Da sempre gli Stati Uniti rappresentano un mercato cruciale per i produttori di vino, italiani e no. Per questo si tengono sempre sotto stretto controllo tutte le dinamiche di quel mercato: per prevedere eventuali crisi, capire dove tira il vento, possibilmente anticipare le tendenze. Uno dei rapporti più autorevoli sullo stato dell’arte del settore vino in America è quello redatto ogni anno da Rob McMillan, vicepresidente esecutivo e fondatore della Divisione Vino della Silicon Valley Bank. Il suo è uno sguardo su come si presentano i prossimi cinque anni per il settore vinicolo statunitense, e i dati che riporta sono molto interessanti. Qui proponiamo alcuni passaggi salienti, mentre il report completo si può consultare qui.
Cominciamo con le delusioni: la principale è sicuramente quella che arriva dai Millennials, i giovani ritenuti da tutti i più probabili prossimi consumatori di vino. Corteggiatissimi da aziende e istituzioni, si sono dimostrati tanto curiosi e aperti alle novità, quanto superficiali e infedeli. Dopo anni in cui si cerca di blandirli, interessarli, innamorarli al vino e agganciarli in tutti i modi, non sembrano aver ancora abbracciato davvero il consumo del vino, come molti avevano predetto (sperato?). E a questo punto, è lecito sospettare che non lo faranno mai. Non prenderanno il posto dei Baby Boomers, sui quali tuttora si fonda buona parte del mercato del vino. Colpa di una situazione economica generalmente non brillante – e quindi di risorse economiche più limitate rispetto a quelle di cui potevano disporre i loro padri e nonni alla loro età -, ma colpa anche della demonizzazione martellante del consumo di alcol in genere, e di una scena culturale e consumistica molto diversa e soprattutto più affollata che in passato. Oggi i giovani preferiscono gli spiriti – che hanno saputo ritagliarsi uno spazio nel variegato e modaiolo mondo della mixology – le birre artigianali e, ultima in ordine di tempo, la cannabis. Una tendenza di consumo con cui bisognerà continuare a fare i conti anche nei prossimi anni. Attenzione, però: se la cannabis venisse adottata dai big brands del vino al solo scopo di accontentare i capricci di questo genere di consumatori, per il prodotto-vino sarebbe la fine, o quasi.
Se i Millennials non si sono dimostrati i naturali eredi della passione per il vino dei loro padri e nonni, cosa ne è di questi ultimi? Gli anni passano per tutti, anche per i Baby Boomers: i quali, pur continuando a rimanere fedeli al vino, ne stanno riducendo progressivamente il consumo. In particolare, quelli che stanno andando in pensione si stanno adattando ad uno stile di vita più morigerato e soprattutto meno dispendioso. Non è più tempo di eccessi.
La fascia demografica su cui conviene continuare a puntare allora è un’altra: quella intermedia. La GenX.
Più giovani dei BB ma più vecchi dei Millennials, sono quelli che ad oggi stanno dimostrando maggior propensione ad acquistare vini anche di pregio. Da loro perciò ci si aspetta un nuovo record (dopo quello registrato nel 2018) di vendite di vino con prezzi superiori ai 9$. Per i vini premium ((> 10$/bottiglia), si stima infatti che le vendite dovrebbero vedere quest’anno un aumento tra il 4 e l’8%.
A ben vedere, il 2018 è stato positivo per il settore negli US, ma il rapporto ammonisce di non cullarsi troppo sugli allori, perché siamo alla vigilia di una rivoluzione. Culturale e non solo. “Sarebbe facile per i produttori continuare a fare quello che hanno fatto finora, sperando che le numerose sfide che stanno rallentando le vendite al dettaglio si risolvano, che i consumatori aumentino il loro reddito, che i problemi del lavoro e delle migrazioni vengano risolti, che l’emergere di piattaforme e strategie digitali sbrogli i molti problemi e le opportunità offerte dai canali di vendita diretta (DTC).
La speranza è sempre una buona cosa, ma non è mai una buona strategia.
A dispetto del fatto che il 2018 sia stato un anno positivo e che veniamo da 25 anni di grande crescita per il business del vino negli Stati Uniti, credo che le previsioni di crescita delle vendite per i prossimi cinque anni dovrebbero essere più contenute – scrive Mac Millan – . I fondamentali alla base della crescita del settore stanno cambiando, il che significa che le tattiche su cui ci si basava per cavalcare l’ ondata di successo fino a questo punto, lentamente si riveleranno imperfette senza un lavoro di adattamento.
Per continuare la sua crescita negli anni a venire, l’industria del vino degli Stati Uniti ha bisogno di una nuova direzione e di un cambiamento di focus”.
E questo vale anche per l’Italia. La buona notizia è che, come tutte le cose (o le mode, gli atteggiamenti, i prodotti…), complice anche una certa naturale inerzia culturale tipicamente italiana, è prevedibile che anche questi cambiamenti da noi arriveranno un po’ più tardi. Quindi, abbiamo qualche anno per adattarci ai nuovi contesti culturali e di consumo, e chissà che nel frattempo le cose non cambino ancora (in meglio).