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    Francia – produzione di vino – dati finali 2022 e stima 2023

    Nel 2023 la produzione di vino francese è senz’altro stata migliore di quella italiana. Secondo Agreste infatti, il calo produttivo di cui tanto si parla in Italia non c’è stato, visto che la produzione è attesa quasi stabile a 46 milioni di ettolitri. Va ovviamente detto che le basi di partenza sono diverse, visto che l’Italia veniva da due vendemmie particolarmente ricche (si potrebbe dire, sopra la media), mentre la Francia con la vendemmia 2023 si ritrova molto vicina alla media degli ultimi 5 anni, per essere precisi al 3% in più. È la spinta che negli ultimi anni ha avuto il cognac e la produzione di vini atti a questo prodotti che però influenza pesantemente i dati. Mai negli ultimi anni si erano raggiunti 12 milioni di ettolitri per questi vini bianchi. Se li togliessimo (e nelle tabelle li trovate praticamente tutti concentrati nella regione dello Charentes), ci troveremo di fronte a circa 34 milioni di ettolitri nel 2023, con un calo leggero, del 5%, sul 2022 e un livello del 3% circa sotto la media degli ultimi 5 anni. Passiamo a un commento dei dati.

    La produzione di vino in Francia nel 2023 è prevista a 46 milioni di ettolitri, di cui 12.1 milioni diretti alla produzione di acqueviti (quindi circa un quarto). La produzione di vini AOC è prevista a 19.2 milioni di ettolitri (42% del totale, 57% se escludiamo le acqueviti), quella di vini IGP a 11.3 milioni di ettolitri (25%, 33% se togliamo le acqueviti) e quella di vini da tavola a 3.3 milioni di ettolitri, quindi il 10% circa della produzione di vino escluso le acqueviti.
    Dal punto di vista geografico, trovate due tabelle, una con la produzione totale e una con la produzione si soli vini DOC.
    A fronte di una produzione di vino escluso acqueviti di 34 milioni di ettolitri e del 3% inferiore alla media del quinquennio (e memori della nota sullo Charentes) possiamo dare un occhio alle performance regionali, che ricalcano un po’ quelle commericali.
    La Borgogna con 2.8 milioni di ettolitri è +22% sulla media storica (e questo sta guidando un crollo dei prezzi, anche dei vini pregiati) con 2.8 milioni di ettolitri, la Champagne è a +24% con 3.1 milioni di ettolitri, mentre Bordeaux è il 16% sotto media con 4.1 milioni di ettolitri di vino atteso in produzione nel 2023. Lo stesso sembra valere per le aree più a sud della Francia che sembrano essere state più colpite dalle problematiche agricole di cui abbiamo letto anche in Italia.
    Vi lascio alla consultazione delle tabelle.

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    Esportazioni di vino Italia – aggiornamento luglio 2023

    Per il quarto mese consecutivo le esportazioni di vino sono in calo, nel mese di luglio del 5%. A partire da giugno, a una moderata tendenza calante dei volumi (circa 2%) si è aggiunga la discesa del “prezzo-mix” per circa il 2-3% rispetto allo scorso anno che sta ribaltando il forte incremento visto negi ultimi 12 mesi anche legato all’inflazione. Come dicevamo nella newsletter di qualche giorno fa (a proposito, volete iscrivervi? Viene pubbicata solo una volta al mese! scrivetemi), il mercato più in difficoltà è il Nord America, con il Canada in calo del 17% e gli USA dell’8% nei primi 7 mesi dell’anno, e ben di più nel solo mese di luglio (-25% e -15% rispettivamente). Il danno è per ora limitato dato che le altre due colonne delle nostre esportazioni, Germania e Regno Unito, tengono appena sopra la parità e gli spumanti come categoria si mantengono in leggera crescita. Abbiamo davanti un mese relativamente tranquillo, agosto, prima del “trimestre” chiave di settembre-ottobre-novembre che sarà il banco di prova degli spumanti e certamente l’andamento del cambio non ci aiuterà, con l’indebolimento del dollaro rispetto ai livelli record del 2022.  Passiamo a un breve commento.

