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    Vino.com – risultati 2022

    Torniamo sull’argomento ecommerce per analizzare i risultati 2022 di Vino.com (che fa capo a un’azienda di nome 3nd SRL) e che ci sono serviti per fare la carrellata della situazione del mercato italiano di qualche giorno fa. Vino.com è a tutti gli effetti il numero due dietro Tannico in questo mercato, sia che si guardi l’azienda nel suo complesso (35 milioni di vendite contro 70 di Tannico nel 2022), sia che si guardi al business generato in Italia (30 milioni per Tannico, 25 per Vino.com). In realtà, se escludiamo l’acquisizione di Tannico di Ventealaproprieté, per quanto riguarda l’attività all’estero Vino.com è il più sviluppato degli ecommerce puri italiani, con quasi 10 milioni di vendite contro soltanto 3 milioni di Tannico (ed escludendo Italian Wine Brands che ne fa 15 ma che ha un modello diverso). I risultati 2022 hanno mostrato un calo del 20% del fatturato e una situazione di tensione economica e finanziaria tale da richiedere ulteriori interventi dei soci. Infatti, a fronte delle perdite (6.6 milioni nel 2022 dopo i 7.7 del 2021) i soci hanno apportato ulteriori 6 milioni di euro nelle casse dell’azienda e, leggendo la relazione di bilancio 2022 (approvata soltanto a gennaio 2024), un ulteriore ricapitalizzazione di 4 milioni di euro a settembre 2023. Sebbene il miglioramento dei margini sia evidente (margine sulle vendite dal 24% al 27% tra il 2021 e il 2022) e ci sia una lista molto convincente di azioni intraprese per tagliare i costi e migliorare la performance commerciale, la dimensione necessaria per rendere questa attività profittevole è ancora superiore. Per ora concentriamoci sui dati 2022, di cui trovate altri grafici e tabelle nel resto del post.

    Le vendite di Vino.com sono calate del 20% a 35 milioni nel 2022. Di queste, 25 milioni di euro sono in Italia (erano 27 nel 2020 quando le vendite totali erano 30, quindi a quasi parità di fatturato l’Italia è calata) e 10 sono in Europa (erano 3 soltanto nel 2020). Con una penetrazione di quasi il 30%, Vino.com è dunque il player con la penetrazione estera più marcata tra gli ecommerce italiani (forse il nome aiuta).
    Il margine lordo sale dal 24.4% al 26.9% nel 2022, ma non compensa il calo del fatturato, per cui il margine in valore assoluto scende da 10.6 a 9.3 milioni. I costi per servizi calano del 26% (da 15.7 a 11.6 milioni), un dato molto positivo (anche considerando che una parte di questi sono costi fissi!), mentre i costi del personale salgono da 1.3 a 1.5 milioni di euro. La perdita operativa scende dal picco di 7.6 milioni del 2021 a 5 milioni nel 2022, per un margine negativo del 14%. A portare alla perdita netta di 6.6 milioni sono poi 0.3 milioni di oneri finanziari e 1.3 milioni di tasse.
    A livello finanziario, Vino.com viaggia a fine 2022 con un patrimonio netto leggermente negativo ma con 5 milioni di euro di prestiti soci (che già c’erano per 4.8 milioni nel 2021, quindi nessuna variazione) che si riflettono in 4.6 milioni di euro di cassa netta. In altre parole non ha debiti, se escludiamo i soldi messi a qualunque titolo dagli azionisti. Nel 2022 sono stati apportati 6 milioni di euro a titolo di aumento di capitale, il che porta il contributo dei soci a partire dal 2016 a 19 milioni di euro. Dovrebbero diventare 23 con i 4 milioni del 2023, cui andrebbero aggiunti i 6 milioni di prestito soci.
    Tutto dentro, nel 2022 la cassa netta è scesa da 6.1 a 4.6 milioni di euro.

