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    Conegliano Valdobbiadene DOCG Prosecco Superiore – vendite e esportazioni 2019

    Fonte: inumeridelvino.it su dati del CONSORZIO TUTELA DEL VINO CONEGLIANO VALDOBBIADENE PROSECCO
    La notizia principale del rapporto 2020 (con dati 2019) è certamente l’ottima performance del Conegliano Valdobbiadene alla pandemia, con un numero di certificazioni (che poi indicano le vendite) soltanto di poco inferiore a quello del 2019 (-1%) a tutto Novembre, sostenuto dalla ripresa del mercato italiano (+7% a tutto ottobre 2020) che come vedremo dal post era calato nel 2019. Ma proprio del 2019 siamo qui a parlare oggi. Un anno strano per il Prosecco superiore, fatto di forti volatilità tra mercati e con una chiusura a +2% per i volumi e +1% per il valore. Questi 90 (+2) milioni di bottiglie e 525 milioni di euro sono la continuazione di una linea di crescita che tende ad appiattirsi dal 2016 a questa parte. Come dicevamo le vendite italiane sono state giù del 6-7% nel 2019 e secondo il consorzio ciò è il risultato della strategia di favorire le esportazioni, per cercare delle destinazioni più profittevoli per il prodotto. Può darsi che sia vero, ma se guardo questi numeri io vedo soltanto un mercato estero in fortissima crescita, il Regno Unito (+83% euro, bottiglie raddoppiate). Vedo anche che se faccio la divisione tra valore e volumi nel Regno Unito si è venduto a 4.94 euro a bottiglia, mentre in Italia si vende a 6 euro a bottiglia (ma forse il prodotto è differente). Mi fermo qui. Passiamo al commento dei dati.

    Le vendite di Prosecco superiore nel 2019 sono cresciute dell’1.2% a 525 milioni di euro per un totale di 90 milioni di bottiglie vendute di spumante, cui si aggiungono un paio di milioni di prodotto non spumante.
    Le vendite in Italia sono scese del 7% in volume e del 6% in valore, rispettivamente a 50 milioni di bottiglie e 296 milioni di euro. L’Italia rappresenta ancora il 56% del valore e il 51% del volume venduto di spumante Prosecco superiore. In ambito domestico, il calo maggiore è stranamente nella vendita diretta, calata del 9-10% sia a valore che a volume, mentre nella GDO le vendite sono in discesa del 6% a valore e del 9% a volume.
    All’estero come dicevamo grande volatilità nell’ambito di un numero totale molto positivo di +16% a valore (202 milioni) e +16% a volume (38.6 milioni di bottiglie). Se lo rapportiamo ai 1062 milioni di euro di esportazioni totali di Prosecco (ossia tutti i prodotti spumanti a base Glera), il Prosecco superiore Conegliano Valdobbiadene rappresenta il 19% del totale.
    Il dato spaccato per mercato non è però così “incoraggiante”. Il Regno Unito passa da 6.4 a 12.7 milioni di bottiglie. Se togliamo queste le esportazioni a volume sarebbero in calo del 3%. Fatto salvo per la Germania (+2%) e Austria (+6%), le esportazioni a volume sono calate in Svizzera e USA, ma anche in Canada, Scandinavia, Australia e via dicendo (tabella allegata). Dal punto di vista dei volumi la storia non cambia: senza il +83% del Regno Unito le esportazioni sarebbero calate dell’1%, con il contributo negativo della Svizzera (-10%), del Canada (-5%), dell’Australia (-10%) e di Russia e Scandinavia (-18% e -24%).
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    Il sondaggio di WineTourism.com sul turismo del vino e il COVID

