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    Consorzio Asti DOCG: imbottigliato 2024 supera i 90 milioni

    È positivo il bilancio della produzione di Asti Spumante e Moscato d’Asti, che a fine 2024 supera il tetto di 90 milioni di bottiglie in linea con la performance dell’anno precedente. Lo rileva il Consorzio di tutela che ha elaborato i dati di produzione e vendita della Docg più importante al mondo nel segmento dei vini aromatici. A trainare il risultato il Moscato d’Asti che chiude l’anno con un imbottigliato di oltre 33 milioni di pezzi, in crescita in doppia cifra grazie in particolare alla domanda statunitense, a quella italiana e all’aumento dei consumi nel Far East (Corea e Cina).
    In leggera flessione l’imbottigliato di Asti Spumante che però tiene sul fronte delle esportazioni (-0,8% i volumi nei primi 9 mesi del 2024). In grande ascesa le spedizioni verso l’Est Europa, dove Lettonia (tendenziale a +5%) e Russia (+49%) rappresentano oltre un terzo del totale export nel periodo; in lieve calo gli Usa (-2%) mentre il Regno Unito cresce del 10%.
    “Possiamo ritenerci soddisfatti – ha detto il presidente del Consorzio Asti Docg, Stefano Ricagno – perché nonostante le incertezze dei mercati, questi risultati dimostrano che il trend di consumo è sempre più orientato verso prodotti alcolici a bassa gradazione sia in Italia che all’estero. Moscato d’Asti e Asti Spumante sono naturalmente low alcohol, e quindi tradizionali ma moderni allo stesso tempo, in grado di intercettare nuove tendenze come quella dei cocktail che riscontriamo ormai in ogni angolo del mondo”.
    “La grande forza di questa denominazione è nella potenzialità della filiera – commenta Lorenzo Barbero, vice presidente senior – che permette di produrre e commercializzare i nostri vini conquistando in maniera capillare sempre più mercati a livello internazionale, a conferma che la nostra denominazione è apprezzata in tutto il mondo”.
    Il vitigno Moscato Bianco che dà vita alla Docg piemontese è coltivato in 51 comuni delle Province di Alessandria, Asti e Cuneo per un’estensione di circa 10mila ettari rientranti nel paesaggio vitivinicolo Patrimonio Mondiale dell’Umanità riconosciuto dall’Unesco. Ad oggi le aziende consorziate sono 1013, divise tra 50 case spumantistiche, 778 aziende viticole, 153 aziende vitivinicole, 17 aziende vinificatrici e 15 cantine cooperative. Il 90% della produzione viene esportata. LEGGI TUTTO

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    Un gioiello tra le Dolomiti: Maso Besleri di Pojer e Sandri

    Adagiato tra le colline trentine, Maso Besleri è molto più di un wine resort: è un luogo dove la passione per il vino, l’amore per il territorio e l’ospitalità autentica si incontrano. Parte dell’eccellenza dell’azienda agricola Pojer e Sandri, Maso Besleri offre un’esperienza intima e raffinata, perfetta per chi cerca di immergersi nella cultura enologica e nella bellezza naturale del Trentino.Un angolo di pace immerso nella natura
    Situato a Faedo, in una posizione panoramica che domina la Val d’Adige, Maso Besleri è un’oasi di tranquillità. L’antico maso è stato restaurato con grande cura, rispettando l’architettura locale e valorizzando ogni dettaglio con un tocco moderno. Gli ospiti sono accolti da un ambiente caldo e familiare, dove il legno e la pietra si fondono con la luce naturale e i colori del paesaggio circostante.
    Camere e ambienti dal fascino unico
    Le stanze, poche e selezionate per garantire un’esperienza esclusiva, sono arredate con stile e comfort, offrendo una vista mozzafiato sui vigneti e sulle montagne circostanti. Ogni dettaglio parla di autenticità e qualità, dai tessuti naturali alle finiture artigianali. L’atmosfera intima del resort invita a rilassarsi, magari con un buon libro o un calice di vino della cantina Pojer e Sandri in mano.
    Un viaggio tra sapori e profumi
    La cucina è una celebrazione delle eccellenze trentine, con piatti che esaltano i prodotti del territorio e seguono il ritmo delle stagioni. La colazione, ricca e genuina, è un trionfo di sapori locali, mentre la possibilità di degustare i vini Pojer e Sandri direttamente al maso è un’esperienza indimenticabile. Dai profumati vini bianchi come il Müller Thurgau e il Sauvignon, ai rossi eleganti come il Pinot Nero, ogni bottiglia racconta la storia di una terra unica e di una passione tramandata da generazioni.
    Photo Credits: Maso Besleri di Pojer e Sandri
    Esperienze autentiche per gli ospiti
    Maso Besleri è il punto di partenza ideale per esplorare il territorio circostante. Gli ospiti possono visitare la cantina Pojer e Sandri, immergendosi nella filosofia produttiva dell’azienda, famosa per il rispetto dell’ambiente e l’innovazione enologica. Per chi ama la natura, i sentieri che attraversano i vigneti e i boschi della zona offrono panorami mozzafiato e momenti di pura connessione con il paesaggio.
    Un rifugio per anima e palato
    Maso Besleri è il luogo dove il tempo sembra rallentare, permettendo agli ospiti di godere appieno della bellezza del momento. È un’esperienza che va oltre il semplice soggiorno: è un invito a scoprire un modo di vivere autentico, fatto di sapori, tradizioni e meraviglia.
    Conclusione
    Chi visita Maso Besleri non dimenticherà la qualità del vino, la calorosa accoglienza e la bellezza incontaminata del Trentino. È il rifugio perfetto per chi desidera una pausa di qualità, dove ogni dettaglio parla di passione e rispetto per la natura.
    Visita il sito LEGGI TUTTO

