Zagrea e l’utopia del piede franco
Dalla conferenza di Villa Campolieto nasce una guida visionaria per riscrivere la narrazione del vino.
Ci sono momenti in cui il vino smette di essere semplice oggetto di degustazione e torna ad assumere il ruolo di ponte tra storia e futuro. La recente Conferenza Nazionale sulla Viticoltura a Piede Franco, svoltasi l’8 settembre a Villa Campolieto, ha avuto proprio questo significato: non soltanto un incontro di addetti ai lavori, ma un invito a ripensare le radici stesse della viticoltura.
Il piede franco è l’immagine più nitida di ciò che la vite era prima della fillossera, la pratica più ancestrale, fragile e al tempo stesso resistente, che custodisce un patrimonio genetico e culturale unico. Una viticoltura che non ha conosciuto l’innesto e che, nelle sue “oasi” di resistenza — sabbie, suoli vulcanici, terreni ostili al parassita — continua a regalarci vini che raccontano un rapporto diretto, non mediato, tra pianta e terroir.
Roberto Cipresso
Non a caso, durante la conferenza, è stata annunciata la nascita di Zagrea – Ungrafted, la prima guida internazionale dedicata esclusivamente ai vini da piede franco. Un progetto che non si limita a classificare etichette, ma che vuole sostenere la ricerca scientifica e alimentare la creazione di un protocollo integrato per la salvaguardia di questa forma di viticoltura. Una guida “inattuale” — come l’ha definita Gaetano Cataldo, ideatore dell’iniziativa e fondatore di Identità Mediterranea — nel senso nietzschiano del termine: controcorrente, visionaria, capace di guardare al futuro proprio perché affonda le radici nel passato.
Fragilità e forza del piede franco
“Fragile ma autentico”: così lo ha definito Roberto Cipresso, winemaker di fama internazionale, ricordando come l’assenza di innesto renda la vite più esposta ma, allo stesso tempo, più trasparente nella sua relazione con il suolo. Una trasparenza che si traduce in vini dal carattere netto, dalla mineralità vibrante, capaci di restituire il paesaggio geologico e umano che li ha generati.
Gaetano Cataldo
Anche altri relatori hanno sottolineato il valore di questa viticoltura “al limite”. L’agronomo Gaetano Conte ha evidenziato la sorprendente resistenza della vitis vinifera pre-fillosserica a siccità, calcare e salinità; Mariano Murru, direttore enologico di Argiolas, ha ricordato il ruolo della Sardegna come “continente viticolo” dove ancora oggi il piede franco resiste su superfici significative. La professoressa Teresa Del Giudice ha invece messo in guardia dal rischio di confinare questa pratica in un ambito meramente museale: il piede franco deve entrare a pieno titolo nel sistema agricolo contemporaneo, connesso anche al turismo, all’economia rurale e alle strategie di destination management.
Un atto politico e culturale
La viticoltura a piede franco non riguarda solo la genetica della vite o la biodiversità: è un tema che tocca identità, economie locali, paesaggio, resilienza al cambiamento climatico. È anche un’occasione per interrogarsi sul nostro modo di vivere il vino. “Non può esserci amore per il vino se non c’è rispetto per il piede franco”, ha ricordato Cataldo, riportando l’attenzione sul legame profondo tra il Mediterraneo e la vite, tra radici culturali e radici vegetali.
La sfida, oggi, è non ridurre il piede franco a semplice feticcio di autenticità, ma trasformarlo in leva per una nuova narrazione del vino. Una narrazione che sappia coniugare ricerca scientifica, valorizzazione dei borghi, sostenibilità e inclusione, generando economie alternative per le aree interne e fragili del Paese.
Guardare oltre
Da Villa Campolieto non è uscita soltanto l’idea di una guida, ma la prospettiva di una commissione scientifica multidisciplinare chiamata a elaborare linee guida per la difesa e la valorizzazione di questa viticoltura. Archeologia, antropologia, agronomia, economia agraria, enologia: il piede franco chiede uno sguardo trasversale, capace di integrare competenze e visioni.
In questo senso, l’iniziativa non appare come un nostalgico ritorno al passato, bensì come un gesto profondamente contemporaneo: un atto di resistenza e di futuro. Perché, se è vero che senza radici non c’è crescita, il piede franco ci ricorda che anche nel vino l’autenticità non è mai un lusso, ma una necessità. LEGGI TUTTO