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Sicilia nel bicchiere: la via di Salvatore Tamburello

Ci sono bottiglie che non si dimenticano. Non accade sovente, ma quando succede ti ritrovi a fermarti, a riassaggiare, a chiederti cosa ci sia dietro quel sorso. Con il 797 N, Catarratto biologico non filtrato, l’incontro sorprende come una parola perfetta detta al momento giusto, capace di entrarti dentro come una lama: la Sicilia, in quel bicchiere, non era un’idea, ma una presenza viva. “797” è la particella catastale del vigneto, “N” la linea di vini senza filtrazione, chiarifica o stabilizzazione. Il resto lo raccontano la terra, l’uva, l’aria di Poggioreale.

A duecento metri d’altitudine, nel cuore agricolo della provincia di Trapani, Tamburello coltiva ventiquattro ettari, tredici dei quali a vite — nero d’Avola, grillo, catarratto e trebbiano — accanto agli ulivi di Nocellara del Belìce. È un’azienda di famiglia, passata di mano per cinque generazioni, ma è nel 2006, alla morte del padre, che Salvatore ne assume la guida. Fino al 2014 le uve, di qualità già riconosciuta, finivano altrove; poi la saggia decisione di vinificarle in proprio.

Dal 2010 la conduzione è biologica, con il marchio Qualità Sicura Sicilia. La linea “N” nasce da una constatazione semplice e radicale: i vini, prima delle filtrazioni e delle chiarifiche, in vasca hanno un respiro più pieno, una fragranza intatta. Perché allora non proporli così com’erano, integri? Da qui i “non filtrati, non chiarificati, non stabilizzati”, che per Salvatore non sono moda ma coerenza. Non si definisce “produttore di vini naturali” finché non esisterà un disciplinare chiaro, certificato, capace di distinguere la serietà dal marketing: per lui, almeno il biologico è condizione minima.

Visitare la cantina, aperta nell’ottobre 2024, significa toccare con mano la misura e la pazienza che animano i suoi vini: luce, ordine, legni scelti con misura (dieci tonneau da 500 litri, metà in rovere francese, metà in americano), niente eccessi tecnologici, tanta attenzione ai tempi.

Si comincia ad assaggiare. Il Metodo Classico 30 mesi 2019 ha la cremosità e la gentilezza di chi sussurra un segreto: lievito, gelsomino, una bolla morbida, un’acidità citrina che non punge, eppure resta. Poi il 756 N Rosato, ancestrale di merlot: albicocca, pesca, un sorso pieno, allegro, come una chiacchiera a pranzo in una terrazza sul mare.

Il 204 N Grillo 2024 è un lampo di agrume, teso ma dolce di cedro; il 797 N Catarratto 2023 — quello dell’incontro folgorante — è tutto freschezza e frutta croccante, con un fondo di polpa gialla che resiste al ricordo.

Il Trebbiano N 2023 è lieve, elegante, ma conserva quella succosità che ti obbliga al secondo bicchiere. Il 204 Grillo Bio ha il passo del viaggiatore di costa: minerale, salmastro, asciutto.

Poi il Primo Blend 2023: Trebbiano del 1986 e Catarratto del 2011. È un vino giallo, tutto giallo: ginestra, limone, luce di pomeriggio. Fresco, minerale, ma con un corpo che riempie la bocca come un pane caldo. E infine il 306 N Nero d’Avola 2024, fermentato in cemento: mora croccante, frutti rossi, tannini giovani che chiedono tempo, come certe promesse d’amicizia che maturano piano.

In ogni bottiglia c’è la misura di un uomo che lavora per far parlare la terra. Nei suoi vini, Poggioreale non è un luogo sulla mappa: è un profumo, una luce, un sapore che resta.


Fonte: http://www.lastanzadelvino.it/feed/


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