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    Lunelli Holding – risultati e analisi di bilancio 2019

    Lunelli chiude nel 2019 il suo bilancio migliore di sempre grazie alla straordinaria forza del di Ferrari. Nel 2019 il marchio di spumanti trentino è cresciuto di quasi il 10%, con vendite di 79 milioni di euro e vicine a 5.9 milioni di bottiglie, più che compensando l’andamento negativo di Bisol, ancora alle prese con i problemi legati a bottiglie e tappi e alle problematiche degli importatori nel mercato inglese. La struttura finanziaria del gruppo resta estremamente solida, nonostante un leggero incremento dell’indebitamento da 15 a 27 milioni, essenzialmente legato alla tempistica del capitale circolante. Lunelli ha oltre 100 milioni di partecipazioni e investimenti finanziari che non sono ricompresi nel calcolo. Passiamo ai numeri.

    I dati consolidati mostrano una crescita delle vendite del 5% a 106 milioni, un margine operativo lordo di 23 milioni, +18%, un utile operativo di 15 milioni (+48%, anche grazie alla riduzione degli ammortamenti per l’esaurimento dell’ammortamento del marchio Ferrari) e un utile netto di 17 milioni di euro, +34% sul 2018 quando però fu in calo.
    La crescita delle vendite è interamente generata in Italia, che passa da 80 a 86 milioni di euro, mentre all’estero il gruppo ha subito un calo del 4% a 20 milioni di euro (ipotizzabile sia legato a Bisol e al mercato inglese).
    La spaccatura per ramo di attività aggiunge molti dettagli. Ferrari è il motore della crescita, +9% a 79 milioni di euro, mentre Bisol cala del 6% a 18 milioni e il resto delle attività hanno un calo dell’8% a 9 milioni di euro.
    Gli utili del gruppo a livello operativo sono sostanzialmente gli utili di Ferrari. Nel 2019 non abbiamo i dettagli di Bisol oltre alle vendite. Ferrari ha raggiungo 23 milioni di MOL, che è praticamente il valore del consolidato. Si può ipotizzare che Bisol abbia perso leggermente di più del 2018 (1.7 milioni).
    Della parte finanziaria abbiamo detto sopra. L’indebitamento finanziario netto sale da 15 a 27 milioni. Siccome le vendite di Ferrari sono cresciute soprattutto nella parte finale dell’anno, i crediti verso clienti sono cresciuti di ben 13 milioni, trascinando il capitale circolante da 95 a 111 milioni. Questo temporaneo assorbimento di cassa spiega interamente la variazione del debito.
    Se siete arrivati fin qui……ho un piccolo favore da chiedervi. Sempre più persone leggono “I Numeri del Vino”, che pubblica da oltre dieci anni tre analisi ogni settimana sul mondo del vino senza limitazioni o abbonamenti. La pubblicità e le sponsorizzazioni servono per aiutare una missione laica in Perù. Per fare in modo che questo lavoro continui e resti integralmente accessibile, ti chiedo un piccolo aiuto, semplicemente prestando da dovuta attenzione con una visita alle inserzioni e alle sponsorizzazioni presenti nella testata e nella sezione laterale del blog. Grazie. Marco LEGGI TUTTO

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    Guido Berlucchi – risultati 2019

    Il 2019 è stato un anno lineare per Berlucchi dopo le complesse operazioni finanziarie che ne avevano ridisegnato la struttura finanziaria nel 2017 e nel 2018. Le vendite sono cresciute del 3% mentre gli utili sono rimasti praticamente stabili se si escludono le componenti atipiche e i benefici fiscali contabilizzati nel 2018. Il margine industriale si mantiene stabile intorno al 70%, i costi operativi crescono leggermente per arrivare a un margine operativo lordo di circa 8 milioni che significa il 18.3% del fatturato. Nella parte finanziaria, il debito cala di 8 milioni di euro, che è lo specchio della generazione di cassa dell’azienda, con un piccolo contributo da una dismissione. Nessun cenno alla strategia e all’impatto del COVID nella relazione degli amministratori. Resta intatta la conclusione del commento del bilancio 2018 che mi sono andato a rileggere: bella azienda ma caricata di debito (per esplicita decisione dei suoi azionisti). Passiamo al commento.

