in

G.Baldassarre:”Il Sud Italia è uno scrigno di vitigni antichi e nuovi, tradizionali e internazionali e le varietà a bacca bianca non fanno eccezione”

Giuseppe Baldassarre, medico, specialista in Medicina Interna e Farmacologia Clinica, è dirigente dell’Unità Operativa Complessa di Geriatria dell’Ente Ecclesiastico Ospedale Regionale “F.Miulli” di Acquaviva delle Fonti (BA).

Dopo essersi diplomato sommelier nel 2001, ha ottenuto l’abilitazione di degustatore ufficiale nel 2003, di relatore a partire dal 2004 e di commissario di esami nel 2006. Dal 2014 è referente regionale per la Puglia della Guida Vitae e membro della Commissione Didattica Nazionale dell’AIS.
Oltre a essere Autore di numerose pubblicazioni scientifiche, ha scritto diversi libri sui principali vitigni autoctoni pugliesi; ha inoltre dedicato volumi all’olio di oliva, ad alcuni prodotti tipici pugliesi e al rapporto fra alcol e salute.
Il nostro rapporto di amicizia inizia tanti anni fa e cresce ad ogni esperienza che abbiamo la fortuna di condividere in questo affascinante mondo enoico, un universo a cui Peppino, per gli amici,  ha voluto dedicare l’ultimo suo lavoro letterario che mi sento di raccomandarvi: “Sorsi di luce – Canti del vento, della pietra  e del mare”.

Nella prefazione del tuo libro si legge: “Ai più fuori regione o tra i seppur attenti consumatori di vini pugliesi, l’idea di Giuseppe Baldassarre di dedicare un volume ai vini bianchi di Puglia potrà sembrare bislacca. Così non è…” Cosa hai voluto intendere  con questo incipit del tuo “Sorsi di Luce”?

In realtà, si tratta di una considerazione del dott. Pierfederico Lanotte, stimato ricercatore del CNR, che sottolinea la novità di questo volume, dedicato a un segmento produttivo del vino pugliese ancora giovane e in gran parte inesplorato, ma in evidente rapida crescita, anche grazie al lavoro svolto sia da parte di istituzioni di ricerca, sia da numerose cantine pugliesi. Se è vero che il rinnovamento enoico pugliese è partito nel XIX secolo dai rosati e dai rossi, è altrettanto certo che il patrimonio di vitigni a bacca bianca pugliese è fra i più ricchi e variegati d’Italia e supera numericamente la dotazione regionale di cultivar a bacca nera. Inoltre, diversi dei vini bianchi pugliesi sono legati anche per storia e tradizione a specifiche aree regionali: penso, per esempio, ai bianchi di San Severo (prevalentemente a base di bombino bianco), ai bianchi di Capitanata (spesso a base di uve come falanghina, greco e fiano, condivise con la vicina Campania), ai bianchi di Castel del Monte (che spaziano dallo chardonnay al pampanuto, al fiano),  ai bianchi di Gravina (di solito da malvasia bianca e greco), ai bianchi della murgia barese meridionale (con la riscoperta di moscato bianco, moscatello selvatico, minutolo, maresco e marchione), ai bianchi della valle d’Itria (da verdeca, bianco d’Alessano e minutolo, in blend o in purezza), ai rari ma preziosi bianchi di Ostuni (da impigno, francavilla e altre varietà), ai bianchi tarantini e salentini (che danno risalto a malvasia bianca, vermentino, chardonnay, fiano e verdeca).

Com’è cambiata in questi ultimi anni la produzione dei vini bianchi pugliesi?

