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    I consumi di vino nel mondo per tipologia (2021) – studio OIV

    OIV ha prodotto un ottimo studio (scaricabile qui) che analizza in prospettiva storica l’evoluzione della produzione e del consumo di vino per colore, che ci consentirà di fare qualche post specifico nelle prossime settimane. Oggi parliamo di consumi di vino e per la prima volta (mi sembra), OIV ci fornisce una prospettiva storica a livello mondo per colore e a livello nazionale. Il valore aggiunto del mio lavoro di oggi è di “mischiare” i numeri di OIV per costruire un quadro del tipo di vino consumato nei principali mercati. E così si scopre i cinesi bevono praticamente solo vino rosso (dati 2021), gli americani e gli italiani sono quelli che più apprezzano i vini bianchi (55-60% dei consumi) e che in Francia per esempio si bevono più vini rosati che non vini bianchi (l’avreste mai detto?). Ad ogni modo, lo studio conferma il declino strutturale dei vini rossi nei consumi di vino, sostituito principalmente dai vini bianchi e in parte dai vini rosati. Passiamo a un’analisi dettagliata dei numeri.

    OIV ha calcolato che i consumi di vino medi 2017-21 sono stati di 239 milioni di ettolitri, rispetto ai 232 rilevati nella media 2000-2004, quindi con un leggero incremento (3%) nell’arco di… 17 anni prendendo il punto medio dei due periodi considerati.
    Il consumo di vino rosso è passato in questo lasso di tempo da 119 a 115 milioni di ettolitri, quindi dal 51% al 48% dei consumi totali, mentre il consumo dei vini rosati è cresciuto da 20 a 23 milioni di ettolitri, ossia dall’8.7% al 9.5% del totale. Sono i vini bianchi che però hanno avuto il più forte sviluppo (e in questo si considerano anche gli spumanti, attenzione), passando dal 40% al 42.2% dei consumi totali, ossia da 93 a 101 milioni di ettolitri in totale.
    Lo studio poi fornisce tutta una serie di classifiche di consumo e produzione per colore che analizzeremo in futuro. Noi abbiamo preso i dati e li abbiamo re-impacchettati come dicevo prima per ricostruire i consumi per nazione. Così si riesce a spaccare i 33 milioni di ettolitri consumati in USA nel 2021: ben 18 sono di vino bianco, contro 11 di vino rosso, 55% contro 35%, e il restante 10% è vino rosato, segmento in cui gli americani sono i secondi consumatori mondiali in valore assoluto, terzi dopo Francia e Regno Unito in termini relativi.
    L’Italia è a forte vocazione vini bianchi, il 59% dei consumi, 14 dei 24 milioni che si ricava sommando i pezzi, mentre i vini rosati hanno poco successo (soltanto il 4%). In Francia invece sono preponderanti i vini rossi, il 39% del totale, ma i vini rosati con 7 milioni di ettolitri consumati e il 33% del totale sono più importanti dei vini bianchi (28% del totale).
    Vi lascio ai dati, noterete la forte vocazione al consumo di vini rossi dell’Argentina (70%), piuttosto che il bilanciamento quasi perfetto tra rossi e bianchi del mercato inglese e tedesco

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    Le superfici vitate bio nel mondo – dati 2021 FiBL & IFOAM

    FiBL & IFOAM hanno pubblicato il rapporto 2023 sulle superfici bio mondiali, aggiornato al 2021. Il totale assomma a 510mila ettari, ossia il 7.5% della superficie vitata mondiale (come riportato). I totali non tornano quando si sommano le superfici effettivamente bio di 377mila ettari e quelle in conversione di 95mila ettari, ma questi sono i dati come riportati, probabilmente a causa delle numerose caselle vuote. Vi avverto anche che per quanto riguarda l’Italia il dato 2001 riportato in tabella dal rapporto è 104mila ettari (totali, quindi comprese in conversione) e dunque diverso da quello di Sinab, che abbiamo recensito nel 2021 essere di 126mila ettari totali, di cui 101mila convertiti (molto simile ai 104mila del rapporto) ma senza i 24mila ettari in conversione. Se aggiungessimo questi 24mila al conto totale si raggiungerebbe il totale di 534mila ettari. Ad ogni modo, la principale nazione per superfici bio nel mondo resterebbe comunque la Spagna con 142mila ettari, seguita dalla Francia con 136mila ettari (dato non aggiornato e con un ammontare importante “in conversione”, essendo uguale a quello del 2020) e verrebbe poi comunque l’Italia con 104mila del rapporto (o 126mila secondo Sinab). In termini di penetrazione sul totale, lasciando fuori le nazioni poco rilevanti, la prima nazione per penetrazione è la Francia con il 19% (secondo Sinab nel 2021 in Italia 21%), seguita dalla Svizzera con il 17% e dall’Italia con il 15%. Passiamo a una breve analisi dei dati.