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    Heraco, la nuova “creazione” enologica della famiglia Grosjean

    Heraco è il nuovo vino di Grosjean che parla di “famiglia”: un rosso che racconta una forte identità territoriale e profondi legami familiari. Il segreto è, infatti, nel suo nome che svela l’ultima creazione di questi vignerons valdostani: Heraco, infatti, è l’acronimo dalle iniziali di Hervé, Eraldo, Er di Didier e Co di Marco, quattro personalità distinte ma unite dalla passione nel produrre vini di montagna.
    Nell’estate del 2023 prende vita Heraco grazie all’idea di utilizzare i due principali cru della cantina, le vigne Tzeriat e Rovettaz: la prima – piantata negli anni ’60 dal nonno Dauphin – da cui arriva il Pinot Noir che conferisce eleganza ed equilibrio, e la seconda – dalla quale si ottengono il Fumin che dona una buona struttura, il Torrette Superieur che regala un bell’equilibrio e il Clairetz che completa con un bel tannino derivante dal nebbiolo. Oggi Rovettaz, il più grande vigneto dell’azienda con 6,5 ettari, rappresenta l’appezzamento più importante in Valle d’Aosta coltivato da un singolo vigneron oltre a essere storicamente riconosciuto per la sua vocazione alla produzione di ottimi vini da più di 300 anni.
    Queste quattro varietà sono state lasciate “sposare” da agosto dell’anno scorso fino a gennaio: hanno riposato in tonneau da 600 lt e successivamente passate in bottiglia per la parte di affinamento finale. Intrigante al naso e fresco in bocca, questo rosso rubino esprime grande complessità che si traduce in rara finezza. Verticale e austero, le note di spezie si fondono a sentori di frutta rossa e sottobosco. quasi croccante al palato. Un vino che certamente può attendere anche diversi anni prima di essere stappato!
    Un racconto di famiglia, quella dell’azienda Grosjean: oggi con Heraco si parla di un altro pezzo di storia ricca di tradizione, unicità e collaborazione di questi vignaioli valdostani. Questa è la forza della viticoltura di questa regione che – attraverso un’autentica espressione di valorizzazione e preservazione di territorio – esprime il suo carattere fortemente identitario fatto di persone, montagna e vini.
    GROSJEAN
    La cantina valdostana è una storica realtà enoica che da sempre coniuga storia e tradizione, creatività e innovazione.  Prende vita agli inizi degli anni ’60 sotto la guida di nonno Dauphin che decide di investire nell’attività vinicola e imbottiglia il proprio Ciliegiolo presentato con successo all’”Exposition des Vins du Val d’Aoste” nel 1968. Negli anni ’80 ha inizio un processo di valorizzazione dei vari vigneti di proprietà. Nel 2000 viene inaugurata la nuova cantina e nel 2011 inizia la conversione al biologico. Grosjean Vins è la prima cantina in Valle d’Aosta a compiere questo passo, quasi dieci anni in anticipo sulle altre realtà locali. Il “fattore umano”, l’amore per il proprio lavoro e per la propria terra rappresentano gli elementi fondamentali sui cui negli anni si è consolidata l’identità della cantina valdostana. Oggi a guidarla è la terza generazione, i giovani Hervé, Didier, Simon e Marco, assieme a Eraldo. LEGGI TUTTO

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    Ronchi di Castelluccio e Poggio della Dogana: il sogno dei fratelli Rametta in Romagna

    La storia di alcuni vini italiani è davvero affascinante. Per un periodo della loro esistenza, questi vini sono diventati così iconici da essere elevati al rango di simboli: uno, al punto da diventare il feticcio di un premier francese; un altro, l’unico vino bianco servito durante un pranzo ufficiale al Quirinale, in occasione della visita di uno dei più importanti segretari generali del Partito Comunista dell’Unione Sovietica.

    Questi vini, avvolti da un’aura leggendaria, non hanno tuttavia mantenuto nel tempo il blasone riconosciuto a un Brunello di Montalcino di Biondi Santi o al Barolo Sperss di Gaja. Tra loro spiccano due nomi: il Capo di Stato, un taglio bordolese prodotto in Veneto, e il Sauvignon Blanc Ronco del Re, della cantina romagnola Ronchi di Castelluccio.

    Aldo Rametta

    Il Capo di Stato nasce a Venegazzù del Montello, in Veneto, grazie al Conte Loredan Gasparini, già negli anni ’60. Inizialmente noto come Venegazzù Rosso della Casa Riserva, era presente nelle carte dei vini degli hotel di lusso veneziani. Fu proprio in uno di questi contesti che il vino venne servito al presidente francese Charles de Gaulle, il quale, innamoratosene perdutamente, era convinto che fosse un vino francese sconosciuto. Con enorme stupore, scoprì invece che si trattava di un prodotto italiano. Questo episodio spinse il Conte Loredan a ribattezzare il vino con il nome di Capo di Stato.