Si è passati da produzioni spesso di mediocre livello qualitativo, per lo più destinate al consumo sfuso, al taglio di vini di altre regioni o a costituire basi anonime per la produzione del vermut, a etichette significative, tecnicamente curate in maniera impeccabile e capaci in molti casi di dare espressione originale a vitigni tradizionali e/o di origine alloctona, comunque  fortemente ancorati ad aree della Puglia particolarmente vocate. La ricerca agronomica per migliorare la qualità delle uve, la riscoperta di cultivar dimenticate, la valorizzazione di vitigni storici e di varietà internazionali introdotte più recentemente, l’utilizzazione della tecnologia del freddo e di altre tecniche enologiche al passo con i tempi (criomacerazione, macerazione pellicolare, batonnage, fermentazione e/o elevazione in barrique o altri tipi di vasi vinari, maturazione sulle fecce nobili, macerazione prolungata, ecc.) hanno insieme svolto un ruolo di grande rilievo. Decisiva è però stata la determinazione di viticoltori, agronomi, enologi e cantine di Puglia nello scommettere sui vini bianchi e nel cimentarsi con questa nuova ulteriore frontiera dell’enologia regionale.  

Credi che sia preferibile puntare sui vitigni autoctoni oppure, come dimostrano alcune interessanti produzioni, anche i vitigni internazionali possono trovare territorio fertile in Puglia?

La felice esperienza di altre regioni italiane dimostra che vitigni tradizionali e varietà di origine alloctona possono non solo coesistere, ma interagire e influenzarsi positivamente, a patto che il focus si sposti dalle cultivar alle caratteristiche tipiche e specifiche che luoghi unici e irripetibili conferiscono a determinati vini. Certamente la Puglia, per la sua storia e per le sue peculiarità geografiche, è una regione fortunata. Ponte verso l’Oriente e i Paesi balcanici, terra di approdo, di partenza e di passaggio, ha ricevuto in eredità numerosi vitigni, che non di rado si sono incrociati fra loro generando varietà inedite. Penso ad antinello, bianco d’Alessano, bombino bianco, falanghina, fiano, francavilla, greco, impigno, marchione, maresco, antiche malvasie, minutolo, moscato bianco, moscatello selvatico, trebbiano toscano, verdeca e vermentino. In epoche più recenti a tali varietà si sono aggiunte cultivar alloctone come chardonnay, pinot bianco, pinot grigio, sauvignon blanc, semillon e viognier. Non dimentichiamo poi alcune interessanti esperienze di vinificazione in bianco partendo da uve nere come negroamaro e nero di Troia. Sono, inoltre, in corso di valutazione e di studio varietà dimenticate, semisconosciute e a rischio di estinzione come acchitedda, mannverd, terrizzuolo, uva attina, uva carrieri, uva della scala, uva della specchia e uva santa teresa.

Quale tra i tuoi libri è stato il più impegnativo?

Ognuno dei volumi che ho scritto mi ha fortemente appassionato e spinto ad un paziente e meticoloso lavoro di ricerca e di approfondimento. Tuttavia, credo che il più impegnativo sia stato il mio primo libro dedicato al primitivo. Si trattava per me di un esordio, di un vero e proprio debutto nel campo della produzione libraria enoica. All’epoca per diversi addetti ai lavori ero ancora un illustre sconosciuto; di conseguenza, quando bussavo per attingere informazioni, fotografie e testimonianze, alcune porte si aprivano lentamente e con comprensibile cautela.

Ricopri una carica importante all’interno dell’AIS: pensi di poter offrire di più a questa associazione mettendo a disposizione le tue notevoli competenze?

Nell’arco di quasi venti anni credo onestamente di avere ricevuto tanto dall’AIS, in termini di relazioni umane, di opportunità formative e di crescita culturale. Mi è stato consentito di maturare una notevole esperienza didattica, di affinare la mia conoscenza di vitigni e vini soprattutto della mia regione, fino a farne oggetto di un’intera collana di volumi.  Trovo naturale e anche gratificante mettere questo piccolo patrimonio di cultura, di esperienza e di sensibilità a disposizione innanzitutto di quanti condividono il nostro cammino associativo e poi anche di altri con i quali comunque abbiamo passioni in comune o interessi convergenti.

Come vedi la produzione vitivinicola del Sud Italia?

La produzione vitivinicola del Sud Italia sta crescendo in modo straordinario in questi ultimi anni, soprattutto sul piano qualitativo, e mostra di avere ulteriori margini di sviluppo ed enormi potenzialità ancora inespresse. Vi è una nuova generazione di vignaioli, affiancata da una novella generazione di enologi e di altri addetti ai lavori, che sta imprimendo una significativa accelerazione alla produzione enoica meridionale, affrancandola da antichi retaggi e da logiche di vecchio stampo.