    Con 684 milioni di euro e un calo del 5.1% si chiude il mese di luglio per le esportazioni italiane. Da inizio anno il saldo è dunque negativo a -1.2% a 4.45 miliardi. Se guardiamo agli ultimi 12 mesi siamo a 7.81 miliardi di euro. In altre parole, se l’andamento corrente non si ribalta in una crescita nella parte finale dell’anno, l’obiettivo degli 8 miliardi appare fuori portata.
    Fino ad ora sono proprio gli spumanti che tengono, in crescita del 3.6% nel mese a 201 milioni e nei primi 7 mesi del 3.3% a 1.2 miliardi. Invece, i vini in bottiglia hanno subito un pesante calo in luglio, -10% circa, che ha portato il saldo da inizio anno a -3.1% per un valore di 2.97 miliardi di euro.
    Quali sono i paesi che contribuiscono a questo -5%? Beh, se moltiplichiamo il peso per il calo delle esportazioni ci sono tre chiari “responsabili”. Gli USA principalmente, in calo del 15% e con un peso del 22% sul totale, poi il Canada, in calo del 24% e con un peso del 5% sul totale e la Svizzera, in calo del 20% e con un peso del 4% sul totale esportato. I segni positivi sono pochi: Francia, Germania e Regno Unito nel mese di luglio.
    Nel segmento dei vini in bottiglia il discorso si ripete in termini di geografie, mentre per gli spumanti gioca a favore l’assenza del Canada tra i principali mercati e la spinta ancora importante di alcuni mercati come la Francia, il Regno Unito e l’Est Europa (Lettonia). Più dettagli nella tabella allegata.

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    Constellation Brands – risultati primo semestre 2023

    Che il 2023 non sia un buon anno per il vino in USA lo si legge molto bene dai dati pubblicati a inizio ottobre da Constellation Brands, relativi al secondo semestre dell’anno. Benchè nel complesso l’azienda continui ad andare bene (le indicazioni sugli utili a fine anno sono state alzate leggermente), ciò è legato alla crescita del segmento birra. Nella parte relativa al vino, che il secondo trimestre ha anche il suo trimestre più forte, le consegne sono calate del 18% a fronte di un “sell-out”, ossia vendite finali, in calo dell’8% (dopo il -6% del primo trimestre). Se dunque una parte del calo è da attribuire al “destocking” e ancora una piccola parte alle attività vendute, i dati sono poco incoraggianti e le indicazioni sul fine anno relative al vino (vendite stabili a parità di perimetro e +2/+4% per l’utile operativo) sono chiaramente a rischio a questo punto. Ne sapremo di più sulla strategia e sul futuro anche oltre il 2023, visto che l’azienda ha organizzato un “Capital Market Day” per inizio novembre. Per ora gli investitori dopo un’estate improntata al rialzo hanno punito il titolo in borsa, con un calo del 12% nell’ultimo mese (al 14 ottobre) che ha di fatto cancellato i progressi da inizio anno. Passiamo a una breve analisi dei dati.

    Le vendite totali di CBrands sono salite del 7% a livello consolidato grazie alla birra (+12%), mentre per il vino le vendite calano del 13% e per gli spiriti addirittura del 18%. Il vino ormai rappresenta soltanto 384 milioni di dollari di vendite nel trimestre su un totale di 2.8 miliardi.
    A livello operativo i margini sono in crescita ma, di nuovo, tutto è legato alla birra. Nel segmento vino e spiriti (riportati insieme) l’utile operativo trimestrale cala del 19% a 81 milioni, per un margine del 18% rispetto al 19% dello scorso anno. Sui 12 mesi terminanti a fine agosto, come vi indica il grafico il margine è del 22.6% non distante da dove stava un anno fa. Si tratta di un risultato non eccellente ma va considerato anche il calo delle vendite e il minore assorbimento dei costi fissi.
    I volumi di vino scendono a 6.1 milioni di casse nel trimestre e 25 milioni sui 12 mesi, ormai molto distanti dai 70 milioni di casse che CBrands esprimeva nel 2016.
    A livello finanziario l’azienda ha un obiettivo di ridurre la leva a 3 volte l’EBITDA, il che richiederà qualche limitazione alla politica di remunerazione degli azionisti, come già si vede oggi: nei primi 6 mesi fiscali sono tornati agli azionisti “solo” 363 milioni di dollari contro i 1695 milioni dello scorso anno. Il debito che a fine anno era 11.1 miliardi di dollari è stabile a 11.0 miliardi, con un rapporto debito/EBITDA passato da 3.5 a 3.3 volte.