    Le vendite crescono del 3% a 43 milioni di euro, con una crescita nel mercato italiano del 2.9% e del 4.6% all’estero, che però resta marginale con soltanto 1.9 milioni di fatturato e nessun segnale di sviluppo significativo negli ultimi anni.
    Il margine dopo gli acquisti si mantiene poco sopra il 70%, mentre crescono del 6% le altre spese operative. Questo si traduce in un margine operativo lordo stabile a 7.9 milioni di euro, quindi un margine in calo dal 18.9% al 18.3%.
    Sotto l’utile operativo, che riflette esattamente quanto detto sopra, si intrecciano diversi componenti. Gli utili “atipici” crescono da 1.6 a 2.1 milioni di euro, ma le tasse si normalizzano, per arrivare a un utile netto di 5.2 milioni di euro contro i 6.2 milioni del 2018.
    La struttura finanziaria migliora, con un indebitamento finanziario netto in calo da 55 a 46 milioni di euro per un rapporto sul MOL che passa da 6.9 a 5.9 volte e sul patrimonio netto da 0.9 a 0.7 volte. Un buon risultato questo, frutto della generazione di cassa dell’azienda di circa 7 milioni di euro compreso il circolante (leggermente negativo) ma anche del taglio degli investimenti (0.8 milioni di euro, contro quasi 3 milioni di ammortamenti, e lo stesso è previsto per il 2020) e da una dismissione di un cespite non dettagliato per oltre 1 milione di euro. Dopo la scorpacciata degli ultimi 2 anni, gli azionisti non si sono invece pagati nessun dividendo.
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    Francia – esportazioni di vino – primo semestre 2020

    I francesi hanno fatto un vero e proprio buco nel primo semestre del 2020. Le esportazioni di vino calano del 21%, la performance peggiore tra i grandi paesi esportatori (vi ricordo: Italia -4%, Spagna -7%), frutto di un andamento molto negativo in aprile e maggio, i mesi del lockdown, quando l’andamento è stato fortemente negativo (-36/37%). La Francia ha già fornito luglio 2020, che segna ancora un calo del 9%, ma comunque in graduale riassorbimento. Per la prima volta da qualche anno a questa parte cala anche il prezzo medio delle esporazioni, il vero storico punto forte della Francia. È dovuto alla combinazione del calo del prezzo medio del Bordeaux e del peggiore “mix” delle esportazioni  con lo Champagne giù del 30%. Passiamo ai dati.

    Le esportazioni di vino francesi scendono del 21% a 3.7 miliardi di euro, fatto di un calo del 10% dei volumi a 6.3 milioni di ettolitri e di un peggioramento del 12% del mix, sceso a 587 euro per ettolitro.
    La categoria più debole è quella dello Champagne, in calo del 30% si a valore (876 milioni) che a volume (309mila ettolitri), quindi con un prezzo medio di esportazioni rimasto stabile a 28 euro al litro. Lo Champagne ovviamente paga il suo posizionamento nel segmento del “lusso” e la preponderante quota di vendita nel canale Ho.Re.Ca.
    Anche per il Bordeaux le cose non sono andate per il verso giusto: le esportazioni sono calate del 32% a 765 milioni con un calo del volume del 14% a 722mila ettolitri. Si salvano, per così dire, i vini di Borgogna, -12% a 414 milioni di euro, per un volume calato del 5%.
    Per noi italiani, il riferimento come ho sempre scritto dovrebbe essere a “tutto il resto” della Francia perchè con un prezzo di export di 3.3 euro al litro, è lì che noi ci confrontiamo. Anche in questo “subsegmento” da 5 milioni di ettolitri nel semestre (sui 6.3 totali, -8%), i vini francesi calano del 10% a 1.65 miliardi di euro, quindi peggio di noi.
    Se poi allarghiamo il confronto al totale la differenza è importante ed evidenziata dal grafico che vi riporta le due serie su base annua a una base comune di 100 a giugno 2017 e vi fa vedere come si sono mosse. Come è successo nelle precedenti crisi, i vini francesi calano in modo più marcato, mentre il vino italiano è più “resistente”. In questi 6 mesi, la distanza tra Italia e Francia è calata da 3.3 miliardi di euro (9.78 miliardi per la Francia contro 6.43 miliardi per l’Italia a fine 2019) a 2.5 miliardi (8.8 miliardi contro 6.3 miliardi).
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    Laurent Perrier – risultati e analisi di bilancio 2019