    Oggi questo straordinario vino è ancora prodotto dalla famiglia Palla, attuale proprietaria della cantina Loredan Gasparini. Nonostante il suo valore, il Capo di Stato non gode però della notorietà che meriterebbe.

    Destini differenti ha vissuto il Sauvignon Blanc Ronco del Re, che negli anni ’80 era uno dei vini bianchi italiani più prestigiosi e costosi. Nel 1989, durante un pranzo ufficiale al Quirinale, fu scelto come unico vino bianco servito a Michail Gorbaciov, simbolo della qualità italiana.

    Vigneti a Poggio della Dogana

    Con il passare del tempo, però, il Ronco del Re finì nell’oblio, complice un cambio di proprietà e di visione aziendale. La sua storia ha conosciuto una svolta nel 2020, quando i fratelli Aldo e Paolo Rametta hanno acquisito la cantina Ronchi di Castelluccio, con l’intento di riprendere il progetto originario per ridare ai vini la collocazione meritano: tra i grandi vini d’Italia.

    Aldo e Paolo Rametta

    Il Progetto dei fratelli Rametta

    Aldo e Paolo Rametta, fratelli con origini tra New Orleans e la Svizzera, decidono nel 2016 di investire nella loro passione per la terra e il vino, legata alla Romagna, terra d’origine familiare. Nasce così Poggio della Dogana, una tenuta situata a Terra del Sole, tra le colline di Castrocaro Terme e Brisighella. Il progetto, dal 2023 certificato biologico, si dedica alle varietà autoctone come Sangiovese e Albana, con una forte vocazione internazionale.

    Nel 2020 i fratelli intraprendono un secondo ambizioso progetto acquisendo Ronchi di Castelluccio, storica azienda fondata nel 1974 dall’intellettuale e regista Gian Vittorio Baldi. Baldi, ispirato dall’eccellenza di Château Lafite-Rothschild, introdusse in Romagna un approccio pionieristico alla viticoltura di qualità, fino ad allora quasi sconosciuta in Italia. Con il supporto del critico Luigi Veronelli e la collaborazione dell’enologo Vittorio Fiore e dell’agronomo Remigio Bordini, avviò un progetto visionario basato su zonazione, selezione clonale e vinificazione per singole vigne. Grazie a queste innovazioni, Ronchi di Castelluccio produsse i primi cru di Romagna, vini longevi e di qualità straordinaria.

    Dopo essere stata guidata dalla famiglia di Vittorio Fiore, la tenuta è oggi gestita da Francesco Bordini, figlio di Remigio, che insieme ai fratelli Rametta punta a rilanciare l’azienda nel rispetto del progetto originario. I vigneti storici sono stati restaurati senza abbattere piante e ripristinando metodi tradizionali come il guyot e l’alberello. Ogni vigneto, o “Ronco”, è vinificato singolarmente per valorizzare le caratteristiche uniche del terroir.

    Il territorio delle colline di Modigliana, ricco di fossili e originato da sedimenti marini, è un luogo unico per la viticoltura. Qui si trovano i Ronchi, appezzamenti “strappati” al bosco con la roncola e circondati da una biodiversità preziosa, che dialoga con la vegetazione e il microclima.

    allevamento_Ronchi di Castelluccio

    Nel 2023, i Rametta ampliano la loro visione acquistando l’azienda agricola Fontana, una proprietà di 390 ettari con allevamenti biologici di vacche Limousine, uliveti e laghi. Questo sistema integrato consente di produrre fertilizzanti a km 0 e rafforza la sostenibilità ambientale dell’azienda, che mira anche a sviluppare un progetto di agrivoltaico per l’autosufficienza energetica.

    Poggio della Dogana si distingue non solo per i vini biologici di grande espressione territoriale, ma anche per la produzione di miele e per la scelta di celebrare la storia familiare con etichette ispirate ai disegni di Silvio Gordini, trisavolo di Aldo e Paolo.

    In entrambe le aziende, i fratelli Rametta perseguono un equilibrio tra eredità e avanguardia, guidati dalla volontà di riportare la Romagna al centro della scena vitivinicola internazionale, con un approccio etico, sostenibile e di alta qualità.

    I Vini degustati – Ronchi di Castelluccio

    Dalla vendemmia 2020 l’azienda è tornata a vinificare separatamente i quattro Ronchi originari: Ronco Casone, Ronco della Simia, la cui produzione mancava da oltre 25 anni, Ronco dei Ciliegi e il ritorno del Ronco del Re, prodotto solo nelle annate più convincenti. Tutti i cru sono 100% uve sangiovese, a eccezione del Sauvignon Blanc Ronco del Re, raccolte a mano tramite la cosiddetta “vendemmia eroica”, date le pendenze ardite. I grappoli sono trasportati nella cantina di proprietà e vinificati tramite fermentazione con lieviti indigeni e a temperatura controllata. Ciascun vino è affinato secondo diverse scelte relative all’impiego e alle tempistiche di acciaio e legno, nuovo e usato.

