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    Francia – esportazioni di vino – dati primi 9 mesi 2023

    Non arriva un buon segnale dalle esportazioni francesi di vino di settembre, che ho quasi guardato per caso. Se I dati sono corretti (ho un piccolo dubbio sul fatto che siano completi), dopo un agosto “bruttino” a -8%, il dato di settembre segnala un tonfo del 21% (e comunque intorno al -17/18% anche rimontando un paio di dati regionali mancanti nella rilevazione di settembre). Ciò ovviamente va messo nel contesto di un andamento fino a luglio decisamente migliore di quanto ha fatto l’Italia ma rappresenta anche un segnale non positivo per quanto riguarda il nostro export (che già sta soffrendo, -1.4% nei primi 8 mesi dell’anno). Tornando alla Francia con questi due mesi terribili le esportazioni nei primi 9 mesi calano dell’1.7% a 8.9 miliardi di euro, con un forte deterioramento dal dato semestrale che segnava ancora +3%. Il rallentamento più forte è quello dello Champagne che passa da un +8% a un dato stabile (3 miliardi di euro) con i volumi che passano da -5% a -10% tra il semestre e i 9 mesi. Il “resto della Francia” che come mix è il più simile alla tipologia di export italiana è invece quello che ha subito il rallentamento minore, da -2% a -5%. Passiamo ad analizzare qualche numero insieme. I dati completi sono alla fine del post.

    Le esportazioni dei primi 9 mesi del 2023 della Francia calano dell’1.7% a 8.85 miliardi di euro, con un volume esportato di 9.5 milioni di ettolitri (-9%) e un prezzo mix di 9.33 euro al litro, positivo per il 9%.
    Il dato per lo Champagne è 3 miliardi di euro, composto da 877mila ettolitri, -10%, e un prezzo medio di export di 34.6 euro al litro, +12%. Il dato puntuale di settembre per lo Champagne è -24% per 347 milioni di euro.
    Bordeaux e Borgogna a settembre sono invece in calo del 20% e del 14% rispettivamente. Nei 9 mesi, per Bordeaux il dato è -1.4% e 1.7 miliardi di euro, con un calo del volume dell’11% e un prezzo mix in crescita dell’11% a 15 euro al litro. Per la Borgogna i dati sono ancora leggermente positivi, con un export di 1.05 miliardi di euro e +2.3%, fatto da -8% in volume e +12% in prezzo, che tocca il rimarchevole livello di 24.5 euro al litro.
    Tutto il resto cuba 3.1 miliardi di euro e cala del 5%, con una diminuzione del volume del 9% a 7.1 milioni di ettolitri e un incremento del prezzo medio del 4.6% a 4.35 euro al litro.
    Buona consultazione.

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    Lanson BCC – risultati primo semestre 2023

    Il rilancio di Lanson continua nel primo trimestre sulla medesima traccia già vista nel secondo semestre 2022, ossia un deciso miglioramento dei margini di profitto derivante dalla nuova strategia di  “développement en valeur” rispetto ai volumi. Nello specifico del primo semestre 2023 il mercato dello Champagne è chiaramente peggiorato (-5% in volume di spedizioni) e l’impatto sulle vendite di Lanson si vede, ma i margini sono letteralmente esplosi con un margine industriale passato dal 45% al 53% che ha consentito di più che compensare gli effetti inflazionistici. Risultato finale è un utile netto di oltre 11 milioni di euro, un debito non in calo anno su anno ma che si confronta con un magazzino cresciuto in modo significativo (e quindi è indice di una migliore “salute finanziaria”) e azionisti contenti perché oltre al fatto che le azioni quest’anno sono andate bene (+14% al 15 ottobre 2023), hanno anche ricevuto un dividendo più ricco dello scorso anno (di poco superiore al 2% in termini di rendimento). Le prospettive restano positive in termini di strategia anche se ovviamente l’azienda fa notare che il secondo semestre è più importante del primo, mentre noi facciamo notare che la base di confronto resta sempre facile, nel senso che se il margine industriale del 53% tiene i dati possono essere ancora molto interessanti (margine secondo semestre 2022 = 46%). Passiamo a una breve analisi dei dati.