    La superficie vitata mondiale biologica è stimata da FiBL & IFOAM a 510mila ettari nel 2021, pari al 7.5% della superficie mondiale, con un progresso dello 0.2% e di 6mila ettari rispetto al 2020, quando i numeri erano 504mila e 6.7%.
    Forse per via della “deviazione” sul dato italiano a cui mancano circa 22mila ettari, dopo una progressione da 30-40mila ettari all’anno nel 2021 si registra un deciso rallentamento.
    In termini di esposizione per continenti, dei 510mila ettari 435mila sono in Europa, 49mila in America, 15mila in Asia, 6mila in Oceania e 5mila in Africa.
    Se guardiamo agli ettari vitati bio già certificati soltanto, secondo il rapporto sono 377mila nel mondo, di cui 105mila in Spagna, 104mila in Italia e 79mila in Francia. In questa “subveduta” l’Italia sembra essere quella con il ritmo di crescita più marcato secondo lo studio (circa 10mila ettari all’anno), mentre il dato spagnolo sembra avviarsi verso una stabilizzazione. Come detto sopra, i dati francesi sono essenzialmente uguali a quelli del 2020.
    Va sempre ricordato che il conto degli ettari francesi ha anche a che fare con i vigneti per il Cognac e l’Armagnac che “falsano” un po’ tutti i conti quando si parla di vino soltanto.

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    La valutazione delle aziende vinicole – aggiornamento 2024

    Buongiorno. Il lavoro di oggi riguarda la valutazione delle aziende vinicole quotate, con I prezzi rilevati intorno al 15 gennaio e i multipli di mercato proiettati al 2024 e al 2025 secondo le stime degli analisti. Come sapete il 2023 è stato un anno eccellente per le borse mondiali, con crescite superiori al 20%. In questo contesto, se consideriamo il valore azionario cumulato del nostro campione (che è fatto dalle medesime aziende dell’anno scorso) troviamo un risultato nettamente meno positivo, circa +6%. Quindi la prima considerazione è che il settore del vino ha avuto un 2023 meno positivo che in altri settori (comprensibile, visto che i grandi temi del 2023 sono stati i tassi di interesse che hanno favorito le aziende del settore finanziario e la tecnologia, che ha supportato le “magnifice 7” americane). Nonostante questo, le valutazioni sembrano essere in leggera crescita. Le aziende della Champagne sono quotate a 2.9 volte le vendite, erano 2.7 lo scorso anno, le aziende internazionali stavano a 5.0 volte le vendite sono ora a 5.2 volte (ma senza Constellation Brands si scende da 4 a 3 volte), quelle europee (Schloss Wachenheim, Advini, IWB e Masi) stanno a 1.3 volte le vendite contro 1.2 volte lo scorso anno. Il 2024 è un anno molto più incerto: il crollo dell’inflazione farà calare i tassi di crescita (che per le aziende sono “nominali”), le valutazioni sembrano piuttosto elevate. Vedremo. Per ora se siete interessati nella tabella all’interno trovate altri grafici e la tabella con tutti i numeri.