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    Duckhorn – risultati 2023 e prevision 2024

    I risultati 2023 di Duckhorn non hanno deluso le aspettative che il management aveva fornito: le vendite sono cresciute dell’8% a 403 milioni di dollari, l’EBITDA rettificato è andato oltre gli obiettivi a 145 milioni di dollari, +13% ma l’utile netto è salito un po’ meno delle attese a causa dell’incremento del costo del debito, +9% a 77 milioni. Purtroppo, il valore delle azioni si è più che dimezzato nel giro di un anno. Forse, oltre al fatto che gli investitori si aspettavano qualcosa di più, il colpo più secco (da un’analisi ex post) è venuto dalle indicazioni per il 2024 (luglio 2024), che indicano una crescita delle vendite e dell’EBITDA soltanto del 5-6% (quindi: margini stabili) e un utile netto stabile, a causa presumibilmente dell’incremento del costo del debito. Ora, tornando alle azioni, quando scrivevamo lo scorso anno le azioni stavano a 22 dollari, prima dei risultati erano tra 12 e 13 dollari e ora sono crollate a 10 dollari. Quindi al 3 ottobre, le azioni Duckhorn restituivano una valorizzazione di mercato di 1.2 miliardi di dollari, che diventano 1.4 miliardi con il debito. Tradotto in multipli sugli obiettivi 2024, stiamo parlando di 15 volte gli utili (oltre 30 lo scorso anno), 9 volte l’EBITDA (22x un anno fa) e 3.3 volte le vendite (quasi 8 lo scorso anno). Una valutazione decisamente più “umana”, soprattutto per un’azienda che ha buoni marchi (vedere all’interno), ben gestita ma che comunque compra il 90% delle uve all’esterno (e quindi non ha valore nelle vigne, o quasi), essendo quindi sottoposta a pressioni inflazionistiche. Bene, questo è il quadro, passiamo a un’analisi più dettagliata dei risultati.

    Le vendite a luglio 2023 salgono dell’8% a 403 milioni, grazie all’incremento dell’11% del segmento “ingrosso”, mentre le vendite dirette sono cresciute soltanto del 3%.
    L’incremento dei prezzi e del mix ha portato un +2.6%, mentre i volumi sono cresciuti del 5.6% nel 2023, contro il +1% e +9% registrato nell’anno precedente.
    I margini sono migliorati: il margine lordo passa dal 50% al 53.5%, il margine EBITDA dal 34% al 36% (ma resta sopra il 40%+ di qualche anno fa, quando peraltro l’azienda era metà di adesso). L’utile netto rettificato passa da 71 a 77 milioni, causa la risalita degli oneri finanziari, da 7 a 12 milioni.
    A livello finanziario gli investimenti sono balzati da 45 a 72 milioni, “mangiando” completamente la cassa generata dall’attività, passata da 69 a 70 milioni (anche a causa del forte incremento del magazzino). Pur non avendo pagato dividendi agli azionisti, il debito resta stabile, passando da 220 a 227 milioni di euro. Non un buon segno, particolarmente di fronte al rallentamento della crescita che il management ha previsto per il 2024.

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    Advini – risultati primo semestre 2023

    I progressi visti negli ultimi 2 anni nei conti di Advini sono rapidamente scomparsi con il rallentamento del primo semestre 2023 (crescita organica -4%, fatturato totale -1% grazie alle acquisizioni), cui si somma la svalutazione dello Zar sudafricano dove l’azienda ha investito molto e il rialzo dei tassi di interesse che batte su un debito non certo basso se proporzionato ai profitti (circa 9 volte l’EBITDA). Advini si trova dunque a fronteggiare un ulteriore giro di taglio dei costi con l’obiettivo che il secondo semestre possa ripianare le perdite maturate nel primo (circa 4 milioni di euro), portare a un calo del debito (anche grazie alla gestione del circolante e arrivare ai 300 milioni di fatturato, soglia già praticamente raggiunta nel 2022 (298). Passiamo a una breve analisi dei dati.

    Le vendite calano dell’1% a 140 milioni di euro, a causa di un -3.8% a livello organica, un contributo negativo dai cambi dell’1.7% e il “secondo pezzo” dell’aggiunta di Kleine Zalze in Sud Africa che ha portato 6.5 milioni, +4.6%.
    Advini (che non fornisce suddivisioni geografiche delle vendite) è andata meglio del mercato in UK/Irlanda (+7% contro +3%), Francia (+8% contro 0%), mentre ha perso quote nei paesi Scandinavi (stabile), in Asia/Oceania (-9%), in Canada (-17%, in un mercato peraltro in calo del 14%) e USA (un tonfo del -22% su un mercato in crescita del 4%).
    I costi delle materie prime sono costati 4 milioni di euro in più causa inflazione, oltre a 1 milione di aggravio sui costi del personale e 0.6 milioni sui costi energetici. La svalutazione dello Zar è costata 1 milione, mentre l’incremento dei tassi di interesse è costata quasi 2 milioni di euro in più.
    Mettendo insieme tutti questi pezzi si arriva al quadro che vedete qui sotto: un margine operativo lordo sceso da 11 a 7.4 milioni, in parte aiutato dal continuo incremento delle vendite dei marchi propri (saliti al 36% del fatturato e al 57% dell’EBITDA), un utile operativo in pareggio (anche a causa dei maggiori oneri finanziari dal nuovo perimetro di consolidamento) e una perdita netta di 4 milioni di euro.
    A livello finanziario le cose non vanno bene. Le rimanenze di magazzino crescono di oltre 10 milioni in un anno e il debito che stava a 144 milioni a giugno 2022 e 151 milioni a dicembre 2022, balza a 167 milioni. I dividendi pagati sono stati 3 milioni.

