoni di ricerca più interessanti è quello del recupero/riscoperta dei vitigni antichi. Varietà dimenticate, abbandonate, neglette nel passato (per un sacco di ragioni) potrebbero improvvisamente riscoprirsi attuali per un altro sacco di ragioni, questa volta contemporanee. A questo certosino lavoro, fatto di ricerche sul campo (=vigneti), studi, microvinificazioni e assaggi si dedica da qualche anno un’apposita associazione: il GRASPO, acronimo di Gruppo di ricerca ampelografica per la salvaguardia e la preservazione della originalità e biodiversità viticola. L’associazione, fondata e trainata da due inarrestabili ragazzi (Aldo Lorenzoni, già vulcanico direttore del Consorzio del Soave e Luigino Bertolazzi, già enologo in Cantina di Soave e ex-presidente di Assoenologi Veneto Occ.) ha presto trovato il supporto di un buon gruppo di amici (studiosi, ricercatori, comunicatori), e di istituzioni/enti di ricerca/università. Obiettivo dichiarato del GRASPO, la ricerca, su e giù per l’Italia, dei Bastardi in Culla  (i vitigni negletti/dimenticati, appunto), alla ricerca di chi può dare una mano a produzioni vitivinicole alle prese con sfide inusuali. E dopo 3 anni, 25-30.000 km percorsi, il coinvolgimento di almeno 150 sensibili produttori, centinaia di prelievi, analisi e microvinificazioni, sono state scoperte (finora) una decina di varietà mai indagate prima.Dall’area veronese, gli amici del GRASPO hanno tirato fuori 19 varietà, la maggior parte delle quali rosse, che sono state oggetto di una recente interessante degustazione ospitata dalla cantina Zymé. Vernazzola, Ua Salà (la cara, bistrattata Molinara, famosa per la sua sapidità…), Bigolona, Gouais Blanc, Saccola Rosé, Rossetta di Montagna, Quaiara, Cabrusina, Pelara, Dindarella, Croatina, Denela, Forselina (o Pignola), Simesara, Saccola o Pavana o Rossa Gentile di Fonzaso, Pontedera 2021 Ignota, Oseleta, Carrara, Turchetta; questi i vini assaggiati. Se ne escludiamo 6 o 7 (come l’Oseleta o la Croatina), che ad oggi sono già utilizzate, le altre sono delle perfette sconosciute tutte da studiare.“Manca una specie di albero genealogico dei vitigni di matrice veneta – ha detto Aldo Lorenzoni – Sarà uno studio che faremo insieme all’università e alla Fondazione E.Mach di S.Michele all’Adige, e riguarderà un centinaio di vitigni”.Delle 19 presentate, di due di esse, Pontedara e Cavrara, messe alla prova della vinificazione pr qualche anno con risultati più che interessanti, sono già stati presentati i dossier e richiesta l’iscrizione al Registro Nazionale delle Varietà di Vite. Perchè, come ha chiarito Lorenzoni, “anche se questo sembrerebbe un lavoro fine a se stesso, in realtà ha già suscitato per qualcuno di questi vitigni un interesse anche commerciale. E nel 2023, al GRASPO è stato chiesto di svolgere un analogo lavoro di ricerca su altri vitigni bianchi dimenticati: quelli dell’Etna”. La caccia al tesoro dei Bastardi in Culla, insomma,  continua. NB: inutile dire che la lunga dimestichezza con i vini veronesi ha portato gli enologi del GRASPO a guardare con favore a quelle caratteristiche di alcuni vitigni che li rendono adatti all’appassimento (come la Turchetta, che qualche cantina della Valpolicella già utilizza nell’uvaggio dell’Amarone). Dal canto mio, avrei visto con favore un approfondimento della Rossetta di Montagna, i cui profumi di lamponi, fragole selvatiche e fruttini rossi maturi e la scorrevolezza del sorso (sembra un’uva quasi priva di tannini) mi hanno ricordato un’altra Bastarda in Culla che conosco da anni (e amo molto): la Nera dei Baisi. Ma questa è un’altra storia – anzi, ricerca. LEGGI TUTTO

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    I bordolesi del Veneto

    Antefatto

    Il 16 ottobre 2022, presso Palazzo Giacomelli, antica dimora seicentesca situata nel cuore di Treviso, si è tenuta la prima edizione di Rosso Bordò, la rassegna vinicola promossa dal Consorzio Vini del Montello assieme al Consorzio Vini Colli Euganei.  