    Con la chiusura a marzo 2020, Laurent Perrier è stata marginalmente lambita dalla crisi COVID. I numeri che sono stati presentati sono comunque positivi e seguono la linea degli ultimi anni, e cioè: incremento del prezzo-mix (+4.5% nell’anno) a discapito dei volumi (-6%) con lo spostamento sulle cuvee speciali (41% delle vendite), internazionalizzazione del business (Francia sotto il 20%) e mantenimento di una struttura finanziaria molto solida (valore del magazzino doppio rispetto all’indebitamento finanziario). Gli utili sono rimasti pressochè stabili a fronte del leggero calo delle vendite e dell’incremento degli ammortamenti, ma la generazione di cassa è migliorata e ha consentito sia di aumentare i dividendi (sempre molto pochi peraltro) e di ridurre il debito. Possiamo dunque dire che Laurent Perrier si presenta in piena forma pronta per superare la prova COVID. Passiamo ai numeri.

    Le vendite calano dell’1% a 231 milioni, a fronte di un calo dell’11% in Francia (complice anche la riduzione strutturale del business all’ingrosso), di vendite stabili in Europa (101 milioni) e di un incremento del 9% nel resto del mondo, che resta il vero motore di crescita del gruppo. In termini di volumi, le vendite sono scese da 11.8 a 11.1 milioni, -6%, compensato da un quasi corrispondente incremento del prezzo mix (+4.5%).
    L’incremento dei prodotti speciali (dal 40.9% al 41.2% del totale) e lo spostamento verso nuovi mercati aiuta il margine industriale, che sale di 1 punto dal 49.8% al 50.8%, ma ovviamente determina maggiori costi operativi sia commerciali che generali, oltre che richiedere maggiori investimenti. Così, la metà di questo 1 punto di beneficio si perde a livello di EBITDA e la quasi totalità a livello di utile operativo, che passa dal 17.6% al 17.8% delle vendite ed è stabile in valore assoluto a 41 milioni di euro. Nessuna novità su tasse e oneri finanziari, talchè si scende con un utile netto prossimo a 28 milioni di euro, +3%.
    La generazione di cassa è cresciuta del 4% a 32 milioni di euro, che sono andati a coprire l’aumento del circolante per 16 milioni (principalmente magazzino, quindi si tratta di una specie di “investimento”), agli investimenti per 3 milioni (una tregua dopo i forti investimenti degli ultimi 5 anni, mediamente erano 10-11 milioni) e ai dividendi per 7 (erano 6 l’anno scorso). Più o meno la differenza tra queste voci corrisponde al miglioramento di 6 milioni dei debiti, da 283 a 277 milioni (abbiamo tolto dal numero ufficiale l’impatto falso di IFRS16).
    Poco, molto poco, si dice come sempre sulle prospettive, salvo che non ci sono problemi di liquidità e non ci sono problemi nelle operazioni del gruppo. Staremo a vedere, sicuramente le altre aziende della Champagne sembrano essere più vulnerabili.
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    Esportazioni di spumante Italia – aggiornamento primo semestre 2020