    Se siete arrivati fin qui……ho un piccolo favore da chiedervi. Sempre più persone leggono “I Numeri del Vino”, che pubblica da oltre dieci anni tre analisi ogni settimana sul mondo del vino senza limitazioni o abbonamenti. La pubblicità e le sponsorizzazioni servono per aiutare una missione laica in Perù. Per fare in modo che questo lavoro continui e resti integralmente accessibile, ti chiedo un piccolo aiuto, semplicemente prestando da dovuta attenzione con una visita alle inserzioni e alle sponsorizzazioni presenti nella testata e nella sezione laterale del blog. Grazie. Marco LEGGI TUTTO

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    I principali ecommerce italiani di vino – dati 2022

    Dopo il boom del Covid, riproponiamo i dati dei principali ecommerce di vino italiani, come disponibili dai bilanci acquistati al Registro delle Imprese, relativi al 2022. La lista non è ovviamente esaustiva ma include quelli che mi pare siano i principali operatori per dimensione nel mercato. Il 2022 è stato un anno negativo per tutti dal punto di vista commerciale, con un calo di vendite nell’intorno del 20% rispetto al picco del 2021, causa normalizzazione dalle restrizioni del Covid. È stato però anche un anno in cui i margini sono migliorati (leggi meno sconti ai clienti) e ci si è avvicinati al punto di sostenibilità economica, che però non è stato raggiunto da nessun operatore salvo che per Bernabei, la cui struttura è però non interamente chiara. Un’altra considerazione che appare evidente dai dati (numerose tabelle disponibili all’interno del post) è che la volontà dei soci di investire in queste aziende ne ha determinato in larga parte la spinta commerciale. I soci hanno messo oltre 50 milioni in Tannico dal 2016 a questa parte, inclusi quelli per l’acquisizione francese, e nel 2022 le vendite erano a 70 milioni, quasi 20 sono quelli messi in Vino.com e l’azienda è la seconda in Italia con 35 milioni di fatturato. Bene procediamo con l’analisi all’interno dove trovate dettaglio di fatturati, margini, utili e perdite, contributi dei socie e peso del magazzino sul fatturato.

    Tannico è il leader italiano nell’ecommerce di vino se consideriamo l’acquisizione francese, con 70 milioni di fatturato. Resta il leader italiano per le vendite in Italia con 30 milioni nel 2022, mentre come entità legale sarebbe in teoria stato superato da Vino.com sia nel 2021 (43 a 33 milioni) che nel 2022 (35 contro 32).
    Ad ogni modo, il 2022 è stato un anno di calo per tutti. -5% per Tannico senza l’acquisizione (2x con Ventealaproprieté), -20% per Vino.com, -28% per Bernabei, -10% per Xtrawine, -5% per Callmewine.

    I margini sono migliorati per tutti e sono mediamente il 28% del fatturato: stiamo parlando di quello che resta dopo il costo del venduto e prima dei costi di spedizione e magazzino. Il margine più elevato è di Tannico (31%), il più basso quello di Xtrawine (26%). Tutti salvo Bernabei, chi più chi meno, continuano a perdere soldi a livello di utile netto come potete vedere dalla tabella sotto, partendo dagli 8 milioni di perdita di Tannico fino alla più moderata di 1 milione di Callmewine e Xtrawine (che però sono molto più piccole).
    Trovate poi una tabella con l’apporto dei soci per Tannico (51 milioni), Vino.com (19 milioni), Callmewine (4 milioni) e Xtrawine (1 milione) dal 2016 a questa parte.
    E, per finire, un indicatore interessante sull’efficienza di questi operatori: il peso del magazzino a fine anno sulle vendite. Come vedete il più efficiente e l’unico in miglioramento sembra Vino.com con soltanto l’8% mentre Tannico sale al 20% probabilmente per l’acquisizione di Ventealaproprieté che han un modello diverso. Il calo del fatturato visto nel 2022 determina per tutti gli altri operatori un appesantimento del magazzino relativamente al fatturato.

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    Treasury Wine Estates – risultati primo semestre 2023/24