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    Francia – esportazioni di vino – dati primo semestre 2023

    La Francia fa decisamente meglio dell’Italia in questi primi sei mesi dell’anno in termini di esportazioni di vino. I dati rilasciati qualche giorno fa da Agreste mostrano un incremento del 3%, nonostante un calo del 6.6% dei volumi, per un totale di 6039 milioni di euro. Come avete potuto leggere nell’aggiornamento di metà settembre, le esportazioni italiane sono invece rimaste sostanzialmente stabili (-0.4%) per un valore di 3767 milioni di euro. Come abbiamo già sottolineato diverse volte, a fare la differenza sono i grandi vini francesi. Lo Champagne cresce di quasi l’8% nonostante il calo dei volumi del 5%, la Borgogna non è distante, +6% per le esportazioni, -8% per i volumi. Il quadro disegna dunque un effetto “prezzo-mix” molto potente (come è sempre stato) che vale 10 punti percentuali nel totale export, da +3% del fatturato a -6.6% dei volumi. Nel primo semestre 2023 questo impatto è pari soltanto a 1 punto percentuale per il vino italiano, che oggi viene esportato a una media di 3.6 euro al litro contro i 9.3 euro per il vino francese (entrambi i dati riferiti al semestre). Se allarghiamo lo sguardo, diciamo agli ultimi 3 anni, le esportazioni annue di vino francese hanno recuperato il 40% del valore, quelle italiane il 25% e, visibile anche graficamente, il divario si allarga.

    Le esportazioni di vino francese sono cresciute del 2.9% nel primo semestre 2023 a 6039 milioni di euro. I volumi esportati sono invece calati del 6.6% a 6.5 milioni di ettolitri. Nel corso del primo semestre soltanto in maggio le esportazioni hanno subito un calo, mentre il mese di luglio è stato negativo per circa il 3%. Includendo questo dato, sui 7 mesi 2023 le esportazioni francesi sono comunque cresciute del 2.1% sul medesimo periodo del 2022.
    La reportistica francese si basa principalmente sulle aree esportative (e non sulle nazioni, i cui dati sono piuttosto difficili da interpretare). Ad ogni modo, la performance migliore è quella relativa allo Champagne, cresciuto del 7.7% a quasi 2 miliardi di euro, nonostante i volumi esportati siano calati del 5% a 563mila ettolitri.
    La Borgogna ha una performance simile, con un incremento del 5.6% delle vendite a 727 milioni e un calo dell’8% dei volumi a 291mila ettolitri.
    La zona di Bordeaux, secondo contributore dopo la Champagne, cresce del 3% a 1.2 miliardi di euro nel semestre a fronte di una perdita di volume del 7%.
    “tutto il resto” cala del 2% a 2.1 miliardi di euro, con un calo dei volumi del 6.6% e quindi un miglioramento del prezzo mix del 5%.

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    Esportazioni italiane di vino per regione e tipologia – aggiornamento primo semestre 2023

    Completiamo l’analisi delle esportazioni semestrali con i due spaccati per regione di appartenenza delle aziende (coerente con il dato totale di export) e per sottocategoria (in questo caso coerente con il dato del solo vino imbottigliato). Nel primo caso emerge l’andamento debole dei vini piemontesi, toscani, la stabilità delle esportazioni venete e l’ottimo andamento dei vini del TrentinoAltoAdige, della Lombardia, sempre rimanendo sulle aree più rilevanti, dell’Emilia Romagna. Se invece andiamo più a fondo nella categoria del vino in bottiglia, alcune evidenze cambiano, come quella dei vini rossi piemontesi DOP che si confermano in crescita (lo stesso non si può dire per quelli toscani, per esempio, e ancora di più per quelli veneti). Il “downtrading” è piuttosto evidente: i vini DOP calano del 3%, quelli IGP del 5%, mentre i vini comuni salgono del 7%, con un dato totale del vino in bottiglia a -2% circa. Tabelle, ulteriori commenti e grafici nel resto del post.