    Palazzo Giacomelli

    La manifestazione ha presentato al pubblico oltre 60 vini da uvaggio bordolese (Cabernet, Merlot, Carmenère)prodotti nelle denominazioni trevigiane Montello Docg e Montello Asolo Doc (con la sottozona Venegazzù) e nella denominazione padovana Colli Euganei Doc. In assaggio anche i rari vini a base di Recantina, l’uva autoctona a bacca rossa riscoperta sul Montello e sui Colli Asolani, grazie al progetto di recupero coordinato dal Consorzio.

    I bordolesi del Veneto

    Si narra che I vitigni bordolesi mettano radici in Veneto nella seconda metà dell’Ottocento, ma è proprio così? In realtà ci sarebbe un legame ben più profondo tra Merlot, Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Carmenère e Veneto.  A questo proposito è davvero illuminante la lettura dell’ebook di Angelo Peretti “Che cosa ci fanno le oche tra le vigne dei vini del Montello?” reperibile sul sito vinimontello.it. Angelo, quasi si trattasse di una dimostrazione di un teorema con tanto di ipotesi e tesi, ci fa comprendere che tra bordolesi veneti e Francia possa esserci un legame antico. Spoilerando un po’ la trama del delizioso ebook, si arriva a supporre che i vitigni bordolesi, assieme ai culti celtici, possano essere arrivati in Veneto grazie ai Galli cisalpini, ovvero l’insieme delle tribù galliche (celtiche) stanziate in età antica in Gallia cisalpina, un’area corrispondente più o meno all’odierna Italia settentrionale.

    Montello con vista sull’Abbazzia di Sant’Eustachio

    La cosa si fa ancora più intrigante quando scopriamo che In Veneto, una delle zone più vocate per la produzione di vini rossi derivati da vitigni bordolesi  è quella dei Vini del Montello, definizione che accomuna i vini prodotti nella docg Montello e  della doc Montello Asolo, zona che ha straordinarie testimonianze di remoti culti celtici, come quelli che riguardano i festeggiamenti novembrini in onore di  San Martino vescovo di Tours e il consumo di carne d’oca abbinata ai vini rossi fatti con le uve francesi provenienti dalla madrepatria di quei vitigni e degli stessi Celti. Senza dimenticare il famoso aneddoto che vede il Presidente francese Charles de Gaulle, in visita a Venezia, scambiare per uno dei più grandi Bordeaux mai bevuti il Venegazzù Rosso del Conte Loredan Gasparini, ça va sans dire.

    Tornando con i piedi per terra è assodato che i vitigni bordolesi nel Veneto siano arrivati intorno alla metà dell’Ottocento, eppure però miti e leggende, ma anche fatti concreti, fanno pensare che nel Montello esista una sorta di memoria atavica che trasmessasi dagli antenati Celti in poi, abbia permesso a quel territorio di diventare una sorta di enclave bordolese.

    Montello Docg

    Dalla vendemmia 2011, la piccola produzione del Montello ha ottenuto lo status di Denominazione di Origine Controllata e Garantita, un riconoscimento che premia l’alta qualità dei vini rossi che qui nascono dai vitigni bordolesi (Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Merlot e Carmenère), acclimatatisi in terra veneta fin dalla seconda metà dell’Ottocento e che in questo territorio assumono una loro identità ben precisa, fatta di territorialità e di potenza “montanara”.