    Se c’è una grande azienda nel mondo che ha nel vino il suo vero “core business”, probabilmente questa è TWE. Con un’operazione piuttosto aggressiva ha annunciato alla fine del 2023 l’acquisizione per 1.5 miliardi di dollari australiani di DAOU (di cui 0.5 miliardi finanziati con debito e 1 miliardo con nuove azioni), un’azienda americana principalmente attiva nel segmento “luxury” e in rapida crescita. Si tratta di 1.1 milioni di casse di vino, nella fascia di prezzo tra 20 e 40 dollari americani, con 220 milioni di dollari USA di vendite e 63 milioni di dollari USA di utile operativo (che diventano quindi circa 100 in dollari australiani, ossia il 19% circa dell’utile operativo di TWE dell’anno scorso). Con l’operazione, valutata 13 volte l’EBITDA prima delle sinergie (circa 9 volte comprese), TWE si prende la leadership nel segmento del vino sopra 20 dollari in USA, con l’11% di quota circa (il secondo ha l’8%). Ma le novità, prima di passare all’analisi dei dati semestrali, non si fermano qui: tra marzo e giugno ci si aspetta che la Cina possa rivedere le tariffe proibitive applicate al vino australiano: se fossero abbassate, si riaprirebbe un mercato chiave per TWE, particolarmente per Penfolds, il marchio di lusso (che oltretutto ha cominciato a produrre Champagne in collaborazione con Thienot).
    Venendo ai numeri del primo semestre, che ancora non includono DAOU se non nel debito (salito 1.2 miliardi di dollari australiani da 0.8 di giugno 2023 su un capitale investito passato da 4.7 a 5.9), non c’è molto da rallegrarsi. Le vendite sono stabile a 1.2 miliardi di dollari australiani (Asia e Penfolds su, America giù) con volumi in calo del 9% a 10.8 milioni di casse, i margini calano leggermente (24% nel semestre 2022-23, 22.6% in quello appena terminato). Le azioni hanno però reagito abbastanza positivamente visto l’obiettivo del management di far crescere l’utile operativo del gruppo del 5% circa per tutto l’anno, quindi invertendo il trend del primo semestre, e sempre escludendo l’acquisizione.
    Passiamo a una breve analisi dei dati.

    Le vendite sono stabili a 1284 milioni di AUD, con un calo del 9% dei volumi, particolarmente nel mercato americano (-17%). La divisione Penfolds continua a crescere, +9% nel semestre a 448 milioni, mentre la parte americana scende dell’8% a 448 milioni. Dal punto di vista geografico, il mercato domestico è stabile a 302 milioni, l’Asia cresce del 6% a 281 e l’America cala del 5% a 494 milioni. +5% per l’Europa a 208 milioni.
    L’utile operativo come dicevamo scende in % alle vendite ma anche in valore assoluto, circa del 6%. A pesare sugli utili è l’andamento negativo per il portafoglio americano, che ha visto un calo del 19% da 115 a 93 milioni, mentre la divisione di Penfolds pur con margini in calo è cresciuta del 3% (vedere tabella).
    Abbiamo detto della parte finanziaria. Dal punto di vista strategico il prossimo passo è quello di capire cosa fare della divisione “Premium Brands” ossia di quel pezzo di attività legato al mercato domestico ed europeo di marchi “non luxury” (per intenderci parliamo di un prezzo medio di circa 5 dollari australiani a bottiglia), che include marchi come Wynns, Lindeman’s, Wolf Bass e squealing pig.
    Insomma, l’azienda è in movimento e sempre nell’ambito dell’attività vinicola.

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    LVMH divisione vino – risultati 2023

    I risultati pubblicati dal LVMH a fine gennaio sono stati considerati sorprendentemente positivi dagli investitori, visto il pessimismo diffuso sull’andamento del settore del lusso. La divisione vino e spiriti era fortemente influenzata anch’essa dalle vicissitudini del Cognac, che in effetti ha pesantemente influenzato la divisione anche nella seconda parte del 2023. Quello che più interessa a noi, ossia la divisione Champagne e vini, invece è andata meno peggio (vendite -5%), nel contesto di un calo dei volumi (-7/9% nel secondo semestre) e di un recupero ulteriore del prezzo mix. Ma soprattutto è andata bene nel margine operativo, che ha quasi raggiunto quello del Cognac al 32% circa nel 2023 e addirittura è stato superiore nell’ultima parte dell’anno, anche grazie alla più spiccata stagionalità. La direzione resta “crescita guidata dalla strategia del valore”, ossia aumentare i prezzi a fronte di una maggiore qualità del prodotto. Le iniziative sono diverse, partendo dal secondo capitolo della partnership di Dom Perignon con Lady Gaga, al nuovo Blanc Singulier di Ruinart che mira a esaltare lo Champagne d’annata fino all’espansione nei vini rosati tramite l’acquisizione di Chateau Minuty. Nel resto del posto, grafici e tabelle dettagliate dei risultati.