    A marzo 2022 sono inoltre uscite sul mercato le prime due novità firmate fratelli Rametta: il Sangiovese Buco del Prete e il Sauvignon Blanc Sottovento, con l’obiettivo di valorizzare gli omonimi vigneti piantati nel 1989. La vendemmia ricalca le modalità eroiche adottate per i prestigiosi “fratelli maggiori” Ronchi e la vinificazione avviene per single vineyards. I due vini si inseriscono commercialmente tra la linea d’ingresso e la gamma dei cru.

    La produzione media annua di Ronchi di Castelluccio è di 65.000 bottiglie, per il 90% destinate al mercato italiano, con una distribuzione per l’85% Ho.re.ca., mentre il 10% è esportato negli Stati Uniti.

    Sauvignon Blanc Rubicone IGT Bianco “Sottovento” 2021

    Monovarietale da uve sauvignon blanc raccolte da alberelli piantati nel 1989, creato dalle esperte mani dell’enologo Francesco Bordini. L’etichetta è un omaggio all’appezzamento di terreno in cui entrambi i vitigni sono stati piantumati nel 1989 e rappresenta, in visione onirica, la forte brezza che dal Mediterraneo abbraccia la vigna. Sauvignon di notevole finezza, lontano (per fortuna) dagli stereotipati sentori tipici del vitigno e con una importante prospettiva di longevità.

    Romagna DOC Sangiovese Modigliana “Buco del Prete di Castelluccio” 2021

    è un cru da viti del 1989 radicate nella parcella di Modigliana più impervia, circondata da una fitta macchia boschiva, e abbandonata per decenni proprio per la difficoltà di raggiungerla. L’etichetta riporta a quelle storiche dei Ronchi, con un disegno che riprende il bosco tutt’intorno al vigneto del Buco del Prete, raffigurato con la vista dal basso verso l’alto per stimolare la sensazione di trovarsi all’interno di un incavo. I colori sono volutamente astratti per riportare a un’atmosfera immaginifica, evocando un incredibile viaggio sensoriale. Vino dinamico, scorrevole e di bella beva.

    Sauvignon Bianco Colli di Faenza DOC “Ronco del Re” 2021

    L’unico cru da uve sauvignon blanc nasce da piante di circa 50 anni affacciate sulla Val Lamone, verso la Pieve del Thò del 1800. Il nome “Re” deriva da “rio”, fiume in dialetto romagnolo. La vigna, infatti, è formata da un sottile lembo di terra che affianca via Tramonto, in bilico tra la strada e il grande dirupo che la separa dal rio. In questa posizione incassata il Ronco raccoglie il calore del sole durante il giorno e della terra la notte, arricchendosi di profumi, assorbendo ogni anno i diversi modi con cui la natura si trasforma e rivela. Il Colli di Faenza Doc nasce in un appezzamento a 370m s.l.m. anch’esso restaurato nel 2019, allevato a cordone speronato e disposto a giropoggio. La produzione è limitata a meno di mille bottiglie. Un sentito ringraziamento ai fratelli Rametta per aver fatto rinascere questo grandissimo vino bianco unico, intrigante e di grande espressività.

    Fabio Castellucci_Paola Antonello

    Romagna DOC Sangiovese Modigliana “Ronco della Simia” 2020

    è un Sangiovese carnoso, da un clone con buccia spessa e ricchissima in struttura che si trasforma in una trama intensa e impenetrabile. Le naturali doti di finezza si intrecciano con una potenza insolita da domare grazie a una lunga maturazione in bottiglia. Il cru è esposto a Est e si trova a 440m s.l.m. Il Ronco della Simia ha una singolare etichetta che deriva direttamente dal Corpus Aldrovandino conservato nella Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna. Il curioso nome del vino si rifà a una leggenda con protagonista un militare americano di istanza a Modigliana durante la Seconda Guerra Mondiale. Si racconta che, al termine del conflitto, il soldato decise di stabilirsi in queste terre insieme alla fidata compagna di avventure, una scimmietta. Quando l’animale morì, il militare volle renderle omaggio seppellendola vicino al pozzo presente nel ronco, considerato un luogo mistico. Da qui il nome Ronco della Simia. In questo momento il capolavoro dei fratelli Rametta, complesso e profondo. Ho riassaggiato la bottiglia a quattro giorni dall’apertura e conservata a temperatura ambiente, aveva mantenuta intatta tutta la sua eleganza, caratteristica che si addice solo ai grandi vini.

    Poggio della Dogana

    I Vini degustati – Poggio della Dogana

    La produzione vinicola di Poggio della Dogana è in regime biologico,certificato a livello europeo da Suolo e Salute,e pone al centro le varietà più rappresentative del territorio romagnolo, ovvero il sangiovese, la cui presenza è attestata da un atto notarile datato 1672, custodito nell’Archivio di Stato di Faenza e l’Albana, uva vinificata in purezza dall’azienda versione secca o nell’originale da uve stramature.

    La scelta delle etichette dei vini di Poggio della Dogana è un tributo alla storia familiare dei Rametta, le grafiche riprendono, infatti, i bozzetti e gli studi di Silvio Gordini, uno degli artisti più noti dell’Emilia-Romagna, trisavolo di Aldo e Paolo da parte di mamma.

