Il concetto di «pensiero meridiano» deriva da un’intuizione di Albert Camus all’inizio degli anni Cinquanta del secolo scorso, laddove nel capitolo conclusivo del suo saggio L’uomo in rivolta, lo scrittore mette in evidenza la contrapposizione tra due distinte concezioni del mondo: una nord europea, basata sulla rimozione del rapporto con il sacro e con la natura e devota alla fredda tecnica e al nichilismo; l’altra sud europea, mediterranea, che in maniera opposta ricerca la misura, ovvero un incrocio armonico tra umano, divino e naturale. Intorno alla metà degli anni Novanta del secolo scorso, alcuni intellettuali italiani, tra cui Franco Cassano, Mario Alcaro, Piero Bevilacqua, Franco Piperno, sviluppano le tesi di Camus, ampliandole ad una nuova riflessione sul Mezzogiorno d’Italia affinché il sud rivendichi la sua autonomia culturale ed etica rifuggendo processi di omologazione, nella perenna rincorsa alla modernità del Nord. Il Sud deve pensare a sé stesso e valorizzare le immense ricchezze di cui già dispone. Paradossalmente la mancata industrializzazione ha permesso di conservare intatti luoghi, culture, tradizioni che invece al Nord sono state spazzate via. Un esempio fulgido di quanto detto è la Calabria Jonica. Se trasliamo il ragionamento in ambito enogastronomico è naturale imbattersi nell’applicazione tangibile del pensiero meridiano, dove appare forte l’identità dei luoghi, l’importanza dei legami e del senso di accoglienza degli esseri emani che li abitano siano essi vignaioli, ristoratori, allevatori o agricoltori. Persone che amano e credono in maniera viscerale nella loro terra e nel suo rilancio, nel suo riscatto. Una terra durissima, a tratti degradata, aspra; almeno questa è la sensazione che ti rimane dentro percorrendo quel tratto di Calabria che passa per la Piana di Sibari lungo la costa Jonica. Poi però quando smetti di essere turista e divieni viaggiatore, ogni luogo si fa intimamente tuo, in una sorta di comunanza antropologica.
Conoscere poi le storie, il lavoro di contadini, vignaioli, casari, ristoratori, riporta al senso autentico del piacere del cibo e del vino, senza perdersi in tecnicismi inutili che spesso servono solo ad allontanare chi in un piatto e in un bicchiere di vino cerca gaudio e convivialità. Per dare un nome concreto a queste persone si potrebbe raccontare di Gino Marino che a Cropalati, paesino di 1.067 anime incuneate su un cucuzzolo, attraverso la sua attività agrituristica, è un collettore per tutte le eccellenze del territorio silano; Pietro Lecce a Camigliatello, custode dell’antica cucina calabra. A Cirò, tra pionieri ed esponenti della Cirò Revolution, troviamo i vignaioli Cataldo Calabretta, la famiglia Librandi, i fratelli Scilanga, Francesco De Franco, Laura Violino, Sergio Arcuri. A San Marco Argentano, tra il Parco Nazionale della Sila e quello del Pollino, vivono e vinificano Dino Briglio Nigro, Giampiero Ventura, Daniela De Marco. I nomi citati, assieme ad altri ovviamente, hanno permesso alla Calabria Jonica di vivere una rinascita qualitativa e di prospettiva senza precedenti, raggiungendo vette impensabili solo qualche anno fa.
Corrado Alvaro, in una sintesi perfetta del pensiero meridiano diceva che “I calabresi mettono il loro patriottismo nelle cose più semplici, come la bontà dei loro frutti e dei loro vini. Amore disperato del loro paese, di cui riconoscono la vita cruda, che hanno fuggito, ma che in loro è rimasta allo stato di ricordo e di leggenda dell’infanzia”.
Sopra Cropalati, sulla strada maestra, c’è una locanda che raccomando caldamente. Sarei lieto se un mio lettore vi bevesse alla mia salute.
Norman Douglas (1911) Old Calabria
La Degustazione
Santa Venere Cirò bianco 2019
Le uve, Greco in purezza, arrivano per la gran parte dal Cru Tenuta Voltagrande. Giallo paglierino luminoso nel bicchiere. Al naso delicate note di frutta a polpa bianca, mentuccia e agrumi. Al palato si presenta con notevole freschezza, discreta sapidità, buona persistenza. Un vino dal sorso agile e molto gastronomico.
L’Acino Vini Hallelujah Calabria IGP 2019
Cropalati, Calabria jonica, una strada impervia che sale su sino alla chiesetta di Santa Maria ad Gruttam, chiesa bizantina dell’anno mille, una vigna di mezzo ettaro impiantata a Pinot bianco 15 anni fa, qui nasce questa opera maestra di Dino Briglio Nigro. Giallo paglierino dorato nel bicchiere. Naso di notevole complessità, fiori bianchi, camomilla, agrumi, leggera spezia. Il sorso è affilato, teso e ampio, con una facilità di beva straordinaria. Un Pinot Bianco che ti fa incontrare la Calabria proprio dove non te l’aspetteresti.
Cataldo Calabretta Cirò Rosato 2020
Da uve Gaglioppo in purezza. Rosa cerasuolo luminoso nel bicchiere. Naso di notevole profondità, melograno, arancia rossa, petali di rosa. Il sorso è rotondo, dinamico, di delicata sapidità per un vino di notevole espressività. Ritratto d’autore, la Calabria di Cataldo Calabretta.
Cote di Franze Cirò rosso Classico Superiore 2016
Da uve Gaglioppo in purezza. Rosso rubino nel bicchiere. Naso d’impatto, subito in evidenza frutti rossi, note vegetali, spezie e di leggera affumicatura. Al palato è avvolgente ed elegante con tannino solido in via di risoluzione, decisamente persistente. I fratelli Scilanga ci restituiscono una Calabria autentica e senza filtri.