Sul treno metropolitano che da Torino Porta Susa arriva a Fossano, a ogni fermata, sale varia umanità. Dal finestrino scorrono la periferia, terra di tutti e terra di nessuno, e quell’ambiente antropizzato e industriale che ha definitivamente cancellato il paesaggio rurale. Più che il Piemonte sognato in “Paesi tuoi”, o ne “La luna e i falò di Pavese, viene in mente lo sguardo rassegnato di Giorgio Bocca che racconta, nel film documentario di Paolo Casalis “Langhe Doc”, come “Nel breve spazio della sua lunga vita” l’Italia fosse cambiata in maniera spaventosa. Bocca ci ricorda come le Langhe, universalmente riconosciute come uno dei luoghi più belli d’Italia, rischiassero di diventare a causa dell’urbanizzazione, della cementificazione ma anche del progressivo abbandono dei mestieri meno redditizi, l’ennesimo tassello dell’”Italia dei capannoni”. Arrivato a Savigliano, comunque non molto distanti dalle Langhe, questa sensazione si fa sempre più forte. Volgendo un rapido sguardo al paese operaio, dove si costruiscono i treni per l’alta velocità, la paura, per chi, colpevolmente come me, non è venuto spesso da queste parti, è di non ritrovare più i propri miti. Poi, fortunatamente, davanti al piazzale della stazione arriva il dolce sorriso di Vanina Carta, giovane presidentessa del Consorzio dei Vini Doc Colline saluzzesi, a rinfrancarmi. Vanina, oltre che compagna di vita di Michele Antonio Fino, mitico professore dell’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, è anche titolare di quella bellissima realtà che è l’azienda agricola Cascina Melognis, micro cantina situata sulle colline di Revello. Percorrendo in macchina il breve tratto di strada che da Savigliano porta a Saluzzo, l’appassionato racconto che mi fa Vanina della sua terra e dei prossimi progetti della piccola ma combattiva Doc, accompagnati a un paesaggio via via più consono al Piemonte sognato, inizia a rincuorarmi. Qui la prima sorpresa: nonostante la Doc abbia poco più di vent’anni, i vitigni autoctoni delle Colline Saluzzesi come Quagliano, Chatus, Pelaverga erano già diffusi addirittura prima del marchesato di Saluzzo e quindi sono tra i più antichi del Piemonte.
Il progetto vino Colline Saluzzesi, mi dice Vanina, è parte integrante del più ampio progetto “MOVE”. Move è l’acronimo di Monviso and Occitan Valleys of Europe ed è stato scelto anche per il suo significato inglese, movimento, che esprime bene la volontà di muoversi che ha unito insieme le Valli che si sentono collegate al profilo inconfondibile del Monviso (Stura, Grana, Maira, Po, Varaita) e la pianura Saluzzese che ne fornisce lo sbocco naturale. L’obiettivo è quello di presentare ai turisti l’ambito territoriale delle terre del Monviso nel suo complesso, un contesto unico, caratterizzato da un patrimonio culturale straordinario, un ambiente montano incontaminato, una produzione agroalimentare di eccellenza. Proprio per valorizzare appieno il comparto agroalimentare è stato realizzato l’Atlante dei sapori del Monviso. Oltre 100 pagine di ricette, prodotti e produttori scrupolosamente censiti dall’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo. Oltre 80 prodotti, suddivisi in 7 categorie. Materie prime e dei cibi caratteristici del territorio compreso tra le Valli Stura, Grana, Maira, Varaita, Po, Infernotto-Bronda e la Pianura del Saluzzese. Carne, pesce e salumi, formaggi, frutta, ortaggi, funghi, tartufi, spezie, miele e dolci, specialità alimentari, birre, liquori piante officinali e naturalmente il vino.