    Come accennavamo un paio di giorni fa, la combinazione di esposizione geografica (Regno Unito) e tipologia di consumo/posizionamento (ristorazione e bar più importanti nel mix di vendite) hanno creato delle condizioni difficili per i nostri spumanti, che sono calati dell’8% a 631 milioni di euro. Anche se i dati negativi sono negativi e basta, bisogna però considerare il contesto e anche cosa hanno fatto gli altri grandi paesi esportatori di spumanti: la Spagna è calata del 15% (rispetto a dati non eccitanti come lo sono stati i nostri nel recente passato), mentre in Francia lo Champagne ha subito un calo a dir poco fragoroso (-30%) e gli altri vini spumanti sono comunque calati dell’11%. Il nostro cavallo di battaglia, il Prosecco, resta in crescita nella maggior parte dei mercati. Il -4% del primo semestre sconta la debolezza nel Regno Unito. Passiamo ai dati.

    Le esportazioni di spumante calano del 12% in giugno a 102 milioni, il che porta il saldo del primo semestre a -8% (631 milioni) e quello degli ultimi 12 mesi a 1531 milioni (-1%).
    I volumi cominciano a dare qualche segnale di cedimento (-7% in giugno) in un contesto di eccezionale positività nonostante il virus. Nei 6 mesi abbiamo esportato 1.8 milioni di ettolitri di spumante, il 3% in più dello scorso anno. Ne consegue che nel primo semestre il nostro prezzo medio di esportazione è calato del 10% a 3.45 euro.
    Dal punto di vista geografico, i nostri mercati chiave restano gli USA e il Regno Unito, che cubano il 50% delle esportazioni del primo semestre, con andamenti molto diversi: ancora in leggera crescita in America, +2%, in calo del 20% nel Regno Unito. Abbiamo poi una serie di mercati piuttosto importanti, i principali europei (Germania, Francia, Svizzera, paesi nordici, Russia) e il Giappone, dove il saldo del semestre è circa -2% (tutti insieme 197 milioni contro 201 del primo semestre 2019. Il diavolo si nasconde poi nella “coda lunga” di tutto il resto del mondo (quindi tutti quelli fuori dalla “top 10”), dove le esportazioni sono calate del 13%, da 154 a 134 milioni di euro.
    Passando alle categorie, il Prosecco cala del 4% da 458 a 440 milioni di euro nel semestre. Di questi 18 milioni, 14 milioni sono persi nel Regno Unito, da 130 a 114 milioni, dunque -11%. Il repentino indebolimento in giugno del mercato americano ha portato però anche a un -2% a fine semestre in USA, mentre restano stupefacenti i dati di vendita nel mercato francese (terzo mercato per importanza). Sono stabili le esportazioni in Germania, quarto mercato per il Prosecco.
    In chiusura una nota sui dati molto positivi dell’Asti, cresciuto dell’8% a 46 milioni di euro nel semestre, come sempre con una forte volatilità tra mercati. A questo giro, è il +150% in USA a determinare l’incremento del dato totale. “tutti gli altri spumanti DOP” sembrano ormai una categoria in via di estinzione (nel senso che resteranno Trento e Franciacorta probabilmente), con un calo del 38% nel semestre, presumibilmente assorbito dalle altre categorie.
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    Esportazioni di vino italiano – aggiornamento primo semestre 2020

    Dopo il tonfo di Maggio (-24%) le esportazioni di vino italiano riportano un ulteriore calo del 4% in giugno. Il quadro dei primi 5 mesi dunque non si aggrava ulteriormente, anche grazie a una base di confronto molto meno sfidante (giugno 2019 segno un calo dell’8%, contro il +6% di maggio). Il dato finale secondo ISTAT è di esportazioni in calo del 4.1% a 2892 milioni di euro. Due sono le aree di debolezza che si possono riscontrare in questi dati: primo, l’andamento in alcuni paesi dell’Europa continentale; secondo, i vini spumanti che dopo aver “guidato” la crescita del nostro export stanno calando più velocemente (-8%) a causa della loro maggiore esposizione al canale della ristorazione, al consumo nei bar e, geograficamente, all’area del Regno Unito. Dando un piccolo sguardo fuori dai confini, non ci dobbiamo però lamentare. Se è vero che gli spagnoli sono andati più o meno come noi, è vero anche che i francesi hanno fatto un vero e proprio buco, con un calo del 21% delle loro esportazioni, che sarà oggetto di commento in un post dei prossimi giorni. Passiamo a commentare i dati.

