Se dovessi riassumere in una manciata di parole l’essenza delle 3 giornate passate alla scoperta dei vini della provincia di Fermo, sceglierei l’articolo 4 del Manifesto del Laboratorio Piceno della Dieta Mediterranea, che così recita: “Mi impegno a fare dell’Accoglienza e dell’Ospitalità non una tecnica ma un moto del cuore”. Senza facile retorica, quello che più mi è arrivato, come un’onda impetuosa direi, è il senso di ospitalità e di genuinità antica di tutti i fermani che ho incontrato. Persone in grado di dimostrare concretamente che siamo ancora in tempo per costruire, attraverso percorsi culturali e creativi, spazi di comunità per migliorare la vita dei luoghi che abitiamo. È quello che fanno Nunzia Luciani, Carlo Iommi e Davide Bonassi con la Libera Associazione Culturale Armonica-Mente, organizzando il Premio San Martino d’Oro, che riconosce ai produttori di vino del fermano il ruolo di ambasciatore del territorio. È quello che fanno Lando Siliquini e Paolo Foglini, propagatori, attraverso il Laboratorio Piceno della Dieta Mediterranea, non solo del mangiare sano ma del buon vivere a tutto tondo. È quello che fa Adolfo Leoni, instancabile divulgatore di storie di luoghi e di genti del fermano. Tutte queste intelligenze e la vitalità che esprimono meritano grande attenzione e necessità di approfondimento. Andiamo con ordine. Qualcuno si domanderà, perché tutta questo interesse per la Dieta Mediterranea e perché esiste addirittura un Laboratorio Piceno? Perché Montegiorgio, paese di 6000 anime a 20 km da Fermo, è stato una delle 16 coorti designate per lo studio epidemiologico osservazionale Seven Countries Study. Lo studio, condotto dal prof. Ancel Keys su oltre 12.000 uomini di età compresa tra 40 e 59 anni, dislocati in 7 nazioni e 3 continenti, portò alla definizione di Dieta Mediterranea, oggi patrimonio dell’umanità dell’UNESCO. Il lavoro di Keys, considerato una pietra miliare della scienza della nutrizione, dimostra che il motivo delle migliori condizioni di salute dei cittadini dei paesi mediterranei, soprattutto per quanto riguarda le malattie cardiovascolari, è proprio l’alimentazione. Non va dimenticato che ad affiancare Keys nei suoi studi ci fu l’illustre nutrizionista Flaminio Fidanza, originario di Magliano di Tenna, altro paese in provincia di Fermo. Va da sé che i fermani non potevano non raccogliere un’eredità così importante, c’era una sorta di obbligo morale nel farsi divulgatori del miglior stile di vita al mondo che è la Dieta Mediterranea. È facile anche intuire quale straordinario volano per il turismo possa essere questa vicenda se connessa ad un altro capo saldo della Mediterraneità, ovvero il vino. Cominciamo con il dire che le Marche, regione molto ricca dal punto di vista vitivinicolo, non può e non deve relegare la sua notorietà solo al Verdicchio; ci sono infatti delle enclave, come ad esempio la provincia di Fermo che possono regalare piacevoli e inaspettate sorprese. Le cantine che ho visitato, in un pittoresco saliscendi, tra le colline della provincia Fermo sono state La Pila di Montegiorgio, Conti Maria di Fermo, Vigneti Santa Liberata di Fermo, Vini Firmanum di Montottone, Rio Maggio di Montegranaro, Cantina Di Ruscio di Campofilone, Vittorini di Nico Speranza di Monsampietro Morico. Veniamo agli assaggi. I bianchi, nel complesso, sono tutti di buona/ottima fattura; più immediato, dove immediato non vuole mai dire banale, come il La Pila Refolo 2018 (malvasia bianca di Candia), passando per un notevole, anche per il rapporto qualità/prezzo Vigneti Santa Liberata Saggiolo Offida Pecorino DOCG 2018. Si arriva poi a due fuoriclasse assoluti come il La Pila Emmar Marche IGT malvasia 2013 – malvasia bianca di Candia, ottenuto in questo caso da vendemmia leggermente tardiva, utilizzando una tecnica enologica chiamata “crio-selezione” che consiste nel congelamento parziale degli acini e il Rio Maggio Bianco IGT “Telusiano” 2018 (pecorino 40%, trebbiano 40% e verdicchio 20%. Cito inoltre anche due vini che, pur rientrando nella categoria Bianco Marche IGT, sono dei veri e propri outsider, 2 macerati di rara eleganza: Rio Maggio Vinum62 2016 – trebbiano e verdicchio per sole 1500 bottiglie e il Liù Vigneti Santa Liberata 2015, pecorino, fiano e malvasia, da uve vendemmiate stramature e poi criomacerate. Veniamo a i rossi. Premetto che in generale li trovo più centrati quando non “Amaroneggiano”; infatti, l’appassimento delle uve tende ad appiattirne il gusto e viene a mancare l’identità. Benissimo invece i rossi schietti e peculiari come Conti Maria Loiano IGT Marche Rosso 2017 – montepulciano in purezza che fa solo acciaio, il Vini Firmanum Antio Rosso Piceno Superiore DOP 2014 – 30% montepulciano e 70% sangiovese che fa botte grande, altro vino dal rapporto qualità/prezzo ineguagliabile e il Cantina di Ruscio Rosso del Poeta 2017, 50% montepulciano e 50% sangiovese con affinamento in barrique. Un gradino più in alto, a testimonianza anche della grande vocazione rossista del territorio il Rio Maggio Rosso Piceno Vallone 2015, 70% montepulciano e 30% sangiovese, barrique usata con grande sapienza. Poi c’è Nico Speranza. L’incontro con Nico è stato davvero folgorante, merita una monografia. Qui basti dire che i suoi Vittorini di Nico Speranza Crocefisso Riserva 2017 – sangiovese (in bianco) e pecorino appassito 2 mesi con un tocco di sauvignon, acciaio e in parte in barrique usate; il Vittorini Marche Bianco IGT 2017 – pecorino, Incrocio Bruni (verdicchio x sauvignon) con un tocco di sangiovese in bianco e il Rosato IGT Io sto con i Lupi 2017, sangiovese in purezza, lasciano il segno anche nel degustatore più annoiato.
Infine, la DOC Falerio. Un progetto dalle enormi potenzialità, che può rilanciare l’intera viticultura fermana. Falerio deriva dal nome del sito archeologico Falerio Picenus, oggi Falerone, comune della provincia di Fermo. È una fortuna rara poter legare il nome del vino ad un luogo antico, ci si può costruire sopra un romanzo. Il disciplinare del Falerio prevede “uve provenienti da trebbiano toscano in percentuale variabile dal 20% al 50%, passerina dal 10% al 30%, pecorino dal 10% al 30%” più altri vitigni a bacca bianca ammessi alla coltivazione per la regione Marche. È un’opportunità da cogliere, senza indugiare oltre.
I vini di Fermo hanno una peculiarità unica, sono vini gastronomici dall’incredibile rapporto qualità prezzo, a volte davvero imbarazzante. Un vero e proprio Eldorado per l’appassionato e per il turista enogastronomico. Il consiglio è di arrivare con un furgone capiente e dopo aver passato qualche giorno in questi luoghi ricchi d’incanto e memorie antiche, dopo aver assaggiato l’indimenticabile Stoccafisso alla fermana, secondo la ricetta dello storico ristorante “Da nasò” e se siete fortunati cucinato dalle sapienti mani di Guido Gennaro, stivare un bel numero di cartoni di vino e tornare a casa, felici.