    La produzione totale di Poggio della Dogana è di 40.000 bottiglie, il 90% distribuite sul mercato italiano, quasi totalmente in Ho.re.ca., mentre l’export si concentra sugli Stati Uniti e destina una piccola quantità alla Germania.

    Romagna DOCG Albana Secco “Belladama” 2023 ​

    Versione secca della varietà allevata a Brisighella, in località “Pideura”, da vigneti di 20 anni allevati a guyot tra i 200m e i 300m s.l.m. La vinificazione in assenza di bucce segue la procedura tradizionale con la pressatura verticale lenta. La fermentazione avviene in tini di acciaio a temperatura controllata con lieviti indigeni. L’affinamento è di dieci mesi in cemento non vetrificato, con periodici bâtonage sulle fecce fini, e di almeno quattro mesi in bottiglia. Il nome è un omaggio a Rosanna, madre di Aldo e Paolo: Belladama era, infatti, l’esemplare della scuderia di cavalli da trotto del nonno materno che lei amava di più da bambina. L’etichetta rappresenta un fiore simile alla bocca di leone. Vino incisivo e gastronomico, un ottima bevuta.

    Romagna DOCG Albana Secco “Farfarello Brix” 2022 ​

    Questa è la prima annata di produzione per un vino le cui uve provengono da un vigneto di 20 anni, situato a un’altitudine tra i 200 e i 300 metri nel comune di Brisighella. Con questo vino, l’Azienda Poggio della Dogana entra a far parte dell’Associazione Brisighella, Anima dei Tre Colli, nata nel 2023 grazie all’iniziativa di cinque aziende, che ora sono 19, con l’obiettivo di valorizzare e definire un nuovo stile per l’Albana di Romagna. A tale scopo, è stato avviato il progetto Brisighella Brix, che ha istituito un disciplinare di produzione rigoroso al quale le aziende partecipanti devono attenersi. Vino  dal sorso elegante e incisivo, con un intrigante gioco tra note di frutta matura e note vegetali di fiori di campo. Da tenere d’occhio.

    Nella foto di copertina da sx Paolo Rametta-Aldo Rametta-Fabio Castellucci. LEGGI TUTTO

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    Nama in verticale: Chardonnay d’autore dall’Alto Adige

    Nals Margreid è una delle più importanti cooperative italiane, nata dalla fusione delle cantine sociali di Nalles e quella di Magrè. La cantina sorge lungo la strada che collega Nalles alla frazione di Sirmian, integrandosi armoniosamente nel paesaggio circostante, sia naturale che urbano.

    Qui, le uve, raccolte da vigneti distribuiti su tutto il territorio altoatesino, vengono trasformate con maestria. Le diverse altitudini, comprese tra i 200 e i 900 metri, offrono condizioni climatiche e caratteristiche del suolo uniche, che si riflettono nell’identità di ciascun vino. Il risultato è una gamma di prodotti che esprime freschezza alpina, una profonda connessione con il terroir e una naturale vocazione internazionale.

    La struttura della cantina, rinnovata nel 2011 su progetto dell’architetto Markus Scherer, rappresenta un dialogo raffinato tra eredità e innovazione. L’uso sapiente di rovere, cemento, acciaio e vetro conferisce all’edificio un’identità contemporanea, mentre elementi storici come i ciottoli del 1764, le travi e le colonne arricchiscono l’estetica con richiami al passato. Questa armonia tra antico e moderno riflette l’approccio produttivo della cantina, che fonde sapientemente l’evoluzione senza dimenticare le radici. Il vetro, utilizzato per rendere visibili la zona di produzione e parte della barricaia, è simbolo di trasparenza nei confronti dei consumatori; il legno, invece, evoca un senso di continuità con la natura, mentre l’acciaio simboleggia l’unione tra architettura e processo enologico. Questa straordinaria combinazione architettonica è stata premiata nel 2012 alla Biennale di Venezia, nell’ambito del concorso internazionale Le Cattedrali del vino, per la categoria Interior Design.

    Le origini di Nals Margreid risalgono al 1764, anno inciso sul pavimento dell’edificio storico. Nel 1932, trentadue famiglie di viticoltori decisero di rilevare la cantina, iniziando una nuova fase di storia e dedizione. Oggi, sono 138 le famiglie che collaborano alla coltivazione di 160 ettari di vigneti, lungo la Strada del Vino dell’Alto Adige, con una predominanza di uve bianche (70%) rispetto alle rosse (30%).

    Come di consueto, Nals Magreid ha presentato al Merano Wine Festival la nuova annata di Nama, il suo vino più celebre e celebrato, cogliendo l’occasione per testarne l’evoluzione nel tempo con un’imperdibile verticale che si è tenuta presso la cantina di Nalles.

    Nama in verticale

    Nama nasce dall’esperienza dei viticoltori di Nals Margreid, unita a un’accurata ricerca delle microzone più adatte. Nato come Cuvée nel 2016 e diventato 100% Chardonnay dal 2019, questo progetto si basa su una filosofia di sostenibilità che l’azienda persegue con dedizione. I vigneti di Chardonnay, situati a Magrè nella Bassa Atesina, si trovano tra i 300 e i 400 metri di altitudine su terreni di ghiaia calcarea ricchi di humus, con esposizione sud/sud-est. Il clima mediterraneo, caratterizzato da estati calde, inverni miti e venti pomeridiani, crea le condizioni ideali per la coltivazione. Le uve, raccolte e selezionate a mano, fermentano e invecchiano per 15 mesi in piccole botti di rovere. Successivamente, il vino affina per 12 mesi in serbatoi d’acciaio e per un anno in bottiglia, seguendo un processo attento e rispettoso della qualità.