    Il campione analizzato include le seguenti aziende quotate: Lanson BCC, Vranken Pommery e Laurent Perrier per lo Champagne; Constellation Brands, Treasury Wine Estates, Concha y Toro, Duckhorn, Vintage Wine Estates (senza multipli perchè quasi fallita) e Delegat per le aziende extraeuropee; Schloss Wachenheim, Advini, Italian Wine Brands e Masi per l’Europa. Se ne trovate altre fatemi sapere!
    Le aziende europee sono poco rappresentate e presentano multipli a forte sconto rispetto a quelle internazionali, anche a causa della loro dimensione contenuta (e quindi minore liquidità e interesse da parte degli investitori) e dei minori margini. Un’azienda focalizzata sul vino di qualità come Masi ha un margine del 9% atteso per il 2024, la Duckhorn in USA ha una margine del 29% (e un valore di mercato di 1 miliardo contro 150 milioni), il che vi fa rendere conto della differenza.
    Dunque il campione più rappresentativo è certamente quello americano. C’è dentro Constellation che ormai ha poco a che fare con il vino. Se facessimo un esercizio “escluso Constellation”, arriviamo a dei multipli di circa 3.2 volte le vendite per un margine operativo medio del 24%. Le 4 piccole europee in confronto stanno a 1.3 volte le vendite e hanno un margine del 7% quindi… è vero che le aziende europee sono valutate poco, è altrettanto vero guadagnano molto di meno…

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    Constellation Brands – risultati primi 9 mesi 2023

    E fu così che dopo molti trimestri deboli la divisione vino di Constellation Brands ha fatto un vero e proprio fosso nel trimestre chiave dell’anno. Conseguenza: il capo della divisione è ormai messo alla porta (a partire dal 29 febbraio) senza neanche aspettare di avere un rimpiazzo. Le attese sull’anno fiscale della divisione vino sono state tagliate a un calo delle vendite del 7-9% e dell’utile operavo del 6-8%, dal giorno alla notte considerando che fino al secondo trimestre si parlava di vendite stabili e di un incremento del 2-4% dell’utile operativo. D’altronde nel terzo trimestre le “depletions”, ossia le vendite al dettaglio sono calate del 10%, dopo il -8% del secondo trimestre e il -6% del primo, nonostante la base di comparazione (come si vede bene nel primo grafico) fosse mano a mano più facile da raggiungere. In totale CBrands divisione vino ha realizzato vendite per 2.7 miliardi di dollari nel trimestre, contro 2.4 di quello corrispondente 2022 e un utile di 509 milioni di dollari, contro 468, tutto grazie alla birra. Le previsioni per l’anno restano stabili in termini di utile netto ma sono state incrementate in termini di generazione di cassa (da 1.2-1.3 miliardi di dollari a 1.4-1.5), sempre grazie al successo della divisione birra. La divisione delle droghe leggere continua a perdere soldi, anche più che in passato. Alla fine questi dati sono stati accolti positivamente dagli investitori, segno anche che del vino non gliene frega più niente… passiamo a una breve analisi dei dati.

    Le consegne di vino sono scese del 12% a 6.1 milioni di casse, di cui 5.3 milioni (sempre -12%) nel mercato americano, per un fatturato vino e spiriti di 502 milioni di dollari, -8% sul trimestre 2022. Di questi, 436 sono vino (-7.4%) e 67 sono spiriti (-10%).
    A livello operativo, tutta Constellation ha generato 797 milioni di dollari di utile, di cui 128 sono nel vino, -5%, con un margine in leggero miglioramento (25.4% nel trimestre contro 24.8% lo scorso anno) grazie all’impatto dei marchi a minor margine venduti. La birra genera invece 669 milioni, per un margine del 31% e una crescita del 9%. La divisione Canopy perde nel trimestre 42 milioni di dollari, erano 37 lo scorso anno.
    A livello finanziario le cose vanno invece meglio: i dividendi sono cresciuti a 163 milioni da 146 lo scorso anno, l’azienda ha ricomprato 215 milioni di dollari di azioni proprie portando la “restituzione” agli azionisti nei 9 mesi a 740 milioni di dollari (su un valore di borsa di 45 miliardi). Gli investimenti sono in crescita e nonostante tutto questo il debito netto scende a 10.7 miliardi di dollari dagli 11 del secondo trimestre e contro 12 di un anno fa. Il debito su EBITDA scende a 3.0 da 3.5 dell’anno scorso.