    Le vendite della divisione sono state 6.6 miliardi di euro nel 2023, con un calo del 7% sul 2022, definito eccezionale dal management.
    Nel segmento dello Champagne le vendite sono cresciute del 2% a livello organico, nonostante un calo del 6% dei volumi a 66 milioni di bottiglie. La divisione inclusi i vini ha un fatturato stabile, aggiungendo altri 53 milioni di bottiglie vendute, anche in questo caso a -7%. In totale nel 2023 la parte Champagne e vini ha avuto un fatturato uguale al 2022, 3.46 miliardi di euro.
    Se guardiamo soltanto al secondo semestre, le vendite sono in rallentamento, -5% per Champagne e vini, con volumi di Champagne a -9%.
    A livello di margini le cose invece vanno a gonfie vele per la parte Champagne e vini, meno per la parte del Cognac. Stando su quello che a noi interessa l’anno 2023 chiude con 1.1 miliardi di euro di utile operativo, per un margine del 31.6%, superiore al contributo del Cognac (1.0 miliardi) per la prima volta da 15 anni.
    A causa di uno spostamento di avviamento (per oltre 6 miliardi di euro) dalla divisione alla capogruppo, i dati relativi al capitale investito non sono coerenti con il passato. Il ritorno sul capitale calcolato sul 2023, comunque, sulla base dei nuovi dati arriva al 13%, mentre il livello degli investimenti a 538 milioni tocca il suo massimo storico all’8% delle vendite (della divisione nel suo complesso).

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    La valutazione delle aziende vinicole – aggiornamento 2024

    Buongiorno. Il lavoro di oggi riguarda la valutazione delle aziende vinicole quotate, con I prezzi rilevati intorno al 15 gennaio e i multipli di mercato proiettati al 2024 e al 2025 secondo le stime degli analisti. Come sapete il 2023 è stato un anno eccellente per le borse mondiali, con crescite superiori al 20%. In questo contesto, se consideriamo il valore azionario cumulato del nostro campione (che è fatto dalle medesime aziende dell’anno scorso) troviamo un risultato nettamente meno positivo, circa +6%. Quindi la prima considerazione è che il settore del vino ha avuto un 2023 meno positivo che in altri settori (comprensibile, visto che i grandi temi del 2023 sono stati i tassi di interesse che hanno favorito le aziende del settore finanziario e la tecnologia, che ha supportato le “magnifice 7” americane). Nonostante questo, le valutazioni sembrano essere in leggera crescita. Le aziende della Champagne sono quotate a 2.9 volte le vendite, erano 2.7 lo scorso anno, le aziende internazionali stavano a 5.0 volte le vendite sono ora a 5.2 volte (ma senza Constellation Brands si scende da 4 a 3 volte), quelle europee (Schloss Wachenheim, Advini, IWB e Masi) stanno a 1.3 volte le vendite contro 1.2 volte lo scorso anno. Il 2024 è un anno molto più incerto: il crollo dell’inflazione farà calare i tassi di crescita (che per le aziende sono “nominali”), le valutazioni sembrano piuttosto elevate. Vedremo. Per ora se siete interessati nella tabella all’interno trovate altri grafici e la tabella con tutti i numeri.

    Il campione analizzato include le seguenti aziende quotate: Lanson BCC, Vranken Pommery e Laurent Perrier per lo Champagne; Constellation Brands, Treasury Wine Estates, Concha y Toro, Duckhorn, Vintage Wine Estates (senza multipli perchè quasi fallita) e Delegat per le aziende extraeuropee; Schloss Wachenheim, Advini, Italian Wine Brands e Masi per l’Europa. Se ne trovate altre fatemi sapere!
    Le aziende europee sono poco rappresentate e presentano multipli a forte sconto rispetto a quelle internazionali, anche a causa della loro dimensione contenuta (e quindi minore liquidità e interesse da parte degli investitori) e dei minori margini. Un’azienda focalizzata sul vino di qualità come Masi ha un margine del 9% atteso per il 2024, la Duckhorn in USA ha una margine del 29% (e un valore di mercato di 1 miliardo contro 150 milioni), il che vi fa rendere conto della differenza.
    Dunque il campione più rappresentativo è certamente quello americano. C’è dentro Constellation che ormai ha poco a che fare con il vino. Se facessimo un esercizio “escluso Constellation”, arriviamo a dei multipli di circa 3.2 volte le vendite per un margine operativo medio del 24%. Le 4 piccole europee in confronto stanno a 1.3 volte le vendite e hanno un margine del 7% quindi… è vero che le aziende europee sono valutate poco, è altrettanto vero guadagnano molto di meno…

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    Nosio – risultati e bilancio 2022/23