    Nama Cuvèe 2016 e Nama Cuvèe 2018 Alto Adige Doc85% chardonnay, 9% pinot bianco, 6% sauvignon. Per entrambe le annate seguono queste note ricavate dalla scheda tecnica: chardonnay raccolto a mano a Magrè, nella Bassa Atesina, tra i 250 e i 350 metri di altitudine. Pinot bianco e  sauvignon sono stati raccolti a mano a Nalles, in Valle dell’Adige, a un’altitudine compresa tra i 500 e 700 metri. Fermentazione e invecchiamento per 18 mesi in piccole botti di rovere e successivo assemblaggio. Seguono 12 mesi di invecchiamento in serbatoi d’acciaio fino all’imbottigliamento con un ulteriore anno di affinamento in bottiglia. Entrambi vini di estrema finezza con uno spettro gusto-olfattivo che si esprime con grazia, naturalezza e armoniosità, con l’annata 2018 che raggiunge vette paradisiache a cui  aspira ogni bianchista che si definisca tale.

    Nama 2019 Alto Adige Doc

    La prima annata 100% chardonnay, raccolto a mano a Magrè, nella Bassa Atesina, tra i 300  e 400 metri di altitudine. Fermentazione e invecchiamento per 18 mesi in piccole botti di rovere e successivo assemblaggio. Seguono 9 mesi di invecchiamento in serbatoi d’acciaio fino all’imbottigliamento con un ulteriore anno di affinamento in bottiglia.  Pieno, vibrante con un grande potenziale di invecchiamento ancora tutto da esprimere, ma già adesso è un grande vino, non c’è che dire.

    Paolo Porfidio, Gottfried Pollinger e Harald Schraffl

    Nama 2020 Alto Adige Doc

    100% chardonnay raccolto a mano a Magrè, nella Bassa Atesina, tra i 300  e 400 metri di altitudine. Le pratiche di vinificazione sono le stesse del 2019. Nonostante l’annata complicata il vino è incisivo sia all’olfatto che al palato che risulta essere sapido e fresco con una bella coerenza naso-bocca e un allungo persistente.

    Paolo Porfidio – Stefania Mafalda

    Nama 2021 Alto Adige Doc (non ancora in commercio)

    100% chardonnay raccolto a mano a Magrè, nella Bassa Atesina, tra i 300  e 400 metri di altitudine. Le pratiche di vinificazione sono le stesse del 2019. Vendemmiato a settembre inoltrato dopo un’annata con importanti escursioni termiche che hanno pretermesso di portare in cantina un’uva perfetta. All’olfatto manifesta tutta la sua incisività virando più su note vegetali che fruttate. Il palato è ancora alla ricerca di equilibrio. Un vino da lunghissimo invecchiamento, con un grande potenziale che si esprimerà con prepotenza nei prossimi anni. LEGGI TUTTO

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    Unpacking Wine Guide, il packaging del vino spiegato bene

    I mercati esteri sono sempre stati l’obiettivo principale della maggior parte della produzione vinicola italiana. Non a caso nel 2023 le nostre esportazioni di vino hanno generato circa 8 miliardi di euro, con un aumento dell’80% dal 2012 al 2022 (dati ICE, 2023). Sbocchi principali dei vini italiani sono stati gli USA, la Germania, il Regno Unito e il Canada. In Oriente, la Cina sembrerebbe un altro mercato promettente, ma la sua complessità richiede ancora valutazioni molto attente e una buona dose di prudenza (sebbene nel 2022 l’Italia abbia mantenuto la sua posizione di primo esportatore di vino in Cina, in forte concorrenza con la Francia). Peccato che viviamo tempi così incerti che ciò che fino a ieri era un certezza, oggi non lo è più. Solo una caratteristica pare costante: la complessità. Dei mercati, delle legislazioni, dei trend di consumo. Se questo vale per ogni aspetto del wine business, uno dei primi ad esserne toccato è il packaging in senso lato. Ogni Paese ha le sue regole, ogni categoria di vino le sue esigenze, ogni consumatore i suoi gusti. E poi c’è il problema della sostenibilità, (e della sua percezione da parte degli utenti finali) che deve infilarsi (giustamente) in ogni anfratto anche di questo mondo.Il packaging  è il primo punto di contatto tra il consumatore e il prodotto: il suo aspetto finisce per influenzare (nel bene e nel male) la decisione d’acquisto. I vini italiani sono spesso associati alla tradizione e all’eleganza, e per quanto molti consumatori ancora chiedano loro di riflettere queste qualità anche attraverso il loro abbigliaggio, ce ne sono altri, forse più numerosi, che non si sentono minimamente attratti da questo modo un po’ old-fashioned di presentare il vino. Rinnovare il packaging di una linea o anche solo di una bottiglia può diventare perciò una bella sfida, un campo minato zeppo di trappole (burocratiche, psicologiche, tecniche). Per avere un’idea di cosa significhi addentrarsi in questo campo, il team di the Porto Protocol, un’iniziativa di Taylor’s Port per condividere  conoscenze pratiche che permettano al settore vitivinicolo di agire per mitigare i cambiamenti climatici e promuovere la sostenibilità, ha pubblicato un bellissimo e agile libretto: “Unpacking Wine Guide- A Practical Journey Through the Environmental Landscape of Packaging”. Si tratta della risorsa più completa sull’argomento del packaging in tutti i suoi aspetti che abbia letto finora,  progettata per consentire ai produttori e ai professionisti del settore di prendere decisioni informate in materia di imballaggio, riducendo al minimo l’impatto ambientale. Che si tratti di etichette, contenitori per il vino, chiusure e altro, la guida esamina in profondità i pro e i contro di ogni scelta, sotto tutti gli aspetti (compresi quelli delle singole legislazioni). E le sorprese non mancano.Per chi sta pensando di cambiare abito alla propria produzione, è uno strumento decisamente utile, ad un prezzo più che ragionevole (lo si può acquistare qui). Un piccolo regalo che ciascun produttore può fare a se stesso, ritagliandosi poi un paio d’ore almeno per leggerlo con calma.E auguri per le prossime Feste! LEGGI TUTTO