    Giugno chiude con un calo del 4.3% a 459 milioni di euro, che si compone di un -2.6% per il vino in bottiglia a 323 milioni, un calo del 12% dei vini spumanti a 102 milioni e un incremento dell’8% delle esportazioni di vini sfusi e altro a 35 milioni. I volumi nel mese sono stati stabili a 1.6 milioni di ettolitri, con un bilanciamento tra un incremento del 2% dei vini fermi e un calo del 7% dei vini spumanti.
    A livello semestrale come abbiamo detto il calo è quasi uguale, 4.1%, con gli spumanti in calo del 7.6% (631 milioni) e i vini fermi in bottiglia a -3.5%, 2039 milioni. Come vedete dalla tabella riassuntiva, a livello annuo il primo semestre 2020 si è “mangiato” l’incremento del secondo semestre 2019.
    Geograficamente la situazione è molto variegata, essendo guidata da differenti tempistiche di diffusione del virus ma anche diverso tipo di esposizione ai prodotti italiani. Sono dunque molto deboli mercati come il Regno Unito, la Svizzera e la Francia (-10/12%) dove i nostri spumanti sono importanti, vanno meglio paesi più esposti al “basso di gamma” come la Germania o gli USA (rispettivamente stabile e -2%), ci sono poi alcune eccezioni positive come l’Olanda (ipotizzo per nuovi canali di esportazione dall’Olanda stessa) o il Canada (+3%, il migliore tra i mercati di peso) o i paesi scandinavi, dove il virus ha attecchito con meno vigore.
    Degli spumanti parliamo in dettaglio martedì, ma è evidente a spiegare questo maggior calo sicuramente va sottolineato l’esposizione al Regno Unito (il 22% del totale contro l’8% per i vini fermi in bottiglia), il cui calo da solo spiega 4 dei quasi 8 punti di calo delle esportazioni semestrali.
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    Spagna – esportazioni di vino – aggiornamento primo semestre 2020

    La Spagna è il primo esportatore che analizziamo sui primi 6 mesi dell’anno. I dati, ovviamente negativi, sono di difficile lettura con una forte volatilità tra i diversi mercati. Nel caso della Spagna, intorno a questo -7% che non sembra così negativo ma che si confronta con un 2019 già negativo, ci sono alcune sorprese come il +10% registrato nel Regno Unito e il +35% dei Paesi Bassi che si mischiano con il crollo del 15% nel mercato americano e del 40% in quello cinese. Nei numeri generali questi 6 mesi hanno cancellato i progressi fatti nei 5 anni precedenti dal vino spagnolo e sembrano ben più gravi dell’andamento italiano, che fino a fine maggio registrava un calo contenuto al 4%. Non saremo molto distanti. L’analisi per categoria conferma invece come gli spumanti, più legati alle occasioni di consumo fuori casa sono stati più colpiti rispetto ai vini fermi. Passiamo all’analisi dei dati.

