Il 2024 parte bene, subito una bella novità. Scorrendo la mia timeline di Facebook mi imbatto in un post di Luciano Pignataro e sobbalzo sulla sedia. Luciano riprende un suo articolo che ha appena pubblicato su “Le Pagine del Gusto” del Mattino per raccontare la storia di Teresa Mincione, avvocato, sommelier con vari master, collaboratrice per oltre 12 anni della guida Slow Wine, scrittrice di vino, che ha deciso di passare dall’altra parte della barricata diventando produttrice. Ho conosciuto Teresa qualche anno fa in giro per l’Italia come inviata del Blog di Luciano Pignataro, poi la ricordavo molto impegnata nella sua professione di avvocato e mai mi sarei aspettato un cambio di vita così radicale, va da sé che era urgente sentirla subito per saperne di più.
Teresa, la prima domanda è ovvia, come, quando e perché hai deciso di diventare produttrice?
Credo che nella vita esistano dei percorsi predestinati, ancestrali. E credo, al tempo stesso, che l’amore che si prova verso ciò che si fa con profonda e viscerale passione possa rivelarsi, in un’analisi a posteriori, un sottovalutato acceleratore d’arrivo verso ciò che all’inizio può apparire impossibile o un “mero” grande sogno nel cassetto. In un intreccio di situazioni importanti, ho avuto il felice coraggio di leggere ciò che la vita mi stava offrendo e di trasferirmi dall’altro lato della storia. Non più come chi racconta il territorio attraverso gli scorci di vite altrui, ma come chi, conscia del percorso fatto, attraverso il proprio vissuto, si impegna a narrare con il proprio lavoro, in vigna e in cantina, un terroir unico. In altre parole, far arrivare la preziosità di un piccolo areale dal grande potenziale, attraverso la voce di vitigni autoctoni tipici della provincia di Caserta: Casavecchia e Pallagrello. Voci piccole rispetto al coro del panorama enologico italiano, ma non da meno straordinarie, in grado di raccontare, con le sfumature che sono proprie di ognuno, un territorio che in un tempo fu reso grande anche dalla storia attraverso l’indimenticabile anima dei Borbone che tanto amarono il Pallagrello da inserirlo nella storica “vigna del ventaglio”.
Ti ricordavo competente e preparatissima, ma tra scrivere di vino e fare vino, converrai con me, che c’è una bella differenza. Quando hai capito che eri pronta a far uscire un’etichetta con il tuo nome, sfidando gli strali della critica enoica e la competitività del mercato?
Da degustatrice campana, ho sempre seguito i percorsi e le evoluzioni che i vitigni regionali avevano nel tempo. Ma il Casavecchia e Pallagrello, da sempre mi hanno affascinato. Ho iniziato per gradi, iniziando dal Casavecchia. Quando la mia vita è cambiata, diventando a tempo pieno, dedicata al vino, lo studio e la sperimentazione sul vitigno Casavecchia hanno caratterizzato il mio lavoro in vigna e in cantina, diventando i veri predecessori del prodotto finito. Il primo passo verso un vino di qualità è partire dalla cura profonda della vigna, come fosse una parte di te allocata in altro luogo. Solo attraverso una vigna sana nel totale rispetto della biodiversità e della natura può esistere un vino di qualità. Quando accanto all’idea di un vino autentico e di territorio, si è accompagnata la reale possibilità, vendemmia dopo vendemmia, di offrire un prodotto identitario, in grado di raccontare vitigno, annata e la passione di chi lo produce, allora ho ritenuto che il mio Nulla è per caso, Casavecchia in purezza, potesse aver vita. E l’anfora, contenitore antico quanto moderno, mi è stata d’aiuto. Creare un vino è un atto d’amore profondo, viscerale, attraverso il quale racconti una storia. È un’equazione irripetibile, quella che nasce dalla fusione del produttore con il suo vino, della sua vita con quella del suo vino, del suo tempo con quello del suo vino.
Tra l’altro, con una ulteriore dose di grande coraggio, hai deciso di scommettere su un vitigno sicuramente non tra i più noti della Campania, il Casavecchia. Come mai questa scelta e quale disegno hai in mente per valorizzarlo e farlo conoscere di più?
Il Casavecchia è un vitigno molto particolare, poco conosciuto e a mio parere, sottovalutato. Da sempre lo si conosce attraverso dettami che ad oggi non gli consentono di godere di una giusta luce. Grande estratto e energica potenza, i tratti che da sempre hanno accompagnato l’idea del grande pubblico. Eppure, nella giusta luce e prospettiva produttiva, può offrire il fianco ad una nuova chiave di lettura con conseguente cambio del panorama gustativo declinato in termini di bevibilità e piacevolezza, di freschezza e tannini che non imbrigliano ma completano il sorso. In altre parole, togliere per valorizzare, svestire più che coprire. Cosa farò per farlo conoscere? Cercherò di offrire una sua rilettura attraverso un nuovo modo di raccontarsi come vitigno misterioso ma al tempo stesso versatile e interessante in grado di rivelarsi nell’era moderna, piacevole, bevibile e gastronomico. È in vigna che nasce un buon vino, ma è a tavola che lo si apprezza a tutto tondo.
Altra domanda di prammatica per chi si ritrova in un progetto nuovo riguarda il futuro. Ti concentrerai solo sul Casavecchia oppure hai già in mente qualcos’altro?
La sperimentazione sul Casavecchia è stato il mio primo amore e non nego che un nuovo progetto per il racconto di questo vitigno è nei pensieri, ma in cantiere ci sono già delle novità che riguardano il Pallagrello nero, altro vitigno che fa parte della mia vigna (assieme al Pallagrello bianco) sulle dolci colline di Castel Campagnano. Tra i filari, viti vecchie di oltre trent’anni di Casavecchia, Pallagrello nero e Pallagrello bianco in un habitat che vede anche la presenza di un bosco che ben favorisce grandi escursioni termiche utili e preziose per le uve. Uno spicchio di territorio nel quale la biodiversità e sostenibilità sono certamente i punti fermi. La mia è una piccolissima cantina che fa dell’identità e alla territorialità i cardini del proprio lavoro.
A corollario di queste parole così appassionate di Teresa, viene spontaneo pensare che non poteva esserci nome più azzeccato per il suo primo vino che ha deciso di chiamare «Nulla è per Caso». L’etichetta riproduce una tela del maestro Luca Bellandi, artista sensibile che ha ispirato Teresa nelle scelte decisive per la sua nuova vita di vignaiola.
Il caso non esiste, forse esiste un disegno più grande e sta a noi coglierne i segnali e agire di conseguenza, con grande coraggio. Brava Teresa, un grande in bocca al lupo.