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    Vini umbri d’eccellenza: il progetto UmbriaTop Wines

    In Umbria, l’eccellenza della produzione vitivinicola è riunita sotto l’ala di UmbriaTop Wines, società cooperativa fondata nel 2009: nata dalla visione di vitivinicoltori di fama mondiale, si dedica alla promozione dei migliori vini regionali, enfatizzando la qualità, la sostenibilità e l’autenticità del patrimonio enologico umbro. La cooperativa, che associa 109 cantine e 4 Consorzi vitivinicoli – Torgiano, Montefalco, Trasimeno, e Orvieto. Per conoscere meglio questa importante realtà del sistema vino italiano ho rivolto alcune domande a Gioia Bacoccoli, General Manager di UmbriaTop.

    Lo staff di UmbriaTop Wines: Laura La Ficara – Francesco Strangis – Gioia Bacoccoli

    Quali sono le motivazioni principali che hanno portato alla fondazione di UmbriaTop Wines nel 2009 e come si è evoluta la cooperativa dal momento della sua creazione fino ad oggi?

    UmbriaTop Wines è una società cooperativa agricola fondata nel 2009 con l’obiettivo di promuovere un’immagine unitaria dei produttori vitivinicoli regionali. Ad oggi, la Cooperativa riunisce sotto di sé 118 soci tra cui i quattro Consorzi di Tutela regionali e rappresenta così un gruppo eterogeneo di produttori di fama mondiale, che producono vino di altissima qualità. L’obiettivo è quello di promuovere tutta la produzione vitivinicola partendo dall’area di Montefalco, passando per la zona del Lago Trasimeno, fino ai territori che fanno capo ad Orvieto e Torgiano.

    La cooperativa, sostenuta anche dalla Regione Umbria, ha come mission quella di educare il consumatore ad apprezzare e valorizzare gli eccellenti vini di questa regione. La cooperativa è partita da una base molto ridotta, e nel corso degli anni, con l’adesione di sempre più soci convinti della buona riuscita di questo progetto, si è espansa e così anche la sua partecipazione a fiere ed eventi del territorio regionale, nazionale ed internazionale.

    Quale significato profondo volete dare al concetto di “immagine unitaria e qualificata” per il vino umbro?

    La mission di UmbriaTop è quella di far emergere tratti che sono di fatto comuni per tutte le produzioni enologiche regionali.

    Qualità, in nome di quantità quasi sempre limitate, frutto di un lavoro costate di selezione delle uve in campo e di una grande cura in cantina; 

    Autenticità ed unicità, pensando ai nostri vitigni autoctoni protagonisti delle produzioni

    Sostenibilità, ove la nostra regione è di fatto un “cuore verde” dove pochissimo è l’inquinamento ambientale.

    “rarità”: se si pensa che l’intera produzione media annuale si compone di meno del 2% della produzione nazionale

    Queste parole chiave possono essere alla base della nostra idea di “immagine unitaria” se espresse in una narrazione coordinata.

    Il tutto può funzionare ancor meglio abbinandolo anche ad eccellenze agroalimentari del territorio viaggino insieme, con accordi strategici con altri soggetti.

    Il nostro modus operandi abituale è quello di creare un collettivo di produttori ben riconoscibile al di fuori dell’Umbria che rimandi alla qualità del brand Umbria.

    Qual è il ruolo dei vitigni autoctoni nella produzione dei vini Umbri e quali sono le principali sfide nella produzione di vini di alta qualità rispettando la biodiversità e il territorio?

    I vitigni autoctoni sono un elemento fondamentale per la produzione dei vini umbri, consentono di promuovere l’essenza di questo territorio immensamente ricco di biodiversità e storia. La produzione vitivinicola regionale sul territorio risale infatti sin dall’epoca degli Umbri.

    La produzione dei vini di alta qualità presenta diverse sfide per rispettare il territorio e la sua biodiversità; i produttori sono molto attenti a questi due temi e adottano strategie competitive e all’avanguardia per garantire la biodiversità del territorio che permette di ottenere prodotti di altissimo pregio e attenti al rispetto della natura e del territorio. Lo slancio verso una viticultura pulita è già ben avviato, con aziende che producono vino biologico o lavorano in regime sostenibile.