Quali vitigni del Sud Italia vedi più vocati alla vinificazione in bianco?

Il Sud Italia è uno scrigno di vitigni antichi e nuovi, tradizionali e internazionali e le varietà a bacca bianca non fanno eccezione. Vi sono numerose cultivar a bacca bianca che caratterizzano e impreziosiscono lo scenario meridionale, generando vini bianchi pregevoli, alcuni dei quali sono già riconosciuti fra i migliori d’Italia. Lasciando un attimo da parte la Puglia, della quale si è già detto, citerei carricante, catarratto, chardonnay, grecanico, grillo e inzolia per la Sicilia, semidano, torbato, vermentino e vernaccia di Oristano per la Sardegna; chardonnay, greco bianco, guardavalle, mantonico bianco e pecorello per la Calabria; fiano, greco, malvasia bianca di Basilicata, muller thurgau e traminer aromatico per la Basilicata; asprinio, biancolella, caprettone, catalanesca, coda di volpe, falanghina, fenile, fiano, ginestra, greco, pallagrello bianco e ripoli per la Campania; falanghina, malvasia bianca e trebbiano per il Molise.

Come si potrebbe migliorare la comunicazione del Meridione vitivinicolo?

Occorre una comunicazione corale, appassionata e competente, che sfati  luoghi comuni duri a morire, che demolisca pregiudizi inveterati e, abbandonando banalità rituali, si apra a una visione più profonda, più genuina, più autentica, partendo dai tanti meravigliosi vignaioli protagonisti della rinascita e dai luoghi incantevoli e irripetibili che ospitano le vigne; senza dimenticare, ove possibile, di andare alla ricerca di radici storiche e dei tradizionali intrecci con la gastronomia locale.

Mi rivolgo ora al medico: quali benefici può dare il vino dal punto di vista salutistico?

Il consumo moderato di vino ai pasti può, attraverso meccanismi molteplici e complessi, portare benefici soprattutto al nostro apparato cardiovascolare, che si traducono, secondo alcune ricerche scientifiche, in una riduzione significativa della morbilità e della mortalità cardiovascolare e della mortalità per tutte le cause. Tali evidenze non sono attualmente considerate dalla comunità scientifica di forza tale da suggerire il consumo moderato di vino come misura di prevenzione primaria e secondaria nella popolazione generale. In altre parole, allo stato attuale delle conoscenze il vino non può essere considerato un farmacoalimento, ma piuttosto una bevanda voluttuaria in grado di esercitare prevalentemente effetti positivi sul nostro organismo, se l’assunzione avviene con moderazione e in modo consapevole e responsabile. Pertanto, in assenza di controindicazioni, non vi sono argomenti scientifici per demonizzare l’assunzione moderata di vino ai pasti, secondo i canoni della sana convivialità e del bere bene. Degustare vino di qualità, sorseggiarlo e centellinarlo con sobria intelligenza  ci aiuta a essere più felici, facendoci apprezzare non solo la bellezza e la ricchezza della nostra terra, ma anche il lavoro e la fatica di chi la asseconda.

Cosa vuoi che ti auguri?

Di continuare con sempre più intensa passione e convinzione a essere una sorta di ambasciatore dei vitigni della Puglia e delle altre regioni del Sud Italia. Di proseguire l’opera di ricerca storica e di divulgazione per aggiungere valore culturale alle nostre produzioni enoiche. Di porre sempre maggiore impegno ed entusiasmo nell’attività didattica e formativa perché i nostri sommelier siano sempre meglio preparati e all’altezza delle crescenti aspettative che si creano nei loro confronti. Di riuscire sempre brillantemente a coniugare la formazione e professione di medico con la passione e le conoscenze del sommelier. 


Fonte: https://www.vinoway.com/approfondimenti/vino/interviste.html?format=feed&type=rss


Tagcloud:

I Colli Euganei si aggiudicano il 7° Premio Vinarius al Territorio

Vino: 1.036 € a bottiglia per Masseto in asta Christie’s a Hong Kong