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    Il commercio mondiale di vini sfusi – aggiornamento 2022

    Il grafico qui sopra credo fornisca un quadro piuttosto chiaro dell’evoluzione del mercato mondiale dei vini sfusi, almeno dal punto di vista dei volumi: declino strutturale. Le ragioni possono essere diverse. La più evidente è forse quella della qualità, meno vino ma più buono, e questo va in bottiglia. Però la spiegazione non può fermarsi qui. Per esempio, la Nuova Zelanda esporta vino sfuso a un prezzo molto più alto della media, il che significa che lo spediscono per l’imbottigliamento locale vino sfuso. Penso che questo sia possibile grazie alla scala rilevante (tanti volumi) delle operazioni delle aziende locali, oltre che dalla mancanza di regole (sempre locali) che obblighino all’imbottigliamento locale del prodotto. I numeri del 2022 di UN Comtrade danno un valore esportato di 2.66 miliardi di euro, +6% sul 2021 ma molto meno dei 3 miliardi e più degli anni pre-Covid e un volume scambiato di 35 milioni di ettolitri, -6%, in calo da ormai qualche anno. La Spagna domina, la Nuova Zelanda cresce, l’Italia recupera nel 2022 ma resta ben sotto i livelli del passato. Passiamo a un breve commento dei principali dati.

    Con una quota di mercato del 20% del valore scambiato e del 33% del volume totale, la Spagna domina il trade mondiale di vini sfusi. Nel 2022 sono stati esportati 11.5 milioni di ettolitri per un valore di 534 milioni di euro (+11%, ma -2% annuo su 5 anni). Il prezzo medio risultante 46 euro a ettolitro contro la media di 76 vi può dare l’idea del “tipo” di leadership della Spagna, basato sull’esportazione massiccia di volumi di prodotto di qualità medio bassa.
    La Nuova Zelanda invece sta in questo post “per sbaglio”, nel senso che esportando a una media di 283 euro per ettolitro, ovviamente non sta vendendo prodotto da usare per produrre altri vini, ma sta semplicemente (immaginiamo) spedendo cisterne di vino nei mercati di destinazione per l’imbottigliamento in loco. Con 341 milioni di euro è la seconda nazione in questo segmento, con una quota di mercato del 13% e un incremento del 19% (+8% annuo dal 2017).
    L’Italia torna a essere il terzo player, con 304 milioni di vendite e 3.74 milioni di ettolitri di esportazione, al pari dell’Australia in volume che lo scorso anno l’aveva superata. I dati sono migliori del 2021 (+13% a valore) ma si inseriscono in un trend discendente (-5% annuo su 5 anni).
    Gli altri esportatori di vino sfuso sono l’Australia, con 303 milioni, ossia uguale all’Italia, il Cile con 286 milioni di euro e la Francia, più distante, con 186 milioni di euro. Nessuno di questi esportatori ha una variazione positiva sul quinquennio.

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    Vintage Wine Estates (VWE) – risultati 2023

    Mamma mia che incubo. I dati di Vintage Wine Estates a giugno 2023 si sono rilevati essere un vero e proprio incubo, rispetto a quanto prospettato durante l’introduzione in borsa. Introduzione che era partita con un valore di borsa di 600 milioni di dollari, calata a 200 milioni alla fine del primo anno e ora virtualmente azzerata, con le azioni che trattano a meno di 1 dollaro, esprimendo un valore di mercato di 34 miloni di dollari (25 ottobre). Gli obiettivi per il 2023 sono stati mancati in maniera clamorosa non tanto in termini di vendite (283 milioni rispetto a 300-310 previsti) quanto dal punto di vista dei margini di profitto. Invece di 60 milioni di EBITDA l’azienda ha presentato una perdita di 11 milioni. Niente acquisizioni, anzi nel 2024 sono previste delle dismissioni per cercare di tenere in piedi la baracca, che ha un debito netto che calcoliamo in circa 283 milioni di dollari. L’ambizione di oltre 100 milioni di dollari di EBITDA per il 2026 è ovviamente un miraggio (e non viene più menzionata): le indicazioni per il 2024 (chiusura a giugno) parlano di un fatturato tra 260 e 270 milioni, quindi in calo del 5-10% e di un EBITDA che secondo i miei calcoli atterrerà intorno al pareggio (3 milioni) prima degli oneri di ristrutturazione (6 milioni a occhio) e un ulteriore taglio degli investimenti. Di fronte a tale disastro, l’azienda ha dovuto svalutare gli attivi intangibili, tagliando quindi il patrimonio netto anche più della perdita netta di 21 milioni (prima degli oneri di ristrutturazione). Passiamo a commentare qualche dettaglio…