    Fonte: WineTourism.com
    Wine Tourism ha pubblicato un interessante sondaggio tra le cantine di tutto il mondo relativamente all’impatto del COVID-19 sull’attività di turismo del vino, di cui trovate il riferimento nella fonte qui sopra. Hanno risposto circa 1203 cantine di tutto il mondo, il 12% di quelle a cui il sondaggio è stato inviato relativamente a qual’è stato l’impatto sui ricavi da turismo del vino nel 2020, a quanto sono calati i turisti internazionali, a quando pensano di ritornare ai livelli pre crisi e via dicendo. Ho pensato di riportare qualche risultato sul blog, anche considerando che i dati sono spacchettabili per nazione e, all’interno della nazione, per regione. Tra l’altro le aziende italiane sono quelle più rappresentate, il 39% del totale contro il 15% di francesi e il 10% di spagnole. Trovate quindi nel post un paio di tabelle che vi dicono che cosa hanno risposto le cantine in tutto il mondo, quelle italiane e all’interno dell’Italia quelle piemontesi, venete e toscane. Il sondaggio dice che la maggior parte delle cantine non vede un ritorno al 2019 prima del 2022 (circa il 70% delle risposte, in Italia uguale al resto del mondo), che per l’85% delle cantine il fatturato da turismo del vino è calato (quasi il 90% per le aziende italiane) e che nel 93% dei casi si sono ridotti i turisti internazionali (95% per l’Italia. Ma commentiamo qualche altro dato insieme, sempre ricordando che i risultati completi sono sul sito in questione.

    Dai grafici sull’impatto della crisi emerge un impatto maggiormente negativo in Italia rispetto all’estero sulle vendite del turismo in tenerale. In particolare, guardando i numeri si direbbe che il calo all’estero sia del 45-50% contro il 50-55% delle cantine italiane.
    A livello regionale, le cantine più colpite sembrano essere quelle venete, dove per ben il 68% delle cantine le vendite si sono più che dimezzate, contro il 58% di quelle toscane e il 52% circa di quelle piemontesi (quasi in linea con le cantine del resto del mondo, al 50%).
    Passando alla domanda sul turismo internazionale nello specifico le risposte sembrano invertirsi un pochino, il che lascerebbe intendere che il problema dell’Italia rispetto all’estero ha avuto a che fare anche con i turisti domestici e non soltanto quelli internazionali. Infatti, a fronte di un maggiore impatto negativo sul turismo del vino in generale, il calo dei turisti internazionali sembra un pochino più spostato nelle fasce meno pesanti (il 41% delle cantine vede oltre -90% in Italia contro il 47% del totale, che implica il 52% di quelle non Italiane). L’andamento più negativo da questo punto di vista è quello della Toscana dove il calo superiore al 50% è per il 76% delle cantine, mentre meno marcato sembra in Veneto (dove il totale delle cantine in calo è simile ma sono meno distribuite nella fascia del -90%) e in Piemonte.
    Infine, un accenno al ritorno alla normalità, dove c’è un consenso praticamente unanime sul 2022. Se proprio volessimo spulciare le risposte forse potremmo scorgere un po’ più di ottimismo in Veneto e in Piemonte (forse più esposte al turismo internazionale dall’Europa) che non in Toscana.

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    Enoitalia – risultati 2019

    Enoitalia è balzata in avanti nella classifica delle aziende vinicole italiane (nel 2019 sesta per fatturato) con un costante incremento delle vendite, che hanno sfiorato i 200 milioni di euro. Nel 2019, inoltre, a migliorare in modo importante sono anche stati i margini, che le hanno consentito di posizionarsi a ridosso della “top ten” italiana per valore aggiunto. Enoitalia ha un posizionamento di prezzo medio-basso, con una produzione di 109 milioni di bottiglie per 199 milioni di fatturato. Dal sito internet si evince che è la più grande azienda italiana privata per volumi prodotti e la seconda per produzione di Prosecco. Dalla relazione degli amministratori scopriamo che ha una forte esposizione al canale “offpremise” (80%) rispetto al canale “onpremise” o Ho.Re.Ca. (20%), il che dovrebbe aiutarla nel contesto della crisi COVID. Infine, è un’azienda con una forte vocazione internazionale, con il 78% del fatturato fuori dall’Italia. Per tornare alla nostra passione, i numeri, nel 2019 a fronte di 199 milioni di fatturato, il valore aggiunto è stato 24 milioni (a testimoniare un basso grado di integrazione verticale nella fase agricola, gestita da 200 partners), l’utile operativo è balzato a 10 milioni di euro (dopo qualche anno di margini in calo) e l’azienda è riuscita a generare 6 milioni di euro di cassa per gli azionisti (di cui 2.6 andati a dividendo e i restanti a riduzione del debito), grazie anche a una attenta gestione del capitale circolante. Passiamo ai numeri e ai dettagli.