    Lanson BCC ha registrato una diminuzione del fatturato del 5.2% rispetto al primo semestre 2022, passando da 115 milioni di euro a 109 milioni di euro. La riduzione è stata generata da un forte calo nel mercato americano (-49% a 4 milioni), che resta comunque marginale e a una leggera riduzione in quello europeo, -4% a 49 milioni, mentre l’Asia è rimasta in leggera crescita e la Francia (48 milioni) stabile rispetto allo scorso anno.
    La redditività operativa è fortemente migliorata essenzialmente grazie al margine “industriale”, ossia quello calcolato dopo i consumi di materie prime, che balza dal 45% al 53% e dunque assorbe l’inefficienza determinata dai maggiori costi del personale (+5%) e dai maggiori ammortamenti. Risultato finale, l’EBITDA sale dal 15% al 21% a 23 milioni e l’EBIT passa dall’11% al 18% prima delle componenti non ricorrenti che l’anno scorso erano state positive.
    Nonostante tasse e oneri finanziari in crescita, oltre all’assenza di proventi straordinari dello scorso anno, l’utile netto è cresciuto del 14.6%, passando da 10.1 milioni di euro a 11.6 milioni di euro.
    Lanson BCC ha anche rafforzato la sua situazione finanziaria, non tanto in termini assoluti ma quanto relativi. Il debito netto è aumentato leggermente passando da 485 milioni di euro di giugno 2022 a 495 milioni di euro di giugno 2023, ma in un contesto di un incremento del magazzino da 491 a 524 milioni di euro (rapporto che scende da 1 a 0.94) e dopo aver pagato migliori di dividendi agli azionisti (6.6 milioni contro 4.9 dello scorso anno) oltre a un paio di milioni di acquisti di azioni proprie.

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    Il commercio mondiale di vini sfusi – aggiornamento 2022

    Il grafico qui sopra credo fornisca un quadro piuttosto chiaro dell’evoluzione del mercato mondiale dei vini sfusi, almeno dal punto di vista dei volumi: declino strutturale. Le ragioni possono essere diverse. La più evidente è forse quella della qualità, meno vino ma più buono, e questo va in bottiglia. Però la spiegazione non può fermarsi qui. Per esempio, la Nuova Zelanda esporta vino sfuso a un prezzo molto più alto della media, il che significa che lo spediscono per l’imbottigliamento locale vino sfuso. Penso che questo sia possibile grazie alla scala rilevante (tanti volumi) delle operazioni delle aziende locali, oltre che dalla mancanza di regole (sempre locali) che obblighino all’imbottigliamento locale del prodotto. I numeri del 2022 di UN Comtrade danno un valore esportato di 2.66 miliardi di euro, +6% sul 2021 ma molto meno dei 3 miliardi e più degli anni pre-Covid e un volume scambiato di 35 milioni di ettolitri, -6%, in calo da ormai qualche anno. La Spagna domina, la Nuova Zelanda cresce, l’Italia recupera nel 2022 ma resta ben sotto i livelli del passato. Passiamo a un breve commento dei principali dati.

    Con una quota di mercato del 20% del valore scambiato e del 33% del volume totale, la Spagna domina il trade mondiale di vini sfusi. Nel 2022 sono stati esportati 11.5 milioni di ettolitri per un valore di 534 milioni di euro (+11%, ma -2% annuo su 5 anni). Il prezzo medio risultante 46 euro a ettolitro contro la media di 76 vi può dare l’idea del “tipo” di leadership della Spagna, basato sull’esportazione massiccia di volumi di prodotto di qualità medio bassa.
    La Nuova Zelanda invece sta in questo post “per sbaglio”, nel senso che esportando a una media di 283 euro per ettolitro, ovviamente non sta vendendo prodotto da usare per produrre altri vini, ma sta semplicemente (immaginiamo) spedendo cisterne di vino nei mercati di destinazione per l’imbottigliamento in loco. Con 341 milioni di euro è la seconda nazione in questo segmento, con una quota di mercato del 13% e un incremento del 19% (+8% annuo dal 2017).
    L’Italia torna a essere il terzo player, con 304 milioni di vendite e 3.74 milioni di ettolitri di esportazione, al pari dell’Australia in volume che lo scorso anno l’aveva superata. I dati sono migliori del 2021 (+13% a valore) ma si inseriscono in un trend discendente (-5% annuo su 5 anni).
    Gli altri esportatori di vino sfuso sono l’Australia, con 303 milioni, ossia uguale all’Italia, il Cile con 286 milioni di euro e la Francia, più distante, con 186 milioni di euro. Nessuno di questi esportatori ha una variazione positiva sul quinquennio.