Colline Saluzzesi – Un po’ di storia
La storia della viticoltura del Saluzzese risale a tempi antichissimi. Alle recenti esplorazioni dell’Università di Torino, tuttora in corso, si deve, infatti, la straordinaria scoperta a Castigliole Saluzzo di una villa rustica di età romana. Questo complesso produttivo, una vera e propria azienda agricola di età imperiale, attiva tra il I e il III secolo d. C., ospitò anche un impianto vinicolo, il primo noto in Piemonte per questa epoca. La viticoltura ha sempre occupato un ruolo importante nella cultura del Saluzzese, infatti, fu anche per favorire gli scambi commerciali che il Marchese di Saluzzo Ludovico II fece sistemare, all’inizio del Cinquecento, le strade delle vallate e fece aprire il cosiddetto Buco di Viso per esportare il vino nel Delfinato e importare il sale lungo quella che poi prese il nome di Via del Sale. L’area di produzione comprende il territorio di numerosi comuni del Saluzzese ed è particolarmente favorita dal punto di vista climatico, ciò ha permesso che, nonostante la forte concorrenza delle colture frutticole particolarmente sviluppate in questa zona, alcuni vigneti potessero essere conservati. Il vitigno Pelaverga, documentato fin dai tempi dei romani, fu apprezzato in particolare dal Papa Giulio II cui veniva inviato il vino dalla marchesa Margherita di Foix, come annotato da Giovanni Andrea del Castellar nel suo Charneto. Tale vitigno è presente soprattutto in Valle Bronda, mentre la coltivazione del Quagliano, anch’esso vitigno autoctono della zona e documentato per la prima volta nei bandi campestri della città di Busca pubblicati nel 1721, è localizzata soprattutto lungo la dorsale collinare che da Saluzzo arriva fino a Busca e in particolare a Costigliole Saluzzo. L’uva del Quagliano è caratterizzata da ottime qualità organolettiche e per questo spesso viene consumata anche come uva da tavola.
Colline Saluzzesi – Il Vino
Oggi, nel Saluzzese, pur restando marginale dal punto di vista economico, la viticoltura rappresenta l’unica alternativa alla perdita dei vitigni che ancora resistono all’estinzione come il Pelaverga, lo Chatus, la Neretta cuneese, e altre varietà più rare, come il Gouais blanc e lo Chasselais, recuperate nelle fasce montane delle valli attorno al Saluzzese (Maira e Stura) da Alessandro Reyneri di Lagnasco e faticosamente fatte rivivere nella tenuta Vigna San Carlo a Saluzzo. Alle Colline Saluzzesi afferisce una ricchezza di espressioni e di caratteri spiccatamente montani, che rimanda alla grande famiglia della viticoltura alpina, a cui appartengono noti terroir di Valle d’Aosta e Trentino e Alto Adige, dove operano piccoli produttori che ancora mantengono saldo il rapporto con la terra e vinificano in un contesto di microproduzione che garantisce la filiera vigna-bottiglia.
Colline Saluzzesi – gli assaggi
Colline Saluzzesi Doc Pelaverga. Chiamato Cari (nel Chierese) e un tempo anche Uva coussa, ovvero “uva delle zucche” (nell’Astigiano), non va confuso con il Pelaverga piccolo coltivato nei dintorni di Verduno, che è un vitigno diverso, né con il Peilavert canavesano e biellese (sulle colline di Salussola e Cavaglià), che corrisponde al Neretto duro. Oggi il Pelaverga si trova esclusivamente nel Saluzzese (Saluzzo e Valle Bronda) e nel Chierese. Ho assaggiato 4 espressioni di Pelaverga annata 2016, accomunate tutte da delicate note floreali e da una gradevolissima speziatura. Se il “Divicaroli” di Cascina Melognis è uno straordinario e inusuale vino da aperitivo, il Pelaverga della Soc. Agr. Produttori Pelaverga Castellar risente della magia del luogo di origine, la collina di Castellar ed è uno di quei vini che non ti scordi più.