    I vini della Docg del Montello sono dei rossi di grande pregio, la cui produzione implica basse rese per ettaro, volte a concentrare il frutto e ottenere un’ampia e avvolgente struttura, premessa fondamentale per avere un vino in grado di affrontare lunghi mesi di affinamento nelle botti di legno.

    vigneti sul Montello

    Di colore rosso rubino brillante tendente al granato con l’invecchiamento, i vini rossi della Docg Montello hanno un profumo intenso, fruttato ed etereo e un sapore secco, robusto e speziato. Sono vini dalla personalità forte e decisa e si accompagnano a piatti corposi, come sono talvolta quelli della tradizione della montagna veneta.

    Due le versioni: Montello e Montello Superiore. L’affinamento è di almeno 18 mesi (di cui almeno nove in botti di rovere e altrettanti in bottiglia) per la prima tipologia e di almeno 24 mesi (un anno in botti di rovere e sei mesi in bottiglia) per l’altra.

    bosco ddel Montello

    La zona di produzione dei vini del Montello Docg comprende l’intero territorio dei Comuni di Castelcucco, Cornuda e Monfumo e parte del territorio dei comuni di Asolo, Borso del Grappa, Caerano San Marco, Cavaso del Tomba, Crocetta del Montello, Fonte, Giavera del Montello, Maser, Montebelluna, Nervesa della Battaglia, Pederobba, Pieve del Grappa, Possagno, San Zenone degli Ezzelini e Volpago del Montello, tutti in provincia di Treviso.

    Colli Asolani

    Montello Asolo Doc

    A ridosso del Montello, ai piedi del monte Grappa, si sviluppa anche un’altra denominazione di origine che ha dato vita a celebri vini rossi, insieme a piccole produzioni di vini bianchi: è la Doc Montello Asolo.

    Nella Doc Montello Asolo rientrano i vini rossi varietali a base di Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon, Carmenère, Merlot e Recantina. La Recantina merita una particolare menzione: si tratta infatti di un vitigno autoctono recentemente riscoperto. Citata più volte dall’Agostinetti già alla fine del Seicento tra le migliori varietà del Trevigiano, la Recantina sembrò scomparire nel Novecento, fino a quando il Consorzio non ne fece oggetto di un significativo progetto di recupero.

    Recantina

    All’interno dell’area di produzione della Doc Montello Asolo è stata individuata la sottozona Venegazzù (dal nome di una frazione del comune di Volpago del Montello), nella quale si producono vini rossi da vitigni di origine bordolese.

    Nell’ambito della zona di produzione della Doc Montello Asolo esiste altresì una tradizione legata alla produzione di piccole quantità di vini bianchi varietali a base di Bianchetta, un’uva autoctona locale, e soprattutto di Manzoni Bianco, un vitigno a bacca bianca ricavato negli anni Trenta dal professor Luigi Manzoni della Scuola enologica di Conegliano dall’incrocio tra Pinot Bianco e Riesling Renano.

    L’area della Doc Montello Asolo corrisponde a quella del Montello Docg.

    vigneti nel Montello – Colli Asolani

    I numeri dei vini del Montello

    Le cantine produttrici dei Vini del Montello associate al Consorzio di tutela sono 25 e producono complessivamente circa 560.000 bottiglie annue.

    Più in dettaglio, la Doc Montello Asolo ha una produzione di 530.000 bottiglie annue, di cui 495.000 costituite da vini rossi (di questi, 39.000 sono bottiglie di Recantina). La Docg Montello, invece, ha un imbottigliato annuo pari a 30.000 bottiglie.

    La superficie totale dei vigneti dei Vini del Montello (esclusa quindi la Glera e le altre varietà complementari destinate all’Asolo Prosecco, la cui area di produzione di sovrappone a quella dei Vini del Montello) è pari a 102 ettari.

    Abbazia di Sant’Eustachio

    La varietà più coltivata fra quelle di origine bordolese è il Merlot, con 47 ettari. Seguono il Cabernet Sauvignon con 23 ettari e il Cabernet Franc con 12, mentre il Carmenère è presente appena su poco più di un ettaro. Gli ettari in produzione coltivati a Recantina sono in tutto 10. Ci sono poi 9 ettari di vigneto di Manzoni Bianco, incluso della Doc Montello Asolo.