    Le vendite di 199 milioni sono principalmente realizzate in Europa, con 129 milioni di euro, mentre l’Italia rappresenta il 22% del fatturato (43 milioni di euro).
    I margini hanno cambiato faccia nel 2019 dopo diversi anni di stabilità con una caduta proprio nel 2018 in occasione del forte incremento dei prezzi della materia prima vino. Nel 2019, comunque, Enoitalia ha realizzato un valore aggiunto rettificato di 24 milioni di euro (12% delle vendite), e un utile operativo caratteristico di 10.3 milioni, il 6% del fatturato. Con poco debito e dunque quasi niente oneri finanziari l’utile netto è stato di 6.7 milioni, il livello più elevato crediamo di sempre, sicuramente più di quello realizzato nei tre anni precedenti messi insieme.
    Dal punto di vista finanziario Enoitalia si caratterizza per una struttura del capitale circolante molto efficiente, con un forte contributo dei fornitori che hanno tempi di incasso molto lunghi, il che consente all’azienda di finanziare completamente il magazzino e le dilazioni ai clienti. Quindi senza capitale circolante, il capitale investito resta molto basso, intorno a 40 milioni… il che significa che un rapporto vendite su capitale investito di 5 volte… un rigiro molto alto. Il debito nel 2019 scende da 10 a 7 milioni di euro, nonostante investimenti saliti da 5 a 7 milioni di euro, e dividendi passati da 2.1 a 2.6 milioni di euro.
    Bene, vi lascio a tabelle e grafici.

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    I numeri della viticoltura biologica in Italia – aggiornamento 2019

    Con il livello di ettari in conversione più basso dal 2014 a questa parte, la spinta verso il biologico sembra rallentare. Questo ci dicono i dati 2019 appena pubblicati da Sinab in collaborazione con ISMEA. L’Italia è chiaramente uno dei paesi più avanzati sul tema, come abbiamo sottolineato in questa analisi pubblicata lo scorso anno. La penetrazione delle superficie bio di 109mila ettari del 2019 rispetto alla superficie totale vitata riportata da ISTAT è del 17%. Di questi 109mila, 84mila sono convertiti (+13%), mentre 26mila sono in fase di conversione (il 20% in meno dell’anno scorso). Le regioni storicamente più importanti nel segmento bio, quindi Sicilia, Toscana e Puglia, non crescono più, mentre il fenomeno si sta allargando alle altre regioni. Da notare il forte incremento registrato in Veneto (+30%). Vi segnalo e allego un grafico, direttamente proveniente dal rapporto ISMEA-SINAB, che vi mostra la penetrazione dei vini bio in GDO su alcune denominazioni. Passiamo ai dati.

