Dopo qualche anno ritorniamo sul discorso competitività con lo studio che France Agrimer commissiona a Deloitte. Lo studio guarda a 6 fattori: due strutturali (potenziale produttivo, clima/ambiente), due competitivi (la capacità di conquistare mercati e il portafoglio di marchi) e due che chiamerei economico/organizzativi (l’ambiente macroeconomico, la struttura della filiera e gli investimenti). L’aggiornamento 2017 vede l’Italia sempre in testa, come già era nel 2012 quando avevamo analizzato i dati, con un vantaggio limitatissimo sulla Francia che in qualche modo ha guadagnato posizioni rispetto al passato. Inutile dire che l’Italia secondo lo studio è strutturalmente il miglior posto al mondo per fare vino, ma per competività veniamo superati dai francesi e per organizzazione/sostegno pubblico della filiera anche dagli USA. Non stiamo dicendo novità: abbiamo probabilmente i migliori prodotti ma non siamo bene organizzati e sostenuti per venderli. Tra gli altri, Spagna, Australia e Cile guadagnano terreno, a svantaggio degli USA che passa nel quinquennio da terzo paese eletto produrre vino a sesto. Passiamo all’analisi dei dati.
- La classifica mette i 6 parametri di cui dicevamo sopra in fila per arrivare a un numero indice in millesimi. L’Italia “vince” con 659, contro 646 della Francia. Nell’indagine 2012, la distanza era simile ma con dei numeri più bassi, 646 a 629.
- In termini di potenziale produttivo l’Italia è considerata dallo studio il miglior paese del mondo per produrre vino. Precede la Spagna, la Francia e la Cina. Le condizioni climatiche invece non sono considerate le migliori da Deloitte. Prima dell’Italia vengono Cile, Sud Africa, Nuova Zelanda, Argentina, Brasile e Spagna, anche se i dati sono molto simili dall’Argentina in giù.
- Nei fattori competitivi vincono invece i francesi, che ci precedono in quella che i francesi chiamano “la capacità degli operatori di conquistare i mercati” (e noi siamo praticamente secondi parimerito con la Spagna), mentre l’Italia è considerata meglio della Francia nel contesto dell’equilibrio del mercato e del portafoglio marchi (avrei qualche dubbio, ma prendiamo i dati per quello che sono).
- Dove invece casca l’asino è sulla parte organizzativa/sostegno pubblico e ambiente macroeconomico. Di nuovo la Francia svetta, ma siamo anche preceduti dagli USA che naturalmente possono contare su un mercato domestico di tutt’altro spessore che non il nostro.
- Proprio gli USA sono però quelli che perdono il maggior numero di posizioni. Secondo lo studio a differenza del 2012 hanno perso molto in potenziale produttivo (?) e anche la valutazione delle condizioni pedoclimatiche non è stata positiva come in passato (nuovo punto di domanda).
- Una menzione finale alla Cina, che nello studio continua a essere considerata il fanalino di coda o quasi, come era nel 2012 e nel 2008. Il paese asiatico ha un potenziale produttivo medio (settimo tra 13 paesi analizzati) ma il prodotto non è per nulla competitivo sul mercato e anche i fattori organizzativi sono considerati tra i meno attraenti.
- Vi lascio a tabelle e grafici.
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