    I vini in bottiglia calano del 2% a 2.53 miliardi di euro. Le esportazioni di vino DOP sono in calo del 3% a 1.45 miliardi, con i bianchi quasi stabili e i rossi (ben più pesanti) a -4%. I vini IGP calano del 5%, con la medesima dinamica: i vini rossi sono a -8% e essendo ben più pesanti vanificano l’incremento del 5% dei bianchi. I vini da tavola, o non classificati, sono invece in crescita del 7%. I vini varietali sono praticamente una categoria “non pervenuta”, visto che rappresentano solo il 2% del totale.
    Le esportazioni regionali vedono un buon andamento della Lombardia (+13%), del Friuli Venezia Giulia (+13%), del Trentino Alto Adige (+9%) dell’Emilia Romagna (+7%) e dell’Abruzzo (+11%). Sono invece in calo più del dato generale del -2% il Piemonte (-3%) e la Toscana (-8%). Il Veneto, principale esportatore con 36% del totale è quasi stabile.
    Un conto diverso emerge se si confronta il 2023 con il 2019, a livello semestrale. Qui a fronte di un dato generale in crescita del 25%, sono i vini delle regioni meno rilevanti numericamente a crescere di più, mentre sia Piemonte che Toscana sono a +21%, il Veneto è a +25%.
    Vi lascio ai grafici e alle tabelle.

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    Italian Wine Brands – risultati primo semestre 2023

    IWB ha chiuso il primo semestre 2023 con un incremento del fatturato dell’11% a 197 milioni, frutto soprattutto delle acqusizioni messe a segno negli ultimi mesi (Enovation Brands e Barbanera), con un contributo della crescita organica del 2%. I margini sono tornati a crescere, anche se restano largamente inferiori a quelli dell’anno “record” 2021, con un EBITDA al 9% delle vendite circa (8% nel 2022, 12% nel 2021) e un utile netto rettificato che ha toccato quota 5.5 milioni, +32% sul 2022. Le prospettive del gruppo sono di mantenere e leggermente migliorare questi dati nel corso del secondo semestre. L’EBITDA consolidato è visto a 40-44 milioni di euro, contro 37 milioni pro forma del primo semestre 2022 (31 milioni di chiarati), ossia un progresso di 3-7 milioni di euro. Nel primo semestre a livello consolidato (e dunque non pro-forma) l’incremento è stato di circa 3 milioni, quindi contro un +9/13 milioni di chiarato per l’anno. Non ultimo, IWB sta promuovendo una semplificazione importante della struttura societaria dopo le numerose acquisizioni, che porterà le unità legali dalle attuali 10 circa a 5, con vantaggi sia di costi che di flessibilità. Dal punto di vista finanziario, il bilancio chiude con un debito di 139 milioni di euro (154 includendo IFRS16), il che corrisponde a un rapporto di circa 4.5 volte contro l’EBITDA degli ultimi 12 mesi, che scenderebbe a 3.7 se considerassimo il punto medio dell’obiettivo EBITDA per il 2023. Passiamo a un’analisi dei dati.

    Le vendite di 197 milioni sono cresciute dell’11%, con un +9% in Europa (-4% in Italia), +29% in Nord America (in parte grazie alle acquisizioni), +224% in America Latina e -9% in Asia Pacifico. A fine semestre le vendite in Europa erano il 71%, quelle italiane il 16%, America 10% e resto del mondo 3%.
    Dal punto di vista delle divisioni, la parte Ho.Re.Ca. è cresciuta del 70% a 30 milioni, la parte wholesale è +9% a 137 milioni e la parte distance selling scende del 9% a 29 milioni, di cui il canale online chiude a 9 milioni, -2%.
    I margini migliorano leggermente nonostante un leggero appesantimento sulle materie prime, che costa 0.2% circa e viene ottenuto con un deciso calo in termini relativi dei costi per servizi (costi energetici principalmente, destinati a scendere ancora nel secondo semestre), mentre il personale aumenta leggermente la sua incidenza. Ne deriva un EBITDA rettificato di 17.2 milioni, 8.7% contro 14.2 del primo semestre 2022, che valeva il 7.9% delle vendite.
    Gli oneri finanziari aumentano di 1 milione, gli ammortamenti di un altro mezzo, e si arriva quindi a un utile netto di 5.5 milioni contro 4.2 dello scorso anno.
    Le prospettive per il secondo semestre sono positive, come dicevamo. IWB si attende un ulteriore miglioramento dei margini, anche per il pieno effetto dell’incremento dei listini, e un miglioramento della generazione di cassa.

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