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    La classificazione per fasce dei grandi vini secondo Liv-Ex – aggiornamento 2023

    Nel 1855 in occasione dell’Esposizione Universale di Parigi e per iniziativa di Napoleone III i francesi introducevano il sistema di classificazione dei vini di Bordeaux in cinque fasce di qualità, sulla base della reputazione e del costo di produzione dei vini. Questo sistema è immutato da quell’anno, se si fa l’eccezione per paio di modifiche, nel 1856 e nel 1973 (Château Mouton Rothschild passato dalla seconda alla prima fascia). Se ci pensate, una iniziativa straordinariamente lungimirante e anticipatrice dei tempi.
    L’argomento del post di oggi è la rielaborazione in chiave commerciale di questa classificazione, fatta dal Liv-ex, con due importanti differenze. La prima è che i vini non sono solo di Bordeaux ma sono tutti i vini pregiati del mondo. La seconda è che il sistema si basa su un parametro essenziale: il prezzo medio a cui questi grandi vini sono scambiati sulla piattaforma. Ovviamente, di quello che stabilirono nel 1855… non c’è rimasto molto. Partiamo con qualche considerazione.

    I vini nella classifica sono circa 296, di cui circa 200 francesi e un centinaio dal resto del mondo e dentro il resto del mondo l’Italia rappresenta i due terzi. La prima cosa curiosa in questa nuova classifica è che… non è una piramide (vedere grafico). Come mai? Se volessimo fare una vera piramide con tre lati uguali, dei 296 vini soltanto 12 finirebbero in prima fascia e… di questi 12 neanche uno dei cinque Bordeaux del 1855 finirebbe nella selezione, dominata dai vini della Borgogna. Meno che meno apparirebbero vini italiani, relegati nella seconda fascia. Dunque? Immaginerei che oltre all’opportunità commerciale di avere una prima fascia e seconda fascia “cicciottella”, non sarebbe stato simpatico mettere completamente al bando il lavoro del 1855!
    Fatto questo cappello introduttivo, guardiamo a chi sta dove. La classifica generale vede primeggiare senza troppe sorprese tre vini di Domaine de la Romanée-Conti: il Romanée-Conti, La Tâche e il Richebourg. Prezzi per bottiglia? 19500, 5500 e 4300 sterline rispettivamente. Poi viene lo Chambertin di Armand Rousseau (3700 sterline) e il primo Bordeaux, Chateau Petrus a 3351 sterline.
    Nella prima fascia ci sono otto vini italiani, sul totale di 63. Abbastanza sorprendentemente, non è il Barolo Monfortino Riserva di Giacomo Conterno a primeggiare, bensì il Barolo Pié Franco di Cappellano, con 874 sterline rispetto a 829 del Monfortino. Con questi altri tre baroli piemontesi sono presenti (il Monvigliero di GB Burlotto, il Brunate di Giuseppe Rinaldi e il Falletto Vigna le Rocche Riserva di Bruno Giacosa), mentre i vini toscani sono in totale tre: il Masseto, il Brunello di Montalcino Riserva di Biondi Santi e il Soldera Case Basse (che non è più classificato Brunello di Montalcino).
    Sono proprio il Barolo di Rinaldi e quello di Cappellano a compiere il balzo maggiore, essendo non presenti nella precedente classificazione del 2021, mentre altre nuove entrate in posizioni di primo piano sono relative ai vini di Vietti (Villero Riserva e Rocche di Castiglione), Marroneto in Toscana, Romano dal Forno in Veneto (Amarone Monte Lodoletta) e il nuovo Barolo Cerretta di Giacomo Conterno.
    Solo buone notizie? Ci sono anche alcune retrocessioni, moderate. Bartolo Mascarello, Luciano Sandrone, Chiara Boschis, Petriolo, Le Pupille, Altesino, Bibi Graetz, Elio Grasso e Sette Ponti hanno visto uno dei loro vini retrocesso di una fascia di qualità.
    Per chiudere e fare un giochetto, quale potrebbe essere la classificazione solo italiana, fatta con cinque fasce? Beh se la matematica non è un’opinione (sarò onesto, ho usato l’intelligenza artificiale per farmi dire come dividere le fasce), dei 65 vini dovrebbero essercene soltanto 3 in prima fascia e 8 in seconda. Quindi il top 3 italiano sarebbe Barolo Piè Franco di Cappellano, Barolo Monfortino Riserva di Giacomo Conterno e Masseto in Toscana.
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    Francia – produzione di vino – dati finali 2022 e stima 2023