    Le esportazioni spagnole scendono del 6.7% nei primi 6 mesi 2020 a 1218 milioni di euro, dopo aver già subito un robusto calo (-9%) nei primi mesi del 2019. Con un volume sceso dell’111% a 9.8 milioni di ettolitri, il prezzo medio di vendita (che resta il più basso tra tutti i principali paesi esportatori) risale leggermente da 1.18 a 1.24 euro al litro (+5%).
    Come accennavamo sopra, i vini fermi in bottiglia sono scesi del 5% a 773 milioni, gli sfusi e le categorie speciali sono anche loro calati della stessa percentuale a 279 milioni di euro, mentre per gli spumanti c’è stato un tracollo del 15%, per 166 milioni di euro.
    Per quanto riguarda i principali mercati, la Germania è stabile a 166 milioni di euro (ma era scesa in modo molto marcato nel 2018) e il Regno Unito cresce del 10% a 141 milioni di euro e torna ad essere il secondo mercato del vino spagnolo (come sempre è stato).
    Gli USA diventano il terzo mercato nel 2020 (erano il secondo l’anno scorso) con un calo del 15% a 124m milioni, mentre la Francia scende del 10% a 120 milioni. Sotto la volatilità cresce ulteriormente: abbiamo detto del +35% dell’Olanda, ora quinto mercato, mentre la Cina passa da 63 a 37 milioni, dal quinto mercato all’undicesimo posto.
    Se guardiamo in particolare gli spumanti, gli USA restano il primo mercato ma calano del 24% a 23 milioni, mentre Germania e Belgio scendono del 6% e 19% ed entrambi totalizzano 20 milioni.
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    LVMH – risultati primo semestre 2020

    Con un calo del 20% delle vendite e del 23% dell’utile operativo nei primi 6 mesi del 2020, la divisione wine&spirits di LVMH è passata da essere il fanalino di coda del gruppo alla parte più resistente alla crisi. Infatti, l’interruzione dei flussi turistici ha avuto un impatto ben più devastante sulle altre divisioni di quanto non abbia avuto lo stop di bar e ristoranti per i vini, Champagne e Cognac del gruppo. Giusto per fare qualche esempio, i beni di lusso sono giù del 46% come utile operativo (parliamo di Louis Vuitton, Balenciaga, Loro Piana e via dicendo), i profumi e cosmetici, ma anche gli orologi e la gioielleria (Bulgari, Tag Heuer, Hublot) sono passati direttamente a una perdita operativa, il retail (Sephora e DFS negli aeroporti) sono in profondo rosso. Ovviamente non c’è da rallegrarsi, anche se la distribuzione globale di LVMH, con un rapido spostamento dall’Asia al Nord America delle vendite ha aiutato. In tutto questo, cognac meglio di Champagne, soprattutto dal punto di vista dei margini. Passiamo ai numeri.

    Le vendite di vino e champagne sono calate del 21% nel primo semestre 2020 a 755 milioni, a fronte di un calo del 30% dei volumi di Champagne (17 milioni di bottiglie) ma di un incremento dei volumi di vendita degli altri vini del 20% a 18 milioni di bottiglie, anche grazie alle acquisizioni di Château d’Esclans e di Château du Galoupet.
    Se mettiamo i due gruppi insieme, arriviamo a circa 36 milioni di bottiglie, -11% con un calo del prezzo medio di vendita del 10% circa.
    La divisione Cognac e spirits ha fatto leggermente meglio sul fatturato (-19% a 1230), ma la differenza tra le due sottodivisioni emerge quando si guarda all’utile operativo. Champagne e vini passano da 214 a 103 milioni di euro, quindi dal 22% al 14% di margine operativo, il cognac incredibilmente tiene sul margine al 36-37% e vede un calo degli utili quindi molto simili al calo del fatturato.
    Come sapete il primo semestre conta meno del secondo nel settore del vino e quindi sarà importante vedere come si esce dalla crisi. La strategia chiaramente non cambia, i prezzi non si tagliano ma semmai si aumentano per cercare di compensare la perdita di volumi, perchè poco di quello che produce LVMH “va a male” e anche dal punto di vista finanziario il gruppo ha la forza di supportare gli investimenti (+38% nel primo semestre a 155 milioni) e il capitale investito (calato da 16 miliardi a 14 miliardi per via della svalutazione di alcuni marchi).
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