    Le vendite calano del 4% a 283 milioni, essenzialmente a causa del segmento vino, -9% a 189 milioni, mentre la parte degli spiriti cresce dell’11% a 94 milioni.
    Dal punto di vista dei canali distributivi, se l’ingrosso continua a crescere, +3%, è la parte DTC, vendite dirette, che soffre, -10% a 83 milioni di euro.
    Il margine industriale resta intorno al 30% ma sono i costi operativi a impattare in modo importante, tanto che l’EBITDA (rivisto per il 2022 in base a nuove riclassifiche) cala da 16 milioni di dollari a -11 milioni.
    Con la svalutazione dell’avviamento si arriva a una perdita operativa monstre di 209 milioni di dollari, attenuata dai risparmi fiscali, a livello di utile netto, -189 miloni. Se togliamo ammortamento dell’avviamento (che calerà!) e oneri di ristrutturazione si arriva a una perdita operativa aggiustata di 33 miloni contro il -15 dello scorso anno.
    La parte finanziaria desta preoccupazioni. Il debito cala leggermente da 294 a 283 milioni a fronte di una vera e propria cura dimagrante degli investimenti, da 25 a 14 milioni (erano 39 nel 2020) e nessun dividendo. Nel 2024 sono previsti solo 12 milioni, 30 milioni di dollari di dismissioni… che dovrebbero consentire di mantenere la situazione finanziaria stabile. Intanto gli azionisti hanno perso quasi tutto il loro capitale… LEGGI TUTTO

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    Constellation Brands – risultati primo semestre 2023

    Che il 2023 non sia un buon anno per il vino in USA lo si legge molto bene dai dati pubblicati a inizio ottobre da Constellation Brands, relativi al secondo semestre dell’anno. Benchè nel complesso l’azienda continui ad andare bene (le indicazioni sugli utili a fine anno sono state alzate leggermente), ciò è legato alla crescita del segmento birra. Nella parte relativa al vino, che il secondo trimestre ha anche il suo trimestre più forte, le consegne sono calate del 18% a fronte di un “sell-out”, ossia vendite finali, in calo dell’8% (dopo il -6% del primo trimestre). Se dunque una parte del calo è da attribuire al “destocking” e ancora una piccola parte alle attività vendute, i dati sono poco incoraggianti e le indicazioni sul fine anno relative al vino (vendite stabili a parità di perimetro e +2/+4% per l’utile operativo) sono chiaramente a rischio a questo punto. Ne sapremo di più sulla strategia e sul futuro anche oltre il 2023, visto che l’azienda ha organizzato un “Capital Market Day” per inizio novembre. Per ora gli investitori dopo un’estate improntata al rialzo hanno punito il titolo in borsa, con un calo del 12% nell’ultimo mese (al 14 ottobre) che ha di fatto cancellato i progressi da inizio anno. Passiamo a una breve analisi dei dati.