    Dei 102 ettari complessivi, 76 sono propriamente sul Montello e 26 sui Colli Asolani.

    Nella graduatoria dei 18 comuni interessati dalla Docg Montello e dalla Doc Montello Asolo, al primo posto, in termini di superfici vitate, c’è Volpago del Montello, con 29 ettari (poco meno di un terzo del totale, quindi). Seguono Montebelluna con 19 ettari e Nervesa della Battaglia con 18. Completano le posizioni di vertice Giavera del Montello, con 7 ettari, e Asolo con quasi 6 ettari, tallonato da Maser che dispone di 5 ettari di vigneto, mentre Fonte è a quota 4 ettari. LEGGI TUTTO

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    Alla scoperta di sua maestà il Nero d’Avola

    Il Nero d’Avola è considerato il vitigno a bacca rossa più importante della Sicilia, con più di 48 milioni di bottiglie certificate nel 2021. La necessità di approfondirne la conoscenza è un atto quanto mai necessario per chi si occupa di vino, soprattutto per collocarlo nell’attualità, sia dal punto di vista produttivo, sia dal punto di vista della fruizione da parte del consumatore.

    Un po’ di storia

    L’arrivo del Nero d’Avola in Sicilia, con tutta probabilità, si deve ai greci dai quali deriva anche il tipo di allevamento ad alberello. Il Nero d’Avola è conosciuto anche come “Calabrese”. Le ragioni di questo nome, utilizzato già nel 1600, derivano dal fatto che con Calavrisi o Calaulisi, venivano indicati tutti quei vini associabili al Sud Italia per caratteristiche qualitative, metodo di lavorazione, colore e zuccheri. C’è poi anche una derivazione che trova origine nell’antica lingua siciliana dove con “Calea” si indicava l’uva e con “Aulisi” si indicava Avola, borgo di Siracusa, dando quindi origini alla parola “Caulisi”. Come spesso accade le origini di un vitigno sono sempre molto affascinanti e spesso ammantate di leggenda.

    Dal bacino della Sicilia sud-orientale, il Nero d’Avola si è gradualmente diffuso in tutta la Sicilia, oggi è presente in modo esteso nelle nove provincie siciliane ed è la cultivar più rappresentativa di Agrigento, Caltanissetta, Siracusa, Ragusa ed Enna, mentre nelle altre provincie figura al secondo (Palermo, Catania, Messina) o al terzo posto (Trapani).

    Descrizione della varietà

    Il Nero d’Avola, in funzione della sua antica origine e della elevata superficie su cui è coltivato, presenta una significativa variabilità intravarietale: sono stati, infatti, definiti quattro biotipi che si caratterizzano sia per aspetti morfologici, in special modo forma e dimensione del grappolo, sia per quelli agronomici ed enologici. Questi quattro biotipi sono identificati come A, individuato nell’area della Sicilia centro-meridionale, il biotipo B quello maggiormente diffuso sul territorio isolano ma identificato nella Sicilia occidentale, il biotipo B1 proveniente dall’area viticola della Sicilia sud-orientale, il biotipo B2, molto simile al B1.

    Il Biotipo A si presta bene all’ottenimento di vini ricchi e complessi, ideali per gli affinamenti.

    Il Biotipo B si presta invece per produzione di vini tendenzialmente più leggeri e facili da bere, che possiedono un profilo aromatico più fresco e un corpo meno pesante, da consumarsi preferibilmente dopo brevi affinamenti.

    I Biotipo B1 e B2 sono adatti per la produzione di vini di medio lungo affinamento anche in legno.

    Vista questa ricchezza di biotipi è facile intuire che all’interno del territorio siciliano esiste un Nero d’Avola diverso dall’altro e per i quali è necessario tenere conto anche di altri fattori quali tipo di suolo e altimetrie.

    Fatta questa analisi e considerata tutte le variabili, viene spontaneo chiedersi, esiste una zona più vocata per la produzione di Nero d’Avola? La risposta è si colloca nell’areale di Siracusa, comprendendo Avola, Noto, Eloro e Pachino.