Vini rossi (base Barbera) e Colline Saluzzesi Doc Barbera. Ho trovato estremamente piacevoli sia il Vino Rosso “Barbera” dell’Az. Agr. Serena Giordanino 2016 sia la Colline Saluzzesi Doc Barbera dei Produttori Pelaverga Castellar 2016. Naturalmente il paragone con la Barbera d’Asti è inopportuno quanto meno inutile, Piemonte sì, ma zone diverse. Questa Barbera del Saluzzese mi è sembrata delicata, di estrema bevibilità.
Colline Saluzzesi Doc Rosso si ottiene da uve provenienti dai seguenti vitigni: Barbera, Chatus, Nebbiolo, Pelaverga, per il 60% da soli o congiuntamente e 40% Vitigni a bacca nera idonei alla coltivazione nella regione Piemonte. Mi hanno colpito in particolare l’Ardy” 2015 di Cascina Melognis da uve Barbera e Chatus, con maturazione in barriques di terzo/quarto passaggio per 18 mesi e affinamento in bottiglia di almeno 4-6 mesi e “Pensiero” dei Produttori Pelaverga Castellar 2013. Nel nome di questo vino è già racchiusa tutta la sua essenza e fascino che poi si riscontra anche all’assaggio. Il pensiero è strettamente legato a un appezzamento di terreno particolarmente difficile da coltivare per l’estrema pendenza che lo caratterizza. Questa difficoltà di raggiungimento da parte dei mezzi agricoli non ha per nulla ostacolato l’idea di realizzare un vigneto che, dopo anni di preparazione, ha iniziato a dare i suoi buoni frutti. Si tratta, infatti, della vigna, strutturata a gradoni, più elevata nel Comune di Castellar, situata a un’altitudine superiore ai 500 mt. Con esposizione a sud-ovest. Questo vino che è il risultato di un assemblaggio di due vitigni autoctoni: la Barbera (60%) e lo Chatus (40%).
Colline Saluzzesi Doc Chatus. Lo Chatus, a seconda della zona di diffusione, è chiamato in modo differente: Nebbiolo di Dronero, Bourgnin, Neretto, Brunetta e Scarlattin, Brachet ma “Chatus” è la sua denominazione corretta e registrata all’Anagrafe Vitivinicola Nazionale. In Piemonte le sue uve servono a conferire corpo e struttura nei tagli o negli uvaggi locali, ma ho avuto la fortuna di assaggiarlo in purezza e in due annate differenti grazie alla Soc- Agr. Tomatis Dario & Figli, “Neirantich” 2016 e 2013. È stato amore a prima vista, anzi a primo sorso.
Colline Saluzzesi Doc Quagliano. Il Quagliano è un vitigno raro, di origini antichissime, si può produrre secco, spumante e da mosti parzialmente fermentati, questi ultimi ottenuti attraverso l’arresto della fermentazione quando il tenore zuccherino è ancora elevato. Nella versione da dessert (spumanti e MPF) diventa imbattibile vino per l’abbinamento con panettoni, colombe e focacce dolci. Il Quagliano 2017 di Giampiero Fornero e 2016 di Serena Giordanino sono vini che, se non stai attento, fanno perdere l’aplomb.
In conclusione, l’impressione generale che se ne ricava è di una Doc in grande movimento con un lavoro di prospettiva molto interessante e che merita, non solo da parte degli addetti ai lavori ovviamente, tutte le attenzioni e gli approfondimenti possibili. Oltre ai produttori sopra citati è doverosa anche una menzione per Casa Vinicola F.lli Casetta, Vigna Santa Caterina, Azienda Agricola Emidio Maero, Azienda Agricola Vigna San Carlo, Azienda Agricola Paolo Bonatesta, Azienda Agricola Bric Piu. Vanina Carta dice che “La nostra è una realtà di nicchia e bisogna puntare su un consumatore che cerca le particolarità enologiche. Questa è proprio l’ultima tendenza del mercato: quindi è il momento”, ne sono convintissimo anch’io, è proprio il vostro momento produttori del Consorzio di Tutela Colline Saluzzesi.
Per ulteriori approfondimenti http://www.visitmove.it/