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    Nuovi sapori attraversando il paesaggio culturale della Livenza

    Il Veneto Orientale è quell’area geografica dove Venezia si potrebbe definire al tempo stesso così vicina, ma anche così lontana. Vicina per ragioni di politica amministrativa e comunque di distanza chilometrica; lontana perché i paesi che rientrano nel mandamento hanno molti elementi di condivisione culturale e sociale più affini al trevigiano e al pordenonese, invece che al veneziano. Il Veneto Orientale deve la sua notorietà internazionale al turismo balneare, note ai più sono le spiagge di Bibione e Jesolo e Caorle, quest’ultima poi meriterebbe un discorso a parte perché con le sue calli e campielli è una sorta di Venezia in miniatura. Esiste però un microcosmo, non battuto dal turismo di massa, che si identifica con il Turismo del paesaggio culturale. Proprio in questo contesto nasce il progetto “GiraLivenza”, finalizzato alla realizzazione di un percorso verde incentrato sul fiume Livenza con la realizzazione di un sistema di itinerari localizzati nei Comuni di Torre di Mosto e Caorle. Tra gli obiettivi dichiarati anche la valorizzazione dell’entroterra integrato con l’offerta balneare e la sinergia tra gli operatori economici locali appartenenti al settore agricolo, del turismo e dei servizi. Va da sé che in tutti questi ragionamenti, per l’enogastronomia, c’è un potenziale di sviluppo enorme, perché il viaggiatore/turista brama di carpire i segreti più intimi del territorio in cui si trova e cibo e vino sono alcuni degli argomenti migliori di cui disponiamo per cogliere l’essenza più profonda di un luogo.  Ne è un esempio concreto l’anguilla, “bisàt” in dialetto, che trova il suo habitat naturale proprio nelle acque del fiume Livenza. Grazie a Slow Food Veneto Orientale, con il supporto delle amministrazioni del territorio e della rete dei ristoratori locali, è nata la “Comunità del bisàt della Livenza”, con lo scopo di preservare e rilanciare l’antica pesca fluviale lungo questo fiume. Il bisàt, come per le altre comunità fluviali viciniori, come ad esempio il fiume Lemene, ha rappresentato una delle più importanti forme di sostentamento dei pescatori locali. Purtroppo, nel corso degli ultimi anni questa tradizione è quasi andata perduta a causa del calo della domanda e dell’inquinamento delle acque, tanto che oggi a custodire i segreti del mestiere sono rimasti solo due pescatori. Di bisàt pare ne fosse ghiotto Ernest Hemingway, che nel 1918 ebbe a soggiornare proprio in questa zona. Il grande scrittore era arrivato nel Veneto Orientale durante la Prima Guerra Mondiale, quando giovane soldato americano, rimase ferito e fu curato a Torre di Mosto, presso il municipio, trasformato nella sede della Croce Rossa degli Stati Uniti. Questi luoghi fecero anche da sfondo alla storia d’amore, divenuta leggenda, tra Ernest Hemingway e la giovane crocerossina Agnes von Kurowsky. Agnes successivamente ridimensionò la vicenda ad amore platonico, mentre lo scrittore sostenne sempre che la loro fu una vera e propria storia d’amore. Qualunque sia la verità è innegabile che i due si trovassero a Torre di Mosto contemporaneamente, magari, tra una chiacchiera e l’altra, deliziandosi con una anguilla ai ferri accompagnata da un ottimo vino torresano, ottenuto dai vigneti “maritati a gelso”, come in uso all’epoca e di cui è ancora possibile trovare qualche testimonianza in località S. Elena. Oggi la zona vitivinicola si identifica con la DOC Lison Pramaggiore la quale, grazie alle nuove generazioni di viticoltori esprime un crescente potenziale qualitativo, con gli autoctoni Lison Classico, refosco dal peduncolo rosso ma anche con gli internazionali merlot, cabernet e malbech, vini che tra l’altro, proprio nell’abbinamento con il cibo trovano la loro massima espressione. Da ricordare anche l’impegno che molte cantine del territorio stanno portando avanti nell’assunzione di pratiche sostenibili, sia in vigna che in cantina, con una trentina di aziende che si sono convertite o sono in fase di conversione al biologico, aderendo, a partire dal 2016, al progetto del Bio-distretto, con sede ad Annone Veneto.
    «Sono un vecchio fanatico del Veneto ed è qui che lascerò il mio cuore». Ernest Hemingway 1948.
    Per approfondimenti www.giralivenza.it
    Le foto della Livenza e del bisat sono tratte dalla pagina Facebook di GiraLivenza

    Tags: bibione, bisat, caorle, ernest hemingway, giralivenza, jesolo, Lison, Lison Pramaggiore, livenza, torre di mosto, veneto, veneto orientale, venezia LEGGI TUTTO

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    Come costruire una wine experience efficace intorno al cliente.