    Dopo Cavit, Nosio (e a seguire Mezzacorona) sono le due aziende che per prime riportano un bilancio “contenente” un pezzo di 2023. Come per Cavit, anche per Nosio il 2023 (fino a luglio) non è stato un anno eccitante. I ricavi sono in crescita soltanto dell’1% (137 milioni) e i margini sono calati, sotto la pressione dell’aumento dei costi della materia prima e, in parte meno significativa dell’incremento del costo del personale. Dal punto di vista finanziario, Nosio è in piena salute. Il debito netto cala da 36 a 35 milioni (anche grazie a un forte incremento dei debiti commerciali verso la controllante), per quanto sia doveroso ricordarvi che non essendo un bilancio consolidato a fronte di tale posta l’azienda ha quasi 50 milioni di euro in partecipazioni, il che in altre parole significa che la parte finanziaria del bilancio non è a debito se nettata dalle attività. Ad ogni modo, gli azionisti hanno scambiato le azioni a un prezzo leggermente superiore a quello del 2022 (339 euro per azione rispetto a 336), il che porterebbe a un valore implicito del capitale azionario di poco superiore a 100 milioni di euro. Non ci sono frasi particolari sull’evoluzione prevedibile della gestione, per cui possiamo passare a una breve commento dei dati. Se qualcuno di Nosio legge questo post, segnalo un errore (secondo me) nel bilancio a pagina 56 dove le vendite per area geografica di Estero EU e Estero Extra EU sono rimaste quelle del bilancio 2022, dunque non aggiornate.

    L’incremento delle vendite dell’1% con un incremento del 3.5% nel mercato italiano, mentre sono apparentemente stabili le vendite all’estero (anche se dovute a un errore, a mio parere).
    Dal punto di vista dei prodotti, Nosio mostra un incremento del 5% delle vendite di spumante a 5 milioni di euro, e un +2.6% a 115 milioni per le vendite di vino fermo.
    I costi sono in aumento rispetto al fatturato. Le materie prime, in particolare, passano dal 69% al 70.4% delle vendite, mentre il personale va dal 5.6% al 5.8%. Il tutto determina un calo del Margine operativo lordo sia un valore assoluto (da 10 a 8.4 milioni) che in termini relativi (dal 7.5% al 6.1% delle vendite). Più sotto sebbene calino un po’ sia gli ammortamenti che gli oneri finanziari, l’utile netto scende da 3 a 2 milioni di euro.
    Dal punto di vista finanziario come abbiamo detto Nosio taglia di 1 milione il debito netto, dopo aver pagato 2.7 milioni di dividendi agli azionisti e dopo aver investito circa 3 milioni di euro. Ad aiutare il bilancio sono venuti in soccorso un forte aumento dei debiti commerciali verso la controllante Mezzacorona, da 35 a 45 milioni di euro, che hanno compensato anche un leggero deterioramento delle altre partite del capitale circolante.

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    Constellation Brands – risultati primi 9 mesi 2023

    E fu così che dopo molti trimestri deboli la divisione vino di Constellation Brands ha fatto un vero e proprio fosso nel trimestre chiave dell’anno. Conseguenza: il capo della divisione è ormai messo alla porta (a partire dal 29 febbraio) senza neanche aspettare di avere un rimpiazzo. Le attese sull’anno fiscale della divisione vino sono state tagliate a un calo delle vendite del 7-9% e dell’utile operavo del 6-8%, dal giorno alla notte considerando che fino al secondo trimestre si parlava di vendite stabili e di un incremento del 2-4% dell’utile operativo. D’altronde nel terzo trimestre le “depletions”, ossia le vendite al dettaglio sono calate del 10%, dopo il -8% del secondo trimestre e il -6% del primo, nonostante la base di comparazione (come si vede bene nel primo grafico) fosse mano a mano più facile da raggiungere. In totale CBrands divisione vino ha realizzato vendite per 2.7 miliardi di dollari nel trimestre, contro 2.4 di quello corrispondente 2022 e un utile di 509 milioni di dollari, contro 468, tutto grazie alla birra. Le previsioni per l’anno restano stabili in termini di utile netto ma sono state incrementate in termini di generazione di cassa (da 1.2-1.3 miliardi di dollari a 1.4-1.5), sempre grazie al successo della divisione birra. La divisione delle droghe leggere continua a perdere soldi, anche più che in passato. Alla fine questi dati sono stati accolti positivamente dagli investitori, segno anche che del vino non gliene frega più niente… passiamo a una breve analisi dei dati.