    Nel 2023 la produzione di vino francese è senz’altro stata migliore di quella italiana. Secondo Agreste infatti, il calo produttivo di cui tanto si parla in Italia non c’è stato, visto che la produzione è attesa quasi stabile a 46 milioni di ettolitri. Va ovviamente detto che le basi di partenza sono diverse, visto che l’Italia veniva da due vendemmie particolarmente ricche (si potrebbe dire, sopra la media), mentre la Francia con la vendemmia 2023 si ritrova molto vicina alla media degli ultimi 5 anni, per essere precisi al 3% in più. È la spinta che negli ultimi anni ha avuto il cognac e la produzione di vini atti a questo prodotti che però influenza pesantemente i dati. Mai negli ultimi anni si erano raggiunti 12 milioni di ettolitri per questi vini bianchi. Se li togliessimo (e nelle tabelle li trovate praticamente tutti concentrati nella regione dello Charentes), ci troveremo di fronte a circa 34 milioni di ettolitri nel 2023, con un calo leggero, del 5%, sul 2022 e un livello del 3% circa sotto la media degli ultimi 5 anni. Passiamo a un commento dei dati.

    La produzione di vino in Francia nel 2023 è prevista a 46 milioni di ettolitri, di cui 12.1 milioni diretti alla produzione di acqueviti (quindi circa un quarto). La produzione di vini AOC è prevista a 19.2 milioni di ettolitri (42% del totale, 57% se escludiamo le acqueviti), quella di vini IGP a 11.3 milioni di ettolitri (25%, 33% se togliamo le acqueviti) e quella di vini da tavola a 3.3 milioni di ettolitri, quindi il 10% circa della produzione di vino escluso le acqueviti.
    Dal punto di vista geografico, trovate due tabelle, una con la produzione totale e una con la produzione si soli vini DOC.
    A fronte di una produzione di vino escluso acqueviti di 34 milioni di ettolitri e del 3% inferiore alla media del quinquennio (e memori della nota sullo Charentes) possiamo dare un occhio alle performance regionali, che ricalcano un po’ quelle commericali.
    La Borgogna con 2.8 milioni di ettolitri è +22% sulla media storica (e questo sta guidando un crollo dei prezzi, anche dei vini pregiati) con 2.8 milioni di ettolitri, la Champagne è a +24% con 3.1 milioni di ettolitri, mentre Bordeaux è il 16% sotto media con 4.1 milioni di ettolitri di vino atteso in produzione nel 2023. Lo stesso sembra valere per le aree più a sud della Francia che sembrano essere state più colpite dalle problematiche agricole di cui abbiamo letto anche in Italia.
    Vi lascio alla consultazione delle tabelle.