    La superficie vitata bio in produzione è attualmente di 84mila ettari, in crescita del 13% sul 2019. Insieme ai 25mila ettari in conversione (invece in calo del 20%) si arriva ai 109mila ettari totali, il 17% della superficie vitata.
    Mediando le superfici in fase di conversione che strutturalmente sono intorno ai 32mila ettari medi negli ultimi 5 anni con l’aumento medio delle superfici (in tutto 37mila ettari nei 5 anni) si può evincere che c’è un “tasso di abbandono”. Se la conversione dura 3 anni e sono in conversione sempre 32mila ettari, la crescita dovrebbe essere di 10mila ettari annui (un terzo dei 32mila), mentre invece parliamo di circa 7-8mila ettari annui in più. Si potrebbe dunque dire che il 30% circa delle superfici in conversione non completano il processo.
    Passando alle regioni, come dicevamo e come si vede bene dal grafico a barre, sono le “nuove” del biologico a spingere, mentre Sicilia, Puglia e Toscana, che insieme fanno il 57% del totale sono ferme ai 62mila ettari totali dello scorso anno.
    I maggiori sviluppi in valore assoluto sono in Veneto (+1866 ettari, totale 8000, ancora solo il 10% della superficie totale) e Emilia Romagna (+661 ettari, totale 5200, anche qui solo il 10%). Come dire che sta arrivando l’industria del vino nel biologico, essendo queste dure regioni quelle dove troviamo (insieme a Toscana e Piemonte) le più importanti aziende del settore in termini dimensionali.
    Vi incollo anche il grafico con le vendite bio sul totale di alcune denominazioni come pubblicate nel rapporto.
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    Esportazioni italiane di vino per regione e tipologia – primo semestre 2020

    Ritorniamo sull’export dei primi 6 mesi con due ordini di dati: 1) le esportazioni classificate secondo il metodo ATECO e suddivise per regione (di origine dell’esportatore e non di origine del vino, ricordatevi!); 2) le esportazioni per tipologia di vino, limitatamente alle tipologie che vengono rilevate, alcune anche con una declinazione regionale (ricordate: questi dati si riferiscono soltanto ai dati relativi al vino imbottigliato). I dati li conoscete bene: calano del 3.5% le esportazioni di vino in bottiglia, mentre la classificazione ATECO registra un andamento leggermente meno negativo del capitolo 2204 di ISTAT, -3.4% contro -4.1%, sempre parlando di euro. Quello che noterete è un andamento migliore per i DOC e gli IGP rispetto ai vini varietali e da tavola, in particolare per i vini bianchi DOC. Dal punto di vista dell’industria vinicola regionale il Piemonte mostra un calo più limitato di quello delle aziende venete e toscane, ma i dati migliori sono quelli registrati dalle aziende del Trentino Alto Adige, dell’Emilia Romagna e della Sicilia (tra le regioni comunque rilevanti). Passiamo ai grafici e al commento dei dati.

    Partiamo dai dati ATECO. Dato nazionale -3.4% nel semestre, le regioni “secondarie” sono in discesa del 5%, quindi più della media, le regioni “importanti” hanno cali leggermente meno marcati. Il Veneto è perfettamente in media a -3.6%, la Toscana leggermente sotto -4.2%, il Piemonte leggermente meglio -2.1%, il Trentino Alto Adige addirittura positivo, +1%. Tra i dati negativi più significativi, il calo del 18% della Lombardia salta all’occhio, oltre al -16% del Friuli Venezia Giulia. Tra i dati positivi “di peso”, vi segnalo il +3% dell’Emilia Romagna e il +7% della Sicilia.
    Nel secondo “taglio” sui vini in bottiglia il calo nazionale è molto simile a -3.5%. I DOP che sono più della metà scendono del 3.0%, gli IGT dell’1.6% mentre a perdere più quota sono i vini da tavola, -6%. Torna il segnale positivo sui bianchi DOC del Trentino Alto Adige, +7%, mentre non ci sono dati positivi tra i rossi DOP, per quanto i DOC piemontesi sono giù soltanto dell’1%. Nei vini IGT succede il contrario, meglio gli IGT rossi di quelli bianchi (+3% e -13% rispettivamente).
    Vi lascio alle tabelle.
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    Zonin – risultati 2019