    Il Nero d’Avola contemporaneo

    Premesso che parlare di modernità di un vino o peggio contemporaneità mette sempre un filo d’ansia: scrive quel geniale cantautore genovese che di nome fa Ivano Fossati: “Contemporaneo, che parola opportuna, che moto apparente, delle idee più contrastanti. Se vuoi salire all’altare maggiore di questi tempi, niente e nessuno può fermarti”. Ecco che tutto invece diventa più facile se si ragiona in termini di bevibilità e versatilità. In questo senso il Nero d’Avola degustato, nelle sue varie sfaccettature, durante la tre giorni organizzata dal Consorzio di Tutela Vini Doc Sicilia denominata “Discovery Nero d’Avola”, ha restituito la fotografia piuttosto nitida di un vino che sa stare al passo con i tempi, attento alle esigenze del consumatore e duttile nell’abbinamento.

    Non solo carne ma anche preparazioni di pesce tipiche della cucina siciliana, purché lo si serva ad una temperatura adeguata, ovvero appena qualche grado in meno dei canonici 18 gradi. Senza dimenticarne la nuova dimensione, ancora tutta da esplorare, della spumantizzazione, attualmente esistono prevalentemente referenze ottenute con metodo Martinotti, ma c’è anche qualche Metodo Classico.

    Discovery Nero d’Avola – le masterclass

    Durante la tre giorni organizzata dal Consorzio di Tutela Vini Doc Sicilia “Discovery Nero d’Avola”, si sono tenute due interessanti masterclass, una denominata “Le diverse espressioni del Nero d’Avola per suolo”, guidata da uno dei massimi esperti di vino siciliano che è il giornalista/sommelier Luigi Salvo e dall’agronomo Filippo Buttafuoco, la seconda intitolata “Le diverse espressioni del Nero d’Avola per altimetrie”, condotta sempre da Luigi Salvo. Per ciascuna masterclass era prevista la degustazione alla cieca di sei vini. Obiettivo finale raggiunto? In parte, oltre a suolo e altimetria ci sono altri fattori che entrano in gioco, non da ultimo lo stile produttivo delle cantine, che davvero rende difficile cogliere appieno le differenze.

    Ad ogni modo, alcuni dati certi sono emersi:

    La coltivazione del Nero d’Avola è per lo più sviluppata tra 30 e 500 m. s.l.m. ma esistono vigneti praticamente al livello del mare e altri che arrivano a 900 m.s.l.m.

    Agrigento è la provincia con il maggior numero di ettari vitati a Nero d’Avola pari a 5.105

    il vigneto di Nero d’Avola più alto in quota si trova nella provincia di Palermo

    la superficie vitata della Sicilia è pari a 97.080 ettari distribuiti per il 65% in collina, 30% in pianura e 5% montagna. La Sicilia è la prima regione in Italia per estensione di superficie vitata di collina

    Consorzio di tutela vini DOC Sicilia

    Il Consorzio di tutela vini DOC Sicilia (https://siciliadoc.wine) prende vita nel 2012, con l’obiettivo di rappresentare il vino del territorio siciliano e promuovere la denominazione DOC Sicilia, con azioni di promozione mirate alla crescita della visibilità di un marchio simbolo del Made in Italy e alla tutela e vigilanza a difesa del consumatore e dei produttori. Oltre 7.000 viticoltori e quasi 500 imbottigliatori sono promotori della Denominazione di Origine Controllata, un riconoscimento utile a rappresentarli ma anche a valorizzare e salvaguardare la produzione vinicola dell’isola.

    La produzione di bottiglie è imponente: nel 2020 sono state prodotte oltre 90 milioni di bottiglie, nel 2021 oltre 95 milioni. Il sistema Sicilia DOC è produttore di eccellenza sostenibile: tanti degli oltre 23mila ettari di vigneto della Denominazione sono coltivati rispettando il disciplinare della vitivinicoltura sostenibile della Fondazione Sostain Sicilia. LEGGI TUTTO