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    Advini – risultati primo semestre 2023

    I progressi visti negli ultimi 2 anni nei conti di Advini sono rapidamente scomparsi con il rallentamento del primo semestre 2023 (crescita organica -4%, fatturato totale -1% grazie alle acquisizioni), cui si somma la svalutazione dello Zar sudafricano dove l’azienda ha investito molto e il rialzo dei tassi di interesse che batte su un debito non certo basso se proporzionato ai profitti (circa 9 volte l’EBITDA). Advini si trova dunque a fronteggiare un ulteriore giro di taglio dei costi con l’obiettivo che il secondo semestre possa ripianare le perdite maturate nel primo (circa 4 milioni di euro), portare a un calo del debito (anche grazie alla gestione del circolante e arrivare ai 300 milioni di fatturato, soglia già praticamente raggiunta nel 2022 (298). Passiamo a una breve analisi dei dati.

    Le vendite calano dell’1% a 140 milioni di euro, a causa di un -3.8% a livello organica, un contributo negativo dai cambi dell’1.7% e il “secondo pezzo” dell’aggiunta di Kleine Zalze in Sud Africa che ha portato 6.5 milioni, +4.6%.
    Advini (che non fornisce suddivisioni geografiche delle vendite) è andata meglio del mercato in UK/Irlanda (+7% contro +3%), Francia (+8% contro 0%), mentre ha perso quote nei paesi Scandinavi (stabile), in Asia/Oceania (-9%), in Canada (-17%, in un mercato peraltro in calo del 14%) e USA (un tonfo del -22% su un mercato in crescita del 4%).
    I costi delle materie prime sono costati 4 milioni di euro in più causa inflazione, oltre a 1 milione di aggravio sui costi del personale e 0.6 milioni sui costi energetici. La svalutazione dello Zar è costata 1 milione, mentre l’incremento dei tassi di interesse è costata quasi 2 milioni di euro in più.
    Mettendo insieme tutti questi pezzi si arriva al quadro che vedete qui sotto: un margine operativo lordo sceso da 11 a 7.4 milioni, in parte aiutato dal continuo incremento delle vendite dei marchi propri (saliti al 36% del fatturato e al 57% dell’EBITDA), un utile operativo in pareggio (anche a causa dei maggiori oneri finanziari dal nuovo perimetro di consolidamento) e una perdita netta di 4 milioni di euro.
    A livello finanziario le cose non vanno bene. Le rimanenze di magazzino crescono di oltre 10 milioni in un anno e il debito che stava a 144 milioni a giugno 2022 e 151 milioni a dicembre 2022, balza a 167 milioni. I dividendi pagati sono stati 3 milioni.

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    Francia – esportazioni di vino – dati primo semestre 2023

    La Francia fa decisamente meglio dell’Italia in questi primi sei mesi dell’anno in termini di esportazioni di vino. I dati rilasciati qualche giorno fa da Agreste mostrano un incremento del 3%, nonostante un calo del 6.6% dei volumi, per un totale di 6039 milioni di euro. Come avete potuto leggere nell’aggiornamento di metà settembre, le esportazioni italiane sono invece rimaste sostanzialmente stabili (-0.4%) per un valore di 3767 milioni di euro. Come abbiamo già sottolineato diverse volte, a fare la differenza sono i grandi vini francesi. Lo Champagne cresce di quasi l’8% nonostante il calo dei volumi del 5%, la Borgogna non è distante, +6% per le esportazioni, -8% per i volumi. Il quadro disegna dunque un effetto “prezzo-mix” molto potente (come è sempre stato) che vale 10 punti percentuali nel totale export, da +3% del fatturato a -6.6% dei volumi. Nel primo semestre 2023 questo impatto è pari soltanto a 1 punto percentuale per il vino italiano, che oggi viene esportato a una media di 3.6 euro al litro contro i 9.3 euro per il vino francese (entrambi i dati riferiti al semestre). Se allarghiamo lo sguardo, diciamo agli ultimi 3 anni, le esportazioni annue di vino francese hanno recuperato il 40% del valore, quelle italiane il 25% e, visibile anche graficamente, il divario si allarga.

