Per il comparto vino, innegabilmente, è un periodo complesso. Contrazione nei consumi, salutismo, a volte esasperato, uso di un linguaggio astruso e iper-tecnico nel raccontare il nettare di bacco, sembrano dipingere un futuro a tinte fosche. Ma è veramente così? Certo, già solo il calo delle vendite darebbe inevitabilmente ragione a questa visione che la stragrande maggioranza degli addetti ai lavori non esita a definire assolutamente realistica, io però sto con Fabio Piccoli di Winemeridian che nel suo articolo “La solitudine dell’ottimismo” racconta come il vino abbia ancora importanti spazi di sviluppo e tante nuove opportunità che si affacciano all’orizzonte, invitando a guardare avanti con fiducia .
C’è poi un altro aspetto, assolutamente non secondario, che rende unico e immortale il vino: il fatto che è una bevanda culturale. Il vino da secoli è emblema socioculturale ancor prima che un prodotto commerciale. Potremmo scomodare Polifemo che si inebria con il vino di Ulisse o addirittura la transustanziazione, ovvero sostanza del vino che si trasforma nel sangue di Cristo, tanto per fare qualche esempio.
Ed è anche vero che Terroir* di grande espressività, in grado di trasmettere la loro fedele impronta nel vino, consentono di ottenere vini irripetibili, la cui degustazione permette di viaggiare nello spazio (luogo) ma anche nel tempo quando si assaggiano vecchie annate, e questa magia di collegarsi ad un luogo attraversando il tempo, è prerogativa solo del vino. Certo, l’aspetto commerciale e il marketing sono fondamentali. Tuttavia, per avvicinare o riavvicinare il consumatore al vino, compresi i tanto agognati giovani, è altrettanto fondamentale la comunicazione.
Questa deve essere liberata da orpelli e ghirigori, più prosaicamente detti supercazzole, e non può prescindere dalla questione culturale. Cosa che i fratelli Cosmo (Bellenda) fanno da tempo in quel di Carpesica, con la rassegna enoculturale Blend simmetrie enoiche, giunta quest’anno alla sua quinta edizione. Bellenda, oltre a fare vini per proprio conto, è anche un piccolo importatore, che sceglie i produttori siano essi italiani, francesi, spagnoli, croati, per simbiosi, solo se c’è condivisione di filosofia e etica del lavoro.
Il pensiero che c’è dietro ad ogni edizione di Blend, questa piccola manifestazione-gioiellino che naviga a vele spiegate nel mare magnum dei tanti eventi italici dedicati al vino, non è mai la mera degustazione, per altro di vini eccellenti, ma diventa luogo di incontro con l’obiettivo di scambiarsi idee, esplicitare proposte, approfondire la propria conoscenza, in poche parole fare cultura del vino.
Il messaggio finale, perlomeno quello che arriva a me al termine di ogni edizione, è l’acquisizione di una nuova consapevolezza da trasmettere a tutti coloro che di vino si occupano a vario titolo, produttori, giornalisti, comunicatori, enotecari, agenti, ovvero che il fine ultimo per tutti debba essere l’inclusione.
Spesso invece, sono proprio gli addetti ai lavori ad avere nei confronti del consumatore un atteggiamento di esclusione che lo allontana dal mondo del vino invece che attrarlo; snaturando l’essenza del vino stesso che, per sua natura, dovrebbe portare alla convivialità, alla condivisione. Non saprei come altro definire, se non escludente, il ricorso esasperato a tecnicismi, il dogmatismo e lo snobismo di taluni.
Visto pero che Blend simmetrie enoiche racconta di vino non solo parlato ma anche bevuto, questa quinta edizione la ricorderò per gli champagne di Eric Culon (Roger Culon) e Jacques Oudart (Etienne Oudart), per i Cava di Pere Ventura per il Saussignac e il Sauvignon Gris di Isabelle e Thierry Daulhiac (Chateau Le Payral),
i vini de Lo Jura di Patrick e Sophie Ligeron (Domaine des Carlines), il Magma Pouilly Fumé di Domaine de la Croisee, e poi la stupenda interpretazione del Verdejo in tutte le sue sfumature dei fratelli Sanz (Menade) e Marco Levis con i suoi espressivi vini delle montagne dell’’Alpago.
“Il mio interlocutore è la persona che assaggia e beve vino, il cittadino consumatore che appare, e spesso vuole sentirsi, l’anello debole della catena e che invece ha un potere eccezionale per cambiare le cose, cominciando a pretendere sempre più vini interessanti e che lasciano un senso di benessere”
Sandro Sangiorgi, Il Vino capovolto, Porthos Edizioni, 2017.
*Il terroir è uno spazio geografico delimitato, nel quale una comunità umana ha costruito, nel corso della sua storia, un sapere comune per la produzione, fondato su un sistema di interazioni tra un mezzo fisico e biologico e un insieme di fattori umani. Gli itinerari socio-tecnici messi così in gioco rivelano una originalità, conferiscono una tipicità e conducono a una reputazione per un bene originario di questo spazio geografico.
INAO (Institut national de l’origine et de la qualité, ex Institut National des Appellations d’Origine), 1999