Marilena Barbera: il vino come scelta, come vita
Seguo Marilena Barbera da quando ho iniziato a muovere i primi passi nel mondo del vino. Era il 2010 e i social erano ancora un luogo di scambio fertile, non una vetrina autoreferenziale. Su Facebook si trovavano pensieri liberi, profondi, a volte taglienti. E quelli di Marilena mi arrivavano sempre dritti. Leggevo ogni suo post, ogni commento — specialmente su Intravino — come si leggono le parole di chi sa osservare, di chi non si tira indietro, di chi ha qualcosa da dire. Ricordo di averle scritto un paio di volte, semplicemente per ringraziarla.
Eppure, non ci eravamo mai incontrati. Ci avevamo quasi provato a Vinitaly nel 2017, ma poi un’intervista per la Rai la tenne lontana dal banco d’assaggio e io lasciai perdere. A volte le cose accadono quando devono accadere. E succede, con alcune persone, che si crea una connessione invisibile e immediata, ancora prima di scambiarsi un sorriso. Un po’ come succede con certi vini: sai che sono tuoi, anche se non li hai ancora bevuti.
A giugno di quest’anno, grazie alla manifestazione Sicily on Wine, quell’incontro è finalmente avvenuto. E tutto si è confermato: la voce, i gesti, il vino. Ogni dettaglio parlava di lei. E parlava della Sicilia, di una Sicilia autentica, ruvida e luminosa, fatta di mare, vento e parole scelte con cura.
Marilena è tornata a Menfi dopo anni altrove. La chiamava la vigna piantata da suo nonno e coltivata da suo padre. Un luogo, Belicello, che non è solo un’azienda agricola, ma un crocevia emotivo e simbolico. Quando racconta il suo percorso non lo fa mai con toni epici: non c’è retorica nel suo modo di stare al mondo. Solo una consapevolezza profonda e, forse, faticosa. Una scelta che ha il sapore delle cose definitive: fare il vino come atto politico ed etico, come gesto di restituzione verso la terra.
“Il vino è uno dei migliori ambasciatori dell’Italia nel mondo” — dice. E in effetti lei, che sognava di diventare diplomatica, è riuscita a esserlo a modo suo. Una diplomazia del cuore e della testa, che passa dai bicchieri, dai racconti, dalla coerenza.
I vini di Marilena non vogliono piacere a tutti, ma parlano chiaro. Sono figli di una viticoltura biodinamica e di una vinificazione naturale. Niente forzature, niente scorciatoie. Soltanto uva, territorio, tempo. E un approccio rispettoso, artigianale, capace di ascoltare ogni annata per ciò che è.
Ogni vino è un racconto che prende forma dal paesaggio, dalle mani e da una visione profonda. C’è la freschezza luminosa del Tivitti 2024, un’Inzolia che sa di mare e agrumi e scorre lieve come un pensiero pulito. La Bambina 2020, rosato da Nero d’Avola (60%) e Frappato (40%), è un omaggio alle donne, alla loro forza gentile, alla capacità di scegliere, lottare e trasformare: un vino delicato ma deciso, capace di lasciare il segno. Arèmi 2023 è un Catarratto che porta con sé luce e memoria e racconta il tempo lento della terra. Ammàno 2023 è un gesto, prima ancora che un vino: uno Zibibbo salato e floreale, fatto solo con l’uva e con l’intenzione. Lu Còri 2023 è un Nero d’Avola generoso e succoso, che sa tenere insieme sole e vento, frutto e sale. Ciàtu 2021 (alito, respiro), da uve Alicante, ha l’anima calda e profonda: il respiro della vita che si fa vino. E poi c’è Coda della Foce 2016, un Nero d’Avola che arriva da lontano, si è trasformato nel tempo e oggi si presenta elegante e potente, con una voce tutta sua, capace di restare impressa.
Non si nasconde, Marilena, dietro le etichette del “naturale” o del “biodinamico”. Anzi, le decostruisce con lucidità: “Per me è un problema soggettivo di gusto, e oggettivo di consapevolezza”. Una frase che potrebbe sintetizzare tutto il suo approccio.
C’è nei suoi racconti una costante tensione verso la verità: quella del vino, della terra, delle persone. Lo si avverte nel modo in cui parla di sé, di Menfi, del Belìce, dei piccoli produttori che resistono, nonostante tutto. “Sostenere il lavoro dei piccoli agricoltori è una scelta politica ed etica”, dice Marilena, non è solo vino: è una visione.
L’ho riconosciuta in un bicchiere, quella visione. In una domenica infuocata di giugno, nel silenzio severo e accogliente del Monastero seicentesco dei Padri Olivetani, a Chiusa Sclafani. Vini di grande personalità, ogni bottiglia è un gesto di cura, un atto di appartenenza. Una Sicilia che non si concede facilmente, ma che ti resta dentro.
Ci sono vignaioli che si limitano a produrre buoni vini. E poi ci sono quelli che fanno un po’ più di rumore, che aprono discorsi, che scardinano abitudini. Marilena Barbera appartiene a questa seconda specie. È una donna del vino e una donna del pensiero. E il suo vino — come la sua voce — non si limita a raccontare un territorio: lo interroga, lo ridefinisce, lo tiene vivo. LEGGI TUTTO