    Le esportazioni di vino francese sono cresciute del 2.9% nel primo semestre 2023 a 6039 milioni di euro. I volumi esportati sono invece calati del 6.6% a 6.5 milioni di ettolitri. Nel corso del primo semestre soltanto in maggio le esportazioni hanno subito un calo, mentre il mese di luglio è stato negativo per circa il 3%. Includendo questo dato, sui 7 mesi 2023 le esportazioni francesi sono comunque cresciute del 2.1% sul medesimo periodo del 2022.
    La reportistica francese si basa principalmente sulle aree esportative (e non sulle nazioni, i cui dati sono piuttosto difficili da interpretare). Ad ogni modo, la performance migliore è quella relativa allo Champagne, cresciuto del 7.7% a quasi 2 miliardi di euro, nonostante i volumi esportati siano calati del 5% a 563mila ettolitri.
    La Borgogna ha una performance simile, con un incremento del 5.6% delle vendite a 727 milioni e un calo dell’8% dei volumi a 291mila ettolitri.
    La zona di Bordeaux, secondo contributore dopo la Champagne, cresce del 3% a 1.2 miliardi di euro nel semestre a fronte di una perdita di volume del 7%.
    “tutto il resto” cala del 2% a 2.1 miliardi di euro, con un calo dei volumi del 6.6% e quindi un miglioramento del prezzo mix del 5%.

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    Laurent Perrier – risultati e analisi di bilancio 2022

    La strategia di premiumizzazione di Laurent Perrier sta arrivando all’estremo, tanto che nel secondo semestre del 2022 (ottobre-marzo) l’azienda ha visto un calo del fatturato del 13% (ad essere onesti, dopo un +44% del periodo corrispondente precedente) e anche i margini si sono ristretti, tornando sotto il livello anche di due anni fa. Ricapitolando: l’anno è stato comunque buono ma il secondo semestre, che come sapete è spostato di 3 mesi rispetto agli altri, mostra un “riflusso” dopo l’ubriacatura dei mesi precedenti. E gli azionisti non sono stati tanto contenti. Da inizio anno le azioni sono calate del 3% circa (dato al 27 luglio), peggio delle altre aziende concorrenti, di nuovo in onestà dopo anni di grande performance. L’azienda ha spiegato nella presentazione che “I volumi in crescita molto rapida nel primo semestre ha richiesto una diminuzione nel secondo per mantenere la qualità dei vini e garantire il futuro”. Quindi il +12% a volume del primo semestre si è trasformato in -7% alla fine dell’anno, con i prodotti “high-end” che sono tornati al 44% del fatturato dopo la parentesi al 42% del 2021. In ragione d’anno con vendite quasi stabili, i margini sono ulteriormente migliorati (ma non nel secondo semestre) e il bilancio chiude a quasi 60 milioni di utile, +17%, con un ulteriore calo del debito a 175 milioni, ben sotto il valore delle scorte di quasi 600 milioni. Passiamo a una breve analisi dei dati.

    Le vendite di 302 milioni crescono del 3%, con la Francia in calo del 14% a 60, l’Europa stabile a 138 milioni e il resto del mondo in crescita a 104, +21%. I driver sono stati +9% per il prezzo-mix (come nel primo semestre), i volumi a -7.4% (+12% nel primo semestre) e l’effetto cambi che da +2% nel primo semestre scende a +1% a fine anno, quindi con un secondo semestre presumibilmente leggermente negativo.
    Il margine industriale tocca il massimo storico al 57.4% (quasi a livello delle aziende degli spiriti), nonostante l’inflazione dei costi, mentre l’EBITDA arriva a 92 milioni e l’utile operativo a 84, con una crescita del 9-10% nell’anno ma un calo del 20% circa nel secondo semestre (19% e 23% rispettivamente).
    Avendo parlato dell’utile netto sopra passiamo alla parte finanziaria, con il debito sceso da 221 a 176 milioni dopo aver pagato 12 milioni di dividendi (il doppio del 2021) e ricomprato azioni per due milioni. Nel frattempo il valore delle scorte sale da 554 a 593 milioni, nuovo massimo storico per l’azienda.

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