    Le consegne di vino sono scese del 12% a 6.1 milioni di casse, di cui 5.3 milioni (sempre -12%) nel mercato americano, per un fatturato vino e spiriti di 502 milioni di dollari, -8% sul trimestre 2022. Di questi, 436 sono vino (-7.4%) e 67 sono spiriti (-10%).
    A livello operativo, tutta Constellation ha generato 797 milioni di dollari di utile, di cui 128 sono nel vino, -5%, con un margine in leggero miglioramento (25.4% nel trimestre contro 24.8% lo scorso anno) grazie all’impatto dei marchi a minor margine venduti. La birra genera invece 669 milioni, per un margine del 31% e una crescita del 9%. La divisione Canopy perde nel trimestre 42 milioni di dollari, erano 37 lo scorso anno.
    A livello finanziario le cose vanno invece meglio: i dividendi sono cresciuti a 163 milioni da 146 lo scorso anno, l’azienda ha ricomprato 215 milioni di dollari di azioni proprie portando la “restituzione” agli azionisti nei 9 mesi a 740 milioni di dollari (su un valore di borsa di 45 miliardi). Gli investimenti sono in crescita e nonostante tutto questo il debito netto scende a 10.7 miliardi di dollari dagli 11 del secondo trimestre e contro 12 di un anno fa. Il debito su EBITDA scende a 3.0 da 3.5 dell’anno scorso.

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    Domaine Armand Rousseau – dati di bilancio 2022

    Sono riuscito a trovare i bilanci di Domaine Armand Rousseau e ho deciso di pubblicarli perché rappresentano un punto di eccellenza che raramente ho visto nella mia ultra-trentennale carriera di analista. Il domaine in questione fa probabilmente i vini più buoni che io abbia mai bevuto. Ho anche la fortuna di avere qualche bottiglia in cantina. Secondo il loro sito corporate hanno 15.3 ettari nelle più belle vigne della Borgogna di Gevrey-Chambertin e Wikipedia parla di 65mila bottiglie prodotte ogni anno, il che quadra abbastanza con il concetto di produzione di qualità elevatissima. Bene, nel 2022 (anno chiuso a luglio), Domaine A Rousseau ha toccato un fatturato di 13 milioni di euro (equivalente a circa 200 euro a bottiglia venduta), ha dei margini che credo pochi abbiano visto in un bilancio (83% margine EBITDA, 60% margine netto) salvo scomodare aziende immobiliari, una posizione di cassa che cresce vertiginosamente di anno in anno, praticamente nessun credito verso i clienti (anzi il dato è “negativo” visto che i clienti pagano in anticipo per avere i suoi vini) e un andamento che negli ultimi anni ha chiaramente incorporato il grande momento dei vini borgognoni: fatturato x2.5 dal 2015 al 2022, utili x3.0. Con l’avvertenza che la quantità di dati a disposizione è limitata (poche note al bilancio, nessuna suddivisione delle vendite o dei costi), vi invito a proseguire la lettura se interessati.

    Nel 2022, ovvero 2021/22 il Domaine ha toccato un fatturato di 13.3 milioni di euro, in crescita del 2.4% circa, se guardiamo agli ultimi 5 anni il fatturato è esattamente raddoppiato per un tasso di crescita annuo del 15% circa.
    I margini sono da record. L’azienda ipotizzo non abbia costi “esterni” salvo quello di acquistare le materie secche (bottiglie, tappi, etichette) e dunque di questi 13.3 milioni di euro se ne consuma meno di 1 milione (che comunque sono 14 euro per bottiglia…) e si arriva a un margine lordo del 93%, poi poco più di 1 milione di costo del personale (+5% nel 2022) e un EBITDA di 11 milioni (margine 83%) e un utile operativo di poco inferiore (margine 81%). Nessun onere finanziario, 27% di tasse, utile netto 7.9 milioni di euro, ossia il 60% del fatturato.
    La posizione finanziaria è molto solida, il capitale circolante è fatto soltanto da un paio di milioni di euro di magazzino, visto che i crediti verso clienti sono inferiori agli anticipi che i clienti pagano per accaparrarsi le bottiglia, non abbiamo il dato sugli investimenti. Nel 2022 la cassa netta tocca i 40 milioni di euro, +7 sui 33 del 2021 e dunque molto coerente con gli 8 milioni di euro di dividendi e considerando un piccolo dividendo distribuito agli azionisti (famiglia: quinta generazione).
    Giù il cappello (“Chapeau” in lingua originale). Vi lascio ai grafici e alla cartina dei vigneti, tratta dal loro sito internet.

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