    L’impegno verso la tutela paesaggistica del territorio umbro è ben riscontrabile anche dall’elevato numero di cantine presenti alla fiera di Slow Wine a Bologna, il cui obiettivo è quello di promuovere il vino buono, pulito e giusto.

    Come vi state approcciando agli strumenti digitali per la strategia di promozione dei vini umbri e per il coinvolgimento dei consumatori a livello globale?

    Gli strumenti digitali sono uno degli attrezzi fondamentali per poter diffondere, al di fuori della regione e al di fuori del territorio nazionale, l’immagine di qualità del vino umbro. Attraverso post di Instagram e Facebook intendiamo raggiungere un vasto pubblico di consumatori che possono approcciarsi in prima battuta alla realtà di Umbria Top e di tutti i progetti e gli eventi organizzati durante l’anno; il fine è quello poi di farli avvicinare in maniera diretta ai produttori vitivinicoli. In programmazione dal 2025 abbiamo la creazione di un portale e-commerce regionale nonché un sistema di blockchain che possa interconnettere i produttori con i tecnici che costantemente sostengono le aziende. In progress anche una progettazione di attività divulgative come realtà aumentata, realtà immersiva ed animazioni con schermi led innovativi.

    Quali sono gli obiettivi principali di Umbria Top per i prossimi anni e quali nuovi progetti sono previsti per aumentare ulteriormente il valore del vino umbro sui mercati internazionali?

    Umbria Top si augura di avere a giorni riscontri alla partecipazione ad un progetto di Filiera regionale sotto il bando “Distretti del Cibo” con il Ministero della Agricoltura e della Sovranità Alimentare.

    L’obiettivo per i prossimi anni è di continuare a crescere, riunendo sotto di sé ulteriori produttori di eccellenze enologiche per lavorare in modo coeso e in sinergia per rendere il settore vitivinicolo regionale sempre più protagonista del mercato internazionale e sempre più riconoscibile e richiesto.

    Nel mentre, per il 2025 stiamo lavorando al tema portante del progetto “Radici”. È un percorso multidisciplinare che prevede l’analisi della produzione vitivinicola regionale, le sue origini e le sue tracce sul territorio, le tecniche antiche e nuove di produzione, tracciando così una linea temporale della produzione a partire dalle sue origini archeologiche, antropologiche, culturali. Affiancando questa analisi storica, si vuole analizzare anche le peculiarità botaniche, ambientali, agronomiche e colturali che rappresentano l’unicità del territorio umbro, al fine di costruire una maggiore identità del comparto a partire dalla “base”.

    Accanto a questo progetto continueremo a portare avanti l’organizzazione di fiere del settore per offrire ai produttori la possibilità di relazionarsi con buyers nazionali ed internazionali per promuovere il vino umbro.

    Abbiamo aderito al bando di Distretto di Filiera presentando il nostro progetto che ci vede capofila,  in progetti pensati  in sinergia con diverse aziende e makers del territorio; siamo fiduciosi che questo possa essere un ottimo trampolino di lancio per la promozione del vino umbro non solo in Italia, ma anche in tutto il mondo.

    Qual è stata l’ispirazione dietro la creazione dell’Umbria Wine Academy e In che modo l’Academy rappresenta un ponte tra eredità e avanguardia nella viticoltura umbra? Infine, quali sono gli obiettivi principali che il progetto si propone di raggiungere a medio e lungo termine?

    L’obiettivo di Umbria Wine Academy, creata nell’anno 2024, attraverso tutte le azioni e attività programmate durante l’intero anno, è quello di individuare,  formare e fidelizzare degli Ambassador innamorati del vino umbro in grado di  promuoverlo attraverso i social e nel mondo.

    L’Academy rappresenta un ponte tra eredità e avanguardia nella viticoltura umbra grazie alle attività di incoming di buyers interessati al nostro territorio, che vengono a fare esperienze per “toccare” le caratteristiche peculiari del territorio con mano e poter diffondere l’unicità del territorio nei loro paesi di provenienza.

    Il Presidente di UmbriaTop Wines Massimo Sepiacci

    L’obiettivo del progetto a lungo termine è quello di organizzare diverse attività di diverse tipologie per promuovere il vino umbro; si va da azioni di incoming ad organizzare delle collettive di assaggi di vino dei produttori umbri per il loro riconoscimento nelle guide nazionali più importanti del settore. Il fine non è solo quello di svolgere attività di promozione rivolte verso l’estero, ma anche quello di pubblicizzare il vino umbro su tutto il territorio regionale proponendo dei format promozionali dinamici, come un road show tra le principali enoteche regionali.   LEGGI TUTTO

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    Serdiana Wine Festival: Intrecci di Vite 2024

    Il Serdiana Wine Festival: Intrecci di Vite 2024 si prepara a celebrare l’eccellenza vinicola e la cultura enogastronomica della Sardegna. Questo attesissimo evento si terrà nella suggestiva cornice di Serdiana, un piccolo borgo nel cuore dell’isola, conosciuto per i suoi vigneti rigogliosi e il profondo legame con le tradizioni locali. L’edizione 2024 ruota attorno al […] LEGGI TUTTO