    Zonin completa il primo anno nella sua nuova configurazione dopo che nella parte finale del 2018 erano state apportate all’azienda le tenute vinicole, storicamente rimaste di proprietà della famiglia. Il bilancio 2019 che presentiamo oggi è quindi “giusto” nel confronto tra la parte economica e quella patrimoniale: dopo l’ingresso dei nuovi azionisti Zonin ha 97 milioni di indebitamento (incluso 6 milioni circa di prestito dai soci) che si confronta con 22 milioni di euro di EBITDA, per un rapporto leggermente superiore a 4 volte, mentre come già avevamo rappresentato lo scorso anno il gruppo può contare su circa 230 milioni di euro di terreni e fabbricati a valore di bilancio, che dunque ampiamente coprono il debito. Dal punto di vista commerciale il 2019 ha visto un leggero calo delle vendite, tornate sotto 200 milioni, anche se viene specificato che lo scorso anno era stata contabilizzata la vendita straordinaria di 9 milioni di euro di vino sfuso che aveva sballato i confronti. La relazione degli amministratori parla in modo molto dettagliato dell’economia generale e del mercato del vino mentre quando si tratta di spiegare l’andamento dell’azienda, i conti e la strategia è particolarmente povera. Passiamo all’analisi dei dati.

    Le vendite 2019 calano del 2.5% a 197 milioni di euro (201 milioni di euro per quanto riguarda il valore della produzione). Dopo i dati molto strani del 2018 riguardo alla suddivisione geografica, i numeri tornano in linea con il passato, con 34 milioni di fatturato in Italia (dichiarati 55 nella stessa tabella, riportante la medesima dicitura, del bilancio 2018) e 163 milioni all’estero.
    La struttura dei costi vede i consumi di materie prime al 40% circa del fatturato (per un margine industriale del 60%), le spese generali e commerciali al 34% (di cui pubblicità e promozioni sono ben l’11% del fatturato) e il costo del personale a poco meno del 15% delle vendite, per giungere a un EBITDA rettificato di circa 22 milioni di euro (prima di considerare circa 1 milione di costi straordinari), pari dunque all’11% circa delle vendite. Gli ammortamenti salgono a 11 milioni per contemplare 3 milioni di ammortamento dell’avviamento e quindi l’utile operativo 2019 è poco sopra 10 milioni prima dei componenti straordinari e poco sotto nell’altra configurazione.
    I costi finanziari sono circa 7 milioni (piuttosto elevati rispetto al livello del debito) e insieme ad altri costi non ricorrenti portano a un utile netto di poco più di 1 milione di euro.
    Il debito sale da 94 a 97 milioni di euro, nonostante un miglioramento di circa 2 milioni del capitale circolante netto, dopo aver investito circa 8 milioni di euro (4% delle vendite).
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    Masi – risultati primo semestre 2020

    I conti del primo semestre di Masi mostrano chiaramente l’impatto del COVID sul segmento alto del vino, più esposto al canale della ristorazione. Le vendite che erano calate solo del 2% nel primo trimestre sono invece crollate del 47% nel secondo, per chiudere con un calo del 27% nel semestre. È evidente il “peggioramento” del mix delle vendite, visto lo scivolone dei “top wines” (Amarone e poche altre referenze) a vantaggio dei “classical wines”, cioè i vini base della gamma. Ma negli ultimi tempi Masi ha compiuto diversi passi importanti. Dal punto di vista dell’attività sono cambiati i distributori in Germania e Stati Uniti (Santa Margherita). Questi sono due mercati un po’ scoperti per Masi, perlomeno considerando quanto sono importanti per il settore in Italia. Masi ha poi lanciato l’ecommerce. Dal punto di vista dell’azionariato è finalmente terminata l’esperienza del private equity che ha venduto le proprie azioni ad altri investitori (qualche investitore di borsa e una quota del 5% alla finanziaria di Renzo Rosso). Le azioni in Borsa sono scivolate intanto al minimo storico di 2 euro circa, che valutano l’azienda poco più di 64 milioni di euro. Considerando il poco debito, si può certamente dire che la valutazione è oggi inferiore al combinato del valore delle terre e del vino in fase di invecchiamento in cantina… passiamo a commentare qualche dato insieme.

    Le vendite calano del 27% nel primo semestre a 22 milioni di euro, con un -30% in Europa, -19% in Nord America e -48% nel resto del mondo (Asia principalmente).
    I margini tengono a livello industriale (dal 67% al 66.5%), ma si fanno poi sentire i costi fissi del personale e di struttura, che portano l’EBITDA a EUR1.8 milioni e l’utile operativo a poco meno del punto di pareggio.
    Con molti meno oneri finanziari del 2019, la perdita netta viene contenuta solo 0.6 milioni di euro.
    Le cose vanno decisamente meglio a livello finanziario. Con un miglioramento del capitale circolante di circa 1 milione di euro, la decisione di sospendere il dividendo e il contenimento degli investimenti (Masi sta predisponendo una nuova sede e visitor center in Valpolicella), il debito cresce solo di 0.6 milioni rispetto a fine anno euro a 9.3 milioni, ed è addirittura più basso del giugno 2019 (10 milioni). Per proteggersi dal potenziale ulteriore calo dell’attività nei prossimi mesi (anche se l’Italia a luglio è girata in positivo), Masi ha predisposto nuovi prestiti per 12 milioni di euro che hanno ulteriormente rafforzato la già sana struttura finanziaria.
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    Botter – risultati e analisi di bilancio 2019

    Botter ha chiuso il 2019 con una crescita a doppia cifra delle vendite e ha ulteriormente arricchito la dotazione di cassa, ma ha deciso di effettuare un accantonamento straordinario di 10 milioni di euro, sia come mossa preventiva nell’ottica delle crisi COVID che in considerazione di una serie di potenziali oneri che potrebbero emergere nell’ambito dell’evoluzione della struttura societaria. Non ci sono ulteriori specifiche salvo che l’accantonamento “si lega ad un evento (in se’ positivo) del tutto eccezionale e non destinato a ripetersi”. Comunque, tornando ai numeri, le vendite crescono del 12% a 218 milioni di euro e l’utile operativo cala da 24 milioni a 21 miloni, ma sarebbe stato 31 senza l’accantonamento. Gli investimenti restano molto contenuti, anche se l’azienda ha messo a segno una piccola acquisizione nel Prosecco Bio (crediamo per 2 milioni di euro) e ha degli obiettivi ambiziosi, purtroppo per nulla specificati nella relazione degli amministratori (striminzita e poco curata rispetto a quello di altre aziende vinicole, pur potendo contare su eccellenti risultati). Passiamo ai numeri.

    Le vendite crescono del 12% a 218 milioni di euro. L’Italia resta un mercato marginale a 13 milioni anche se in crescita del 38% sul 2018. Sono calate le vendite in Europa da 111 a 90 milioni di euro (-19%), mentre crescono del 50% quelle nei paesi extraeuropei (+52%). Purtroppo nessuna spiegazione viene fornita e nessun confronto con il 2018 viene proposto nella nota integrativa del bilancio.
    Il margine operativo lordo cala da 28 a 24 milioni di euro, per un margine dell’11% contro il 14%, ma sarebbe stato del 16% (34 milioni di euro) senza l’accantonamento straordinario. Intendiamoci, questi sono costi che emergeranno in futuro e quindi sono straordinari perchè tutti caricati nel 2019 ma sarebbero dovuti magari essere contabilizzati negli anni precedenti o futuri.
    L’utile netto passa da 17 a 15 milioni di euro, anche qui colpito dall’accantonamento non deducibile di 10 milioni di euro.
    Dal punto di vista finanziario le cose sono più semplici da leggere: la cassa netta cresce da 9 milioni a 30 milioni. Considerato i 5 milioni di dividendi distribuiti questo significa che la generazione di cassa nel 2019 per gli azionisti è stata di 26 milioni di euro, beneficiata tra l’altro da un calo da 35 a 31 milioni del capitale circolante. Un risultato molto simile al 2018 quando la cassa generata fu di 27 milioni di euro.
    Dal verbale degli azionisti si evince la struttura del capitale: famiglia Botter 39%, Dea Capital 39%, Lutob investments 22%. Ci sono tante azioni proprie ed è probabile che questo assetto possa notevolmente cambiare di qui in avanti.
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