    Le vendite totali di CBrands sono salite del 7% a livello consolidato grazie alla birra (+12%), mentre per il vino le vendite calano del 13% e per gli spiriti addirittura del 18%. Il vino ormai rappresenta soltanto 384 milioni di dollari di vendite nel trimestre su un totale di 2.8 miliardi.
    A livello operativo i margini sono in crescita ma, di nuovo, tutto è legato alla birra. Nel segmento vino e spiriti (riportati insieme) l’utile operativo trimestrale cala del 19% a 81 milioni, per un margine del 18% rispetto al 19% dello scorso anno. Sui 12 mesi terminanti a fine agosto, come vi indica il grafico il margine è del 22.6% non distante da dove stava un anno fa. Si tratta di un risultato non eccellente ma va considerato anche il calo delle vendite e il minore assorbimento dei costi fissi.
    I volumi di vino scendono a 6.1 milioni di casse nel trimestre e 25 milioni sui 12 mesi, ormai molto distanti dai 70 milioni di casse che CBrands esprimeva nel 2016.
    A livello finanziario l’azienda ha un obiettivo di ridurre la leva a 3 volte l’EBITDA, il che richiederà qualche limitazione alla politica di remunerazione degli azionisti, come già si vede oggi: nei primi 6 mesi fiscali sono tornati agli azionisti “solo” 363 milioni di dollari contro i 1695 milioni dello scorso anno. Il debito che a fine anno era 11.1 miliardi di dollari è stabile a 11.0 miliardi, con un rapporto debito/EBITDA passato da 3.5 a 3.3 volte.

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    Duckhorn – risultati 2023 e prevision 2024

    I risultati 2023 di Duckhorn non hanno deluso le aspettative che il management aveva fornito: le vendite sono cresciute dell’8% a 403 milioni di dollari, l’EBITDA rettificato è andato oltre gli obiettivi a 145 milioni di dollari, +13% ma l’utile netto è salito un po’ meno delle attese a causa dell’incremento del costo del debito, +9% a 77 milioni. Purtroppo, il valore delle azioni si è più che dimezzato nel giro di un anno. Forse, oltre al fatto che gli investitori si aspettavano qualcosa di più, il colpo più secco (da un’analisi ex post) è venuto dalle indicazioni per il 2024 (luglio 2024), che indicano una crescita delle vendite e dell’EBITDA soltanto del 5-6% (quindi: margini stabili) e un utile netto stabile, a causa presumibilmente dell’incremento del costo del debito. Ora, tornando alle azioni, quando scrivevamo lo scorso anno le azioni stavano a 22 dollari, prima dei risultati erano tra 12 e 13 dollari e ora sono crollate a 10 dollari. Quindi al 3 ottobre, le azioni Duckhorn restituivano una valorizzazione di mercato di 1.2 miliardi di dollari, che diventano 1.4 miliardi con il debito. Tradotto in multipli sugli obiettivi 2024, stiamo parlando di 15 volte gli utili (oltre 30 lo scorso anno), 9 volte l’EBITDA (22x un anno fa) e 3.3 volte le vendite (quasi 8 lo scorso anno). Una valutazione decisamente più “umana”, soprattutto per un’azienda che ha buoni marchi (vedere all’interno), ben gestita ma che comunque compra il 90% delle uve all’esterno (e quindi non ha valore nelle vigne, o quasi), essendo quindi sottoposta a pressioni inflazionistiche. Bene, questo è il quadro, passiamo a un’analisi più dettagliata dei risultati.

    Le vendite a luglio 2023 salgono dell’8% a 403 milioni, grazie all’incremento dell’11% del segmento “ingrosso”, mentre le vendite dirette sono cresciute soltanto del 3%.
    L’incremento dei prezzi e del mix ha portato un +2.6%, mentre i volumi sono cresciuti del 5.6% nel 2023, contro il +1% e +9% registrato nell’anno precedente.
    I margini sono migliorati: il margine lordo passa dal 50% al 53.5%, il margine EBITDA dal 34% al 36% (ma resta sopra il 40%+ di qualche anno fa, quando peraltro l’azienda era metà di adesso). L’utile netto rettificato passa da 71 a 77 milioni, causa la risalita degli oneri finanziari, da 7 a 12 milioni.
    A livello finanziario gli investimenti sono balzati da 45 a 72 milioni, “mangiando” completamente la cassa generata dall’attività, passata da 69 a 70 milioni (anche a causa del forte incremento del magazzino). Pur non avendo pagato dividendi agli azionisti, il debito resta stabile, passando da 220 a 227 milioni di euro. Non un buon segno, particolarmente di fronte al rallentamento della crescita che il management ha previsto per il 2024.

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