Anche per questa edizione di Vinitaly, la cinquantaduesima, il finale è apparso piuttosto scontato. Un po’ come succede in quei film hollywoodiani apocalittici infarciti di americanismo dove gli yankee, dopo una lotta cruenta con gli alieni, salvano la terra minacciata e tutti, anche se malconci, vivono felici e contenti. Il cliché non si discosta per Vinitaly. Mentre scorrono i titoli di coda, puntuale, arriva il comunicato stampa di Verona Fiere con numeri da capogiro a sancire il successo della manifestazione, e puntuale arriva anche la polemica, più o meno accesa, sulle mancanze e le inadempienze della kermesse veronese. Quest’anno il carico da novanta l’ha messo Arturo Ziliani, responsabile di produzione della Guido Berlucchi. La questione è nota e riguarda l’eterno problema del traffico e della gestione della logistica che metterebbe a dura prova la pazienza dei compratori stranieri, abituati a ben altri livelli di organizzazione. Ziliani è risoluto nel dire basta a Vinitaly non solo per se, ma per tutte le cantine franciacortine, tanto da proporre la mozione alla prossima riunione del Consorzio. Vedremo. Resto convinto che Vinitaly continui a rappresentare una straordinaria occasione per scoprire talenti vinicoli e umani e per rivedere amici vicini e lontani, proprio perché concentra gran parte della produzione italiana (e non solo) in un unico luogo. Percorrendo infatti solo qualche centinaio di metri a piedi, puoi toccare tutte le regioni della Penisola, un giro d’Italia vinicolo che non ha eguali. Bene, svolto quest’argomento di prammatica, volendo tirare le somme, mi sono fatto il classico domandone, anche questo un po’ hollywoodiano, del tipo: “Quali sono i 3 vini, tra quelli assaggiati in questa edizione, che porteresti su un’isola deserta?” Non è stato difficile rispondermi, perché nei giorni del post Vinitaly non ho fatto altro che pensare all’Ottouve Gragnano della penisola sorrentina 2017 di Gilda Guida e Salvatore Martusciello, al Nuragus di Cagliari 2017 di Antonella Corda e al Kikè Traminer Aromatico 2017 delle marsalesi Cantine Fina. Nessun nome altisonante, tre vini d’annata, che ho avuto la fortuna di assaggiare per la prima volta o di riassaggiare. Tre vini, vivaddio, fatti apposta per il cibo, aspetto che, sarà colpa della vecchiaia che avanza, ricerco sempre di più in un vino.
Già che c’ero, ho approfittato per chiedere a Antonella Corda e Federica Fina le loro veloci impressioni sulla cinquantaduesima edizione di Vinitaly:
Antonella Corda
Tanti anni di lavoro in campagna e cantina si sono concretizzati in diverse ed intense degustazioni con critici nazionali ed internazionali al Vinitaly.
I riscontri ricevuti sono stati per noi entusiasmanti e ci danno l’idea che la strada che abbiamo iniziato a percorrere è quella giusta.
Decisamente incoraggiante è stata anche la scelta di stare all’interno della collettiva FIVI.
Postazione condivisa con un azienda della Basilicata, spazi ristretti e grande collaborazione. Mercoledì in chiusura fiera lo spazio FIVI sembrava un incontro di produttori che si conoscevano già da tempo. Assaggi incrociati tra aziende e dibattiti sulle tecniche bio biodinamiche ed omeopatiche più estreme.. insomma ci sentivamo a casa.
Federica Fina
Mai come quest’anno si sono ridotti all’osso i disagi dovuti ai visitatori “perditempo”, tutti coloro che sono passati per il nostro stand i ci sono apparsi realmente interessati ed appassionati al vino; con un crescente numero di operatori del settore. Inoltre, pur sapendo che Verona sia leggermente sottodimensionata dal punto di vista delle infrastrutture per un evento di portata mondiale come Vinitaly, mantiene comunque un fascino indiscutibile; è meraviglioso incontrare per le vie del centro buona parte degli amici che ritroviamo durante l’evento fieristico. Una passeggia a fine giornata con vista Arena, ripaga certamente di tutta la stanchezza, delle code e del traffico.