    Quali sono i meccanismi che permettono la fidelizzazione di chi viene in contatto con un’azienda vitivinicola?
    Valerie Benvenuti, Hospitality and D’Wine Club Manager presso Dievole, ci parla dell’argomento della sua lezione all’ultimo weekend del MIV, il corso in marketing internazionale del vino di WineJob, e di come sia necessario trasmettere la filosofia del brand attraverso tutti i suoi touchpoints, per creare un contatto duraturo e positivo con i propri clienti.
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    Il cielo sopra Montalcino, l’Amiata, le nuvole che corrono e farsi qualche domanda

    Scorrendo la bacheca di Facebook, di un giorno nuovo mi è comparso questo post di Stefano Cinelli Colombini: “Il cielo sopra Montalcino, l’Amiata e le nuvole che corrono. Come corre tutto, ma nessuno sembra accorgersene. Qualcuno si è accorto che stiamo sopravvivendo ad un anno in cui molti dei nostri clienti abituali non hanno comprato? Mi incuriosisce che nessuno si domandi come abbiamo fatto. Mi sono sentito in colpa. In effetti l’argomento merita un approfondimento, ma chi meglio di Stefano Cinelli Colombini poteva raccontare la vicenda con dovizia di particolari? Ecco cosa mi ha scritto.

    Stefano Cinelli Colombini

    Cosa è successo nel mondo del vino in questo anno di Covid? Come ne stiamo uscendo? Dovrebbe essere la domanda numero uno per i media, ma non vedo grandi inchieste. E neppure articoli. Che la comunicazione sia una delle vittime della pandemia? La realtà è che il vino è sopravvissuto ad un anno di chiusura quasi totale di molti dei canali tradizionali, eppure è evidente che la larga maggioranza le cantine è in grado di andare avanti. Certo, la situazione è a chiazza di leopardo e qualcuno se la passa male, ma in generale si va. Come è possibile? Mancano dati certi, perché nessuno si preoccupa di mettere in piedi quel sistema affidabile di statistiche che ormai è la bussola ogni settore produttivo nel mondo, ma in un anno come il 2020 solo dei pazzi potevano “guidare alla cieca” una grande Denominazione per cui noi del Brunello ci siamo ingegnati di ottenere dagli enti di controllo dei dati affidabili sulle vendite. Si, perché c’è un tipico paradosso italiano: lo Stato ha smaterializzato i registri, per cui ogni documento di vendita, trasferimento o declassamento del vino si può fare solo se si scarica anche sul server pubblico, ma da lì escono solo dati certi a livello aziendale. Non di Denominazione. Per cui chi controlla può verificare al litro quello che accade nella mia fattoria, ma i dati di Cantina Italia sulle Denominazioni non tornano. E non di poco. Si sa da anni, ma nessuno rimedia e loro continuano a pubblicarli. Vabbé, sia come sia mentre altri Consorzi emettevano comunicati stampa apocalittici su un crollo delle vendite che non c’è stato, noi abbiamo monitorato la situazione mese per mese. E siamo rimasti sbalorditi: il flusso non si è mai fermato, nonostante il lock down nazionale e poi mondiale il vino si continuava a vendere. A marzo ed aprile ci sono stati cali significativi, poi è iniziata una ripresa che non si è arrestata fino a raggiungere quasi il livello normale. E non lo faceva solo il privilegiato e particolare Brunello, dalle notizie degli enti di controllo e degli altri consorzi abbiamo visto che (chi più e chi meno) quasi tutti si stavano riprendendo. Nella mia azienda dividiamo fatturato e volumi per settori commerciali, per zone geografiche e per mesi e li confrontiamo con gli anni precedenti, ma nel 2020 ho letto risultati strani. Quasi incredibili. Noi vendiamo tramite agenti in Italia da più di un secolo e abbiamo mantenuto un fortissimo mercato nazionale con clienti stabili e affezionati, eppure abbiamo perso tantissimo. Le enoteche sono passate da un 15% o 16% nell’ultimo decennio al 3%, lo stesso hanno fatto i ristoranti mentre i grossisti si sono dimezzati. Una voragine. Eppure la perdita complessiva è stata scarsa, perché altri canali commerciali hanno avuto una crescita impressionante. Le vendite tramite i provvider internet sono aumentate del 500%, e i grossisti con consegna a privati hanno raddoppiato L’estero è passato in un solo anno da uno stabile 40% a oltre il 55%. Nel complesso abbiamo tenuto, ma il come lo abbiamo fatto merita una riflessione. Noi siamo da sempre tra le cantine più attente ai nuovi canali commerciali, e questo ha pagato. Sono canali che paiono più “sensibili” ad una immagine forte che a offerte sotto prezzo, e forse per questo la nostra strategia di comunicazione ha dato più vantaggi. Anche la cura molto attenta dei clienti esteri ha funzionato, quando abbiamo premuto per più vendite hanno risposto molto bene. Il mio è solo un caso aziendale, però come vicepresidente del Consorzio del Brunello ho potuto vedere che l’intera Denominazione ha avuto una reazione positiva alla crisi. Con nove milioni di fascette DOCG Brunello vendute abbiamo fatto +12% sul 2019, e siamo tornati al nostro livello standard. Da quello che sento sono state adottate le strategie più diverse, che evidentemente hanno funzionato. Qualcosa di analogo sento da tanti colleghi un po’ in tutta Italia, qualcuno ovviamente se la passa male ma tanti hanno trovato canali commerciali alternativi a quelli che si sono fermati. Non ho dati per fare una valutazione che vada oltre la mia zona, però ho la sensazione (convalidata da una certa esperienza) che il settore vino sia vitale e in grado di andare avanti. Non so se questo si possa dire anche di tanti nostri clienti storici, enoteche, ristoranti e piccoli negozi che ci hanno accompagnato nell’avventura di fare grande il vino italiano nell’ultimo mezzo secolo. E spesso anche per un periodo molto più lungo. Mi spiace tantissimo, stiamo parlando non solo di colleghi ma spesso anche di amici però non so, il danno è stato grande. E l’Italia che vedremo dopo il Covid sarà diversa. Non credo più dimessa o priva di prospettive ma diversa, e per molti sarà difficile trovare uno spazio. La vendita su internet o il “delivery” del vino non si ridurranno, per tanti clienti è stata una nuova comodità che non porta aggravi di costi e le novità con queste caratteristiche tendono a crescere. Per cui noi cantine non perderemo questi nuovi volumi che ci siamo conquistati, ma con ogni probabilità torneremo a fruire di buona parte dei vecchi: si riprenderà a mangiare al ristorante, e i turisti torneranno. Anche perché per anni le destinazioni esotiche non saranno così coperte dai vaccini come il vecchio mondo, per cui tanti le eviteranno. Secondo me, se sappiamo trovare il modo di usare al meglio i nuovi canali che sono cresciuti nella crisi e se i vecchi riprendono fiato, cose entrambe probabili, forse già dal 2021 e di certo dal 2022 il vino italiano può iniziare una nuova grande stagione.
    Stefano Cinelli Colombini, Fattoria dei Barbi di Montalcino
    Tags: amiata, brunello, brunello di montalcino, fattoria dei barbi, montalcino, stefano cinelli colombini LEGGI TUTTO

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    Francesco Domini: L’andamento e la struttura del mercato italiano del vino

    Cos’è successo all’interno del mercato italiano nell’ultimo periodo e come hanno risposto le aziende vitivinicole ai cambiamenti di consumo e acquisto di vino dei consumatori?
    Francesco Domini, direttore commerciale di Genagricola, ci anticipa quali saranno i punti principali della sua lezione al MIV, il corso in marketing internazionale del vino di WineJob, che si articolerà analizzando la struttura e i modelli di distribuzione più utilizzati nel mercato italiano, con un’attenzione particolare al segmento digitale.
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    Antonella Corda e il vermentino di Serdiana

    Antonella Corda

    Un periodo della nostra esistenza molto complicato ci sta privando del piacere del viaggio fisico e dell’incontro con i vignaioli nella loro terra, nella loro casa. Certo la bottiglia è un vettore e, grazie l’assaggio, possiamo cogliere l’essenza del frutto di quelle vigne e del lavoro del viticoltore, ma per i luoghi, al momento, possiamo solo accontentarci del viaggio virtuale. Digitando Serdiana su Google, paese sardo dove ha sede la cantina di Antonella Corda, ho scoperto che a 4 km dal paese si trova un bacino di acque delicatamente salmastre denominato Su Stani Saliu. Le cronache narrano che, specialmente d’estate, per effetto dell’evaporazione, grazie al suo substrato argilloso, si assiste alla formazione di strati di sale. Non solo, le rive dello stagno sono ricche di tamerici, di giunchi e di erba corallina, tutti profumi che è facile ritrovare nei vini di Antonella e in particolare nel vermentino di Sardegna. Antonella Corda è figlia e nipote d’arte, suo nonno è quel gigante di Antonio Argiolas. Per tutta l’infanzia ha respirato mosto e pratiche di cantina e dopo la laurea in scienze e tecnologie agrarie presso l’Università degli Studi di Sassari, si specializza in Trentino-Alto Adige in gestione del sistema viti-vinicolo con un master presso la Fondazione Edmund Mach. Al suo ritorno in Sardegna, nel 2010, Antonella decide di mettere a frutto i suoi studi e le sue competenze iniziando a imbottigliare con il suo nome. In cantina si avvale della consulenza di un grande enologo che non ha certo bisogno di presentazioni, il toscano Luca D’Attoma.
    Il vermentino di Sardegna di Antonella Corda – degustazione verticale
    Si dice, e io sono pienamente d’accordo, che il miglior vermentino sardo sia proprio quello di Serdiana. I vini di Antonella vengono prodotti con uve derivanti dal cru vigneto Mitza Manna, vigneto prediletto del nonno di Antonella, Antonio Argiolas, che si estende per 6 ettari e si trova a 200 metri slm (sopra il livello del mare). È caratterizzato da varietà di uva autoctona a bacca bianca quali vermentino e nuragus. Il terreno è sabbioso, argilloso e limoso. La forte presenza di calcare esalta in questi vini la loro naturale freschezza e florealità. L’altro cru aziendale è il vigneto Mitza S’ollastu, situato al confine con il comune di Ussana, è coltivato con uve autoctone di vermentino e cannonau. Gli elementi del suolo, sabbia, limo, argilla e la forte presenza di ciottoli, sono in perfetto equilibrio per donare a questi vini un carattere deciso e genuino.

    Ziru 2018
    Ziru è un è un vino ottenuto da varietà locali a bacca bianca tra cui il vermentino e viene affinato in anfore di terracotta e prodotto in quantità davvero limitate, per l’annata 2018 solo 2000 bottiglie. I grappoli vengono raccolti manualmente a fine agosto e fatti macerare sulle bucce per venti giorni, per poi passare al successivo affinamento di 24 mesi in anfore di terracotta. Nessuna filtrazione prima dell’imbottigliamento.  Il nome Ziru è un antico termine sardo utilizzato per le anfore in ceramiche che servivano per conservare l’olio e il vino.
    Il naso è di una complessità unica, frutta matura con note dolci di uva passa e marzapane in evidenza, poi litchi, biancospino e camomilla. In bocca gioca sugli equilibri, espressivo e intenso ma nello stesso tempo molto delicato.
    Vermentino di Sardegna 2019
    È il vino della verticale che più di tutti ha reso vivido il pensiero di Su Staini Saliu di cui dicevo prima, proprio per la delicatezza salmastra. Al naso troviamo agrumi, fiori bianchi, una leggera nota di salvia. In bocca è caldo e avvolgente, di bella sapidità e con una freschezza incisiva.
    Vermentino 2018
    Il naso si fa più complesso rispetto all’annata 2019, virando su leggere note di idrocarburi accompagnate a frutta tropicale e zafferano.  In bocca però non è però espressiva come al naso, tuttavia è sorretto da una bellissima acidità.
    Vermentino 2017
    Eccolo il gioiello di Antonella, anch’esso accomunato dal tratto distintivo che accumuna il vermentino di Antonella, ma qui è tutto perfetto. Al naso anice stellato, finocchietto e agrumi, delicate note di idrocarburo. In bocca è pieno, elegante e persistente. Se proprio vogliamo cercare un paragone, di sicuro il Riesling è il vino al quale potremmo affidarci. Fulgido esempio di dove può arrivare il vermentino di Serdiana.
    Vermentino 2016
    La prima annata prodotta da Antonella Corda. Non ha la classe e la perfezione del 2017 ma permette di capire da dove è iniziato e dove potrà arrivare il percorso di Antonella Corda. Al naso la frutta tropicale diviene più matura, poi camomilla e un sentore netto di idrocarburi. In bocca è grasso e salmastro ma mantiene una discreta acidità, vino di fascino.
    Tags: antonella corda, antonio argiolas, cannonau, luca d’attoma, Mitza Manna, Mitza S’ollastu, nuragus, serdiana, su stani saliu, vermentino di sardegna, ziru LEGGI TUTTO

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    Michele Drusian: il marketing dei vini di lusso.

    Un vino che si inserisce nel mercato del lusso deve avere un posizionamento chiaro, riconoscibile e definito precedentemente in ogni suo dettaglio.
    Michele Drusian, direttore marketing e vendite in Tenuta Luce e docente del MIV, ci parla del suo intervento al corso in marketing internazionale del vino di WineJob, e di come un brand di vino per distinguersi debba investire sulla qualità, sulla sua unicità e su